Italia
L’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè ha risposto con una lettera al duro articolo comparso alcuni giorni fa sul quotidiano economico britannico Financial Times, nel quale il giornalista Paul Betts incitava il gruppo italiano a mettere da parte le proprie tendenze monopoliste e a unirsi agli operatori alternativi per realizzare la rete in fibra ottica, non avendo la possibilità – visti i troppi debiti – di affrontare da sola l’ingente investimento.
Nella missiva, Bernabè sostiene che il quotidiano britannico ha dipinto un quadro “fuorviante”, confutando innanzitutto l’affermazione secondo la quale la società sia stata favorita dall’aumento delle tariffe di unbundling stabilito “maldestramente” dall’Agcom per “puntellare” i bilanci Telecom.
La revisione dei prezzi, dice dunque Bernabè, non è stata un favore, ma è frutto “dell’applicazione in Italia di metodologie già applicate in gran parte d’Europa”.
L’ad del gruppo italiano ha quindi difeso la scelta di utilizzare la tecnologia GPON, che secondo il giornalista inglese favorisce una rete chiusa e rappresenta un passo indietro anche rispetto all’attuale regime, in base al quale Telecom Italia è stata costretta a fornire ai concorrenti accesso fisico all’ultimo miglio della sua rete.
“Il sogno di Telecom Italia – spiegava Betts – è apparentemente quello di una nuova rete che lascerebbe i competitor sempre alla sua mercè, relegando al regolatore il compito di assicurare il fair play. Non proprio quello che si definirebbe progresso”.
La tecnologia GPON, ha sottolineato Bernabè, è stata preferita alla tecnologia Point-to-point “…in quanto più economica sia quanto a investimenti iniziali sia quanto a manutenzione”.
Si tratta, afferma inoltre, “della stessa tecnologia adottata dai più importanti operatori internazionali”.
Bernabè ha infine ribadito l’intenzione di Telecom Italia di portare la fibra ottica alla metà della popolazione italiana entro il 2018, considerando progetti pubblico-privato per le aree geografiche dove non sia sostenibile la concorrenza sulle infrastrutture.
“E’ sorprendente – conclude – che i nostri concorrenti chiedano l’uso dei soldi dei contribuenti per quella che sostengono essere una iniziativa di mercato, cioè la costruzione di una rete di fibre nelle principali città italiane”.
Sul tema della NGN è intervenuto anche l’ex consulente del governo per la banda larga Francesco Caio, sottolineando la necessità che l’Europa “parli con una voce unica”.
“Tutti i Paesi stanno passando dal rame alla fibra ottica – ha spiegato Caio – Si cerca un modello che tenga conto dei singoli operatori e di tutto quanto il Paese. Vediamo come si svilupperà la situazione. Sono comunque dinamiche simili in tutti i Paesi e in un mondo senza confini l’Europa dovrà parlare con voce unica”.
Gli investimenti per la banda larga di nuova generazione, in Italia come negli altri Paesi, sono “sicuramente ingenti” ma comunque paragonabili ad altre grandi opere, in alcuni casi anche inferiori. “Il più – ha aggiunto – è trovare il meccanismo per cui tutti vincano a partire dal Paese”.
Caio ha quindi spiegato che la maggior parte dei Paesi ambiscono a cambiare, nel prossimo decennio, le leggi sulle telecomunicazioni: dal momento che si parte da contesti diversi, il ‘viaggio’ sarà diverso, ma l’obiettivo sarà comune.
“Il modello italiano, se ci sarà, sicuramente aggiungerà valore al mondo europeo, come stanno facendo quello americano, francese, inglese e tedesco. La cosa importante – ha concluso – è tenere gli occhi sull’obiettivo di lungo periodo con la coscienza che bisognerà fare molto lavoro per raccordare posizioni diverse”.