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Intercettazioni e libertà di stampa. Fini: ‘Bilanciare privacy e diritto a sicurezza e legalità’. Per il Garante, ‘Occorre valutare caso per caso’

Italia


E’ stata calendarizzata per il 29 luglio prossimo la seduta alla Camera per la discussione ed eventuale approvazione del Ddl sulle intercettazioni voluto dal Governo e già passato qualche settimana fa al Senato. Una decisione, quella presa dalla conferenza dei capigruppo di Montecitorio, definita “irragionevole” dal presidente della Camera Gianfranco Fini – secondo cui l’approvazione slitterà comunque a settembre – e fortemente contestata dal mondo dell’informazione e dalla società civile perché ritenuta incostituzionale e definita un vero e proprio bavaglio all’informazione libera che si vuole a tutti i costi ‘controllare’ contravvenendo agli stessi diritti costituzionali.

Bisogna “bilanciare il diritto alla privacy e il diritto alla sicurezza e alla legalità – ha aggiunto ancora Gianfranco Fini in occasione della presentazione della Relazione annuale del Garante della Privacy – la ricerca di un equilibrio per coniugare le esigenze di protezione della collettività con quelle del rispetto della libertà e della identità del singolo cittadino rappresenta un compito a cui non possono sottrarsi le istituzioni democratiche nel gestire quotidianamente le eterogenee problematiche della sicurezza”.

Sotto questo aspetto, ha aggiunto ancora il presidente “gli eccessi che, ad esempio, causano la prevalenza del diritto all’informazione su quello alla privacy devono spingerci a trovare una soluzione diversa da quella di coloro che pensano che il contemperamento tra il diritto alla riservatezza e le esigenze della sicurezza, della legalità e dell’informazione, possa scaturire spontaneamente. Una cosa – ha poi concluso – è sostenere che una legge può essere formulata diversamente e meglio, tutt’altra cosa è invece accettare che il costo morale e materiale della sicurezza possa essere pagato da quanti alla fine potrebbero essere riconosciuti come innocenti”.
 

Tra i cori dei dissidenti, c’è anche quello dello stesso presidente dell’Autorità per la protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti che nel corso della presentazione del rapporto annuale sulle attività svolte, ha sottolineato che: “Con l’approvazione di questa proposta si pongono limiti specifici alla pubblicabilità delle intercettazioni non perché contenute in atti giudiziari, che come tali possono essere diffusi per riassunto, ma in quanto dati raccolti con lo strumento delle intercettazioni appellandosi al diritto alla privacy”.
Secondo il pensiero del presidente dell’Autorità poi, il rapporto tra libertà di stampa e riservatezza deve sempre essere valutato caso per caso. E in presenza o meno dell’interesse pubblico a conoscere. “Non vi è dubbio però che neanche i diritti fondamentali di per sé possono essere limite assoluto all’attività giudiziaria e ai mezzi di indagine che il legislatore consente ai giudici di utilizzare”.
Insomma, anche secondo Pizzetti, il Ddl sulle intercettazioni, la cosiddetta ‘Legge Bavaglio‘, crea “una sorta di regime della libertà di stampa a due velocità, specialmente nel rapporto con il rispetto della riservatezza”, intervenendo con le sanzioni penali solo sul fronte delle intercettazioni. “Meglio sarebbe stato, invece, lasciare l’ultima parola al Garante privacy e alla magistratura”.

“Il diritto di cronaca – ha rilevato invece la Fieg in Commissione giustizia – è un’esimente di carattere generale che esclude la responsabilità penale per la rivelazione di atti non segreti del processo penale ed è fondata sull’articolo 21 della Costituzione e sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
“La tutela della privacy, che pure è un valore fondamentale – ha aggiunto la Federazione che riunisce gli editori e i giornalisti italiani – non si realizza con l’imposizione del divieto generalizzato di pubblicazione, ma con la previsione di strumenti adeguati di conservazione dei dati riservati e con la sollecita eliminazione degli atti che attengono alla vita privata delle persone. Solo con riferimento al caso concreto e con l’intervento dell’autorità giudiziaria e del Garante dei dati personali è possibile verificare il bilanciamento dei due principi se essi vengono a collidere. Già sarebbe uno strappo ai principi prevedere la responsabilità solo in caso di pubblicazione di atti dei quali il Tribunale ha ordinato la distruzione o la cancellazione parziale, casi nei quali è ora prevista un’aggravante della sanzione generale, ma almeno ci sarebbe un vaglio del giudice di ciò che deve o non deve restare agli atti. A maggior ragione in tutti gli altri casi il divieto di pubblicazione comprime il diritto costituzionalmente garantito”.
 

Sulla vicenda, è intervenuto anche Franco Siddi, segretario della Federazione nazionale della stampa che pur non volendo entrare negli elementi più caldi del confronto politico in atto sul provvedimento, ha richiamato alla memoria costituzionale, in riferimento soprattutto alla relazione di Pizzetti presentata in Parlamento, “lo stretto legame tra la legge sulla stampa e l’autonomia dei contenuti editoriali affidata ai giornalisti e ai loro direttori”. Per Siddi, “é comprensibile l’osservazione del Garante su qualche eccesso che sarebbe stato compiuto dalla stampa. Ma la Relazione conferma che le norme per porvi riparo esistono già e che tutto al più può essere necessario migliorare l’efficacia della strumentazione di garanzia”.
 

E, mentre le polemiche avanzano e l’esercito dei ‘No’ continua la sua battaglia al di fuori delle ‘stanze dei bottoni’, una folta rappresentanza di giornalisti e di cittadini che ritengono “inconcepibile e inaccettabile una norma che, usando la foglia di fico della privacy, non solo rende più difficile l’azione degli investigatori e della magistratura, ma mette il bavaglio all’informazione all’unico scopo di coprire i corrotti e le ‘cricche'”, si ritroverà in piazza per manifestare la volontà a “cambiare una legge non degna di un paese democratico e civile”. Tra i manifestanti, anche Don Ciotti che, garantendo il sostegno di Libera alla manifestazione indetta dalla Fnsi ha detto “Cultura e mafia sono incompatibili: le mafie ingrassano con l’indifferenza, l’egoismo e la disinformazione. Con il bavaglio all’informazione, nonostante siano state fatte alcune modifiche, si fa un favore alla criminalità e alle mafie”.

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