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L’Antitrust transalpino ha chiesto a Google di rendere più trasparente obiettivo il servizio AdWords, che consente agli operatori economici di far apparire, mediante la selezione di una o più parole chiave – qualora tale o tali parole coincidano con quella o quelle contenute nella richiesta indirizzata da un utente di Internet al motore di ricerca – un link pubblicitario verso il suo sito, accompagnato da un messaggio pubblicitario. Tale annuncio appare nella rubrica ‘link sponsorizzati’, visualizzata sia sul lato destro dello schermo (a destra dei risultati naturali) sia nella parte superiore dello schermo (al di sopra di tali risultati).
Secondo l’Authority francese, le policy adottate per il servizio mancherebbero di ‘obiettività e trasparenza’ e sarebbero state messe in atto in maniera tale da ‘discriminare’ i fornitori di banche dati per i sistemi di navigazione GPS.
La denuncia è partita infatti da Navx, società francese specializzata nei contenuti e nei servizi a valore aggiunto per i sistemi di navigazione, che alla fine del 2009 si è vista rifiutare la pubblicazione di link sponsorizzati per i suoi servizi. Google avrebbe addotto come motivazione del suo rifiuto il fatto che quei link fossero “contrari alle politiche di contenuto” del motore di ricerca, ma Navx ha subito contestato la decisione e ha chiesto spiegazioni alla società di Mountain View, che tra l’altro è anche editrice di sistemi di mappe (Google maps) e di navigazione (Latitudes).
“Se, in linea di principio, Google resta libero di definire la sua politica per quel che riguarda i contenuti ammessi su AdWords, è importante che la messa in atto di queste policy si basi su condizioni obiettive e trasparenti e che non conduca a pratiche discriminatorie a svantaggio di alcuni attori del mercato”, ha sottolineato l’Autorità transalpina.
Google, ha aggiunto, “non permette agli operatori di sapere con certezza se il divieto è limitato all’uso di parole chiave e alla promozione dei prodotti nel testo dell’annuncio o alla pagina di destinazione del link commerciale”.
Google, ha spiegato ancora l’Antitrust, può essere considerato operatore dominante nel mercato della pubblicità legata alle ricerche ed è quindi necessario adottare delle misure d’urgenza. La società ha ora 4 mesi di tempo per chiarire le regole alla base del rifiuto o dell’accettazione dei link sponsorizzati.
Si riapre, intanto, il fronte cinese: la società americana – dopo le polemiche di gennaio – ha annunciato che non ridirigerà più le richieste degli internauti verso i server di Hong Kong, per poter mantenere la licenza che permette al gruppo di operare in Cina, in scadenza al 30 giugno.
Dall’inizio di quest’anno, in seguito a un attacco hacker proveniente, secondo la società, dalla Cina, Google dirotta le richieste giunte al sito Google.cn sui server di Hong Kong, per permettere agli utenti di effettuare ricerche senza censura.
“Se dovessimo continuare a dirottare gli utenti verso il sito di Hong Kong non potremo più rinnovare la nostra licenza ICP (Internet Content Provider), senza la quale non potremmo più gestire un sito commerciale come Google.cn e quindi saremmo completamente oscurati”, ha spiegato il vicepresidente di Google, David Drummond.
Google si trova, comunque, tra l’incudine e il martello: la Cina è un mercato troppo redditizio per ritirarsi completamente, ma la società non vuole neanche tornare indietro sulla questione della censura dei contenuti. Per non perdere la licenza, dunque, è stato creato un nuovo sito Google.cn, da cui non è possibile fare ricerche ma che rimanda al sito di Hong Kong, dal quale gli utenti possono continuare a fare ricerche senza censure.
Dalla Cina, intanto, nessun commento ufficiale sulla nuova mossa di Google. Wang Chen, capo dell’Ufficio informazioni del Consiglio di Stato ha comunque ribadito la posizione già espressa a gennaio – quando nella querelle era intervenuto anche il Segretario di stato americano, Hillary Clinton – e cioè che le aziende straniere che operano nel Paese devono rispettare le sue leggi.
In Cina, Google controlla il 30% del mercato della ricerca online, dominato dal concorrente locale Baidu. Un mercato che nel 2009 ha generato un giro d’affari da 1,05 miliardi di dollari.