Dalle telecomunicazioni alle comunicazioni elettroniche: motivi e percorsi di una riforma permanente

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Italia


Fabio Bassan

Vi proponiamo un breve stralcio tratto dal volume Diritto delle comunicazioni elettroniche, Edizioni Giuffrè, in libreria in questi giorni.

Ringraziamo l’editore Giuffrè e il prof. Fabio Bassan, curatore del volume collettaneo e autore dello stralcio che qui vi proponiamo.

 

 

[…]

 

Parte II La terza riforma nel contesto storico: gli obiettivi e gli strumenti

 

L’esperienza solo parzialmente positiva della riforma del 2002 ha spostato il pendolo della liberalizzazione verso il modello iniziale. Per la rete di nuova generazione, sulla quale transiteranno le comunicazioni del futuro, si torna a parlare di monopolio naturale dell’infrastruttura e di una sua condivisione (sul piano proprietario o gestionale) per garantirne l’accesso a condizioni tecniche ed economiche non discriminatorie. Sullo sfondo incombe lo spettro della divisione societaria – se non anche proprietaria – tra reti e servizi dell’operatore storico, che era alla base della prima riforma, e che è stata introdotta in via normativa o giudiziale, sia pure tra molte difficoltà, in settori contigui (dal trasporto ferroviario alla televisione digitale, all’energia elettrica e al gas). La differenza, con riferimento al caso italiano, è che la rete di comunicazione appartiene a un operatore privato: i nodi originari – tra cui quello, gordiano, della privatizzazione – non consentono oggi semplificazioni eccessive.

Lo sviluppo ondivago e sincopato della regolazione ha prodotto incertezze sul mercato che ne hanno pregiudicato un’evoluzione omogenea: resta diversa a seconda dei paesi e dunque delle condizioni iniziali e dei modelli di sviluppo seguiti dalle autorità di settore. Di qui la necessità di un nuovo intervento comunitario con un ruolo più significativo della Commissione e un accentramento dei poteri sul piano comunitario nelle mani di un’autorità di settore europea. Appaiono evidenti però, alla luce delle considerazioni svolte, le difficoltà applicative di un simile progetto, che infatti Consiglio e Parlamento hanno prima modificato e poi, a causa anche delle elezioni imminenti, definitivamente bocciato[1]. Il compromesso finale appare di difficile interpretazione e soprattutto attuazione: se da un lato restano invariati gli obiettivi originari, dall’altro vengono ridotti significativamente (rispetto al progetto iniziale) i poteri attribuiti alle istituzioni comunitarie per raggiungerli. Si sceglie pertanto per questa prima, sommaria ricostruzione, un’analisi che distingua obiettivi e strumenti (solo alcuni dei quali idonei a raggiungere gli obiettivi). Stante il carattere introduttivo del lavoro, ci si limiterà ad alcuni accenni sui profili più significativi, molti dei quali verranno sviluppati negli interventi successivi di questo volume[2].

 

3.      Gli obiettivi

 

Gli obiettivi sono indicati dal legislatore comunitario in modo non organico nelle direttive 2009/136/CE, 2009/140/CE, nel regolamento CE 1211/2009, nonché nella raccomandazione (peraltro non ancora approvata) sull’accesso alle reti di nuova generazione[3], ovvero nell’insieme di atti che costituiscono il cd. ‘terzo pacchetto’ di riforma. Si elencano di seguito brevemente gli obiettivi, indicando per quanto possibile per ciascuno di essi alcuni profili di maggiore interesse o aspetti particolarmente problematici, rinviando per approfondimenti agli altri interventi di questo volume.

 

3.1    L’armonizzazione del mercato interno

 

I rapporti annuali della Commissione sul grado di armonizzazione del mercato interno hanno evidenziato la persistente assenza di un mercato unico delle comunicazioni elettroniche. In particolare, la frammentazione normativa e la differente attività delle autorità nazionali vengono considerati limiti decisivi in quanto pregiudicano la competitività del settore e i vantaggi per i consumatori[4]. Si spiegano così da un lato norme (modificative delle direttive in vigore) dettagliate – che lasciano pertanto agli stati margini ridotti di discrezionalità – in relazione ad esempio ai profili della gestione dello spettro radio o alle reti di nuova generazione e dall’altro, un regolamento specifico relativo a un nuovo ente europeo incaricato del coordinamento delle autorità nazionali. Come vedremo, l’obiettivo originario della terza riforma non è stato modificato; modalità e strumenti si.

 

3.2    La creazione dell’organismo dei regolatori europei (rinvio)

 

La creazione di un’autorità europea per le comunicazioni elettroniche (ETMA) era uno dei principali obiettivi della riforma proposta dalla Commissione e ne ha costituito probabilmente il principale ostacolo. Costituita mediante un regolamento, l’autorità europea avrebbe dovuto nel progetto iniziale occuparsi sia della sicurezza delle reti (inglobando l’agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione – ENISA) sia della regolazione dei mercati, intervenendo in entrambi casi con atti vincolanti. A seguito di una dinamica istituzionale complessa – descritta più in dettaglio nel secondo intervento di questo volume – che ha rischiato di pregiudicare l’intera riforma, l’autorità europea è stata trasformata in un organismo per il coordinamento dell’attività delle autorità nazionali, privo sia della personalità giuridica sia del potere di adottare atti normativi o comunque vincolanti, ma interlocutore obbligato della Commissione in una serie di casi specifici[5]

Se si considera la pluralità di forme, modalità di organizzazione e poteri delle autorità nazionali di regolazione, l’obiettivo di una maggiore armonizzazione del mercato è obiettivamente difficile da raggiungere in assenza di un potere normativo applicabile da un organismo comunitario in circostanze specifiche (e mediante decisioni che vincolino, di volta in volta, una o più autorità nazionali).

 

3.3    La gestione dello spettro radio. Il digital dividend

 

Uno degli aspetti più qualificanti della riforma comunitaria del 2009[6] è la gestione dello spettro radio efficiente ed efficace, sotto il profilo economico, sociale e ambientale, che tenga conto degli obiettivi della diversità culturale e del pluralismo dei media, nonché della coesione sociale e territoriale[7], ferme restando le misure per perseguire obiettivi d’interesse generale[8]. La gestione dello spettro – che comprende il rilascio di autorizzazioni generali sulla base di procedure aperte, la prevenzione delle interferenze dannose, la possibilità di un mercato secondario delle frequenze, la previsione di norme transitorie per consentire una concorrenza effettiva tra operatori che utilizzano lo spettro a condizioni diversamente onerose – resta competenza degli stati membri, mentre la pianificazione strategica, il coordinamento e l’eventuale armonizzazione sono affidati alle istituzioni europee, che li perseguono mediante ‘programmi strategici legislativi pluriennali’[9].

Ruolo centrale nella riforma assume il tema dell’accesso allo spettro radio, che si vuole flessibile e neutro rispetto alla tecnologia utilizzata e ai servizi forniti: eventuali limitazioni al principio della neutralità tecnologica sono ammesse solo se appropriate e giustificate dalla necessità di evitare interferenze dannose, nonché di garantire la tutela della salute pubblica, l’uso efficiente, la corretta condivisione dello spettro o una qualità adeguata del servizio[10]. L’obiettivo è superare gli attuali limiti, individuati in una scarsa flessibilità delle decisioni amministrative degli stati membri, in politiche nazionali frammentarie, in condizioni di accesso e uso delle frequenze diverse in ragione del tipo di operatore.

Tra i profili di maggiore interesse della riforma è il dividendo digitale, ovvero la maggiore disponibilità di spettro conseguente all’uso più efficiente delle risorse determinato dal passaggio dalla tv analogica a quella digitale. Il principio di neutralità (con riferimento alla tecnologia e ai servizi) impone anche in questo caso agli stati procedure aperte e non discriminatorie per l’uso delle frequenze rese disponibili dall’evoluzione tecnologica.

 

3.4    Il servizio universale e il digital divide

 

Il servizio universale (USO) ha costituito in questi anni uno dei temi più discussi in Italia sul piano regolatorio, e ha dato origine a un contenzioso senza fine[11]. Il perimetro esatto, sotto il profilo delle aree e dei servizi, la valutazione dell’iniquità dell’onere sopportato dal fornitore, la qualificazione dei soggetti legittimati a proporsi per fornirlo e di quelli tenuti a finanziarlo, le modalità del calcolo del costo netto, sono stati oggetto di valutazioni spesso contrastanti. In assenza di un preciso parametro di legittimità, che le direttive – troppo generali sul punto – non fornivano, è stato avanzato il dubbio sulla necessità di applicare la disciplina specifica, seguendo l’esempio di alcuni paesi europei in cui non è stata riconosciuta l’esigenza di remunerare l’operatore che forniva il servizio universale. Sotto diverso profilo, altri hanno tentato di ricondurre nel perimetro del servizio universale la fornitura di una rete di nuova generazione o di servizi avanzati. Si attendevano pertanto dalla riforma comunitaria chiarimenti e indicazioni precise.

Purtroppo il legislatore comunitario si è limitato a prendere atto delle diverse soluzioni scelte dalle autorità nazionali tra quelle che le direttive consentivano e non ha ritenuto necessario o anche solo opportuno promuovere un’armonizzazione piena sul punto.  

Qualche chiarimento diretto a superare i dubbi attuali viene fornito dal nuovo quadro su temi specifici. Innanzitutto, sul piano dei servizi forniti, rientra nell’USO la connessione alla rete pubblica fissa a un prezzo accessibile, purché idonea a consentire la fruizione dei servizi forniti via internet. Non viene però indicato nella direttiva un livello minimo di velocità di connessione, che spetta agli stati definire considerando le circostanze specifiche del mercato nazionale. Poiché la direttiva prevede condizioni (anche per la velocità di collegamento) minime, che lo stato può elevare, sono evidenti le possibili connessioni con il tema del digital divide e le conseguenti implicazioni.

In secondo luogo, sotto il profilo soggettivo, gli obblighi di servizio universale possono essere adempiuti anche da più di un operatore: si può dunque segmentare il perimetro sulla base geografica (ad esempio, limitandolo ad alcune aree o ad alcune utenze) o dei servizi (con riferimento ad esempio alla connessione dei privati e alla fornitura delle cabine pubbliche).

In terzo luogo, si chiarisce che possono proporsi per fornire il servizio universale o parte di esso  operatori che usano reti fisse o mobili, senza distinzioni. In quarto luogo, assumono una rilevanza autonoma l’accesso alle pagine utili, ai numeri di emergenza, nonché l’accesso alla rete da parte dei disabili.

 

3.5    La revisione delle regole dei mercati e degli obblighi degli operatori

 

Tra gli interventi significativi in materia di analisi dei mercati, vi sono: la previsione di scadenze periodiche e di un limite temporale ragionevole e adeguato per l’esame da parte delle autorità nazionali (anche eventualmente con l’assistenza di una task force del BERT); la possibilità per le autorità di qualificare mercati anche su base sub-nazionale, e di revocare gli obblighi nelle singole aree geografiche in cui vi sia concorrenza effettiva; la possibilità di misure correttive per prevenire il trasferimento di un significativo potere di mercato detenuto da un’impresa da un mercato a un altro strettamente correlato[12]

Le innovazioni imposte con la riforma spiegano effetti anche in Italia, imponendo scadenze temporali precise all’autorità, ma fornendo al contempo a questa strumenti più raffinati per l’analisi del mercato e per la prevenzione o il controllo di un significativo potere di mercato.

 

3.6    Le reti di nuova generazione

 

Il tema relativo alle reti di nuova generazione (NGN) è stato centrale nella recente evoluzione del dibattito sulle regolazione del settore. Alle posizioni radicali di chi ritiene che a queste infrastrutture debbano applicarsi senza eccezioni le regole previste per l’accesso e di chi, al contrario, ritiene che eventuali obblighi di accesso su reti ad alta tecnologia ancora da realizzare costituiscano un deterrente decisivo all’innovazione, l’Unione europea ha risposto con una posizione di compromesso, espressa sia nella direttiva 2009/140/CE sia in una raccomandazione specifica (tuttora in corso di discussione)[13]. Che la questione sia oggetto di una disposizione specifica e che questa si risolva in una raccomandazione sono entrambi elementi significativi da un lato della rilevanza del tema e dall’altro dell’impossibilità di rinvenire una soluzione univoca sul piano comunitario (perché prevale l’interesse di garantire l’indipendenza delle autorità nazionali e perché è venuto meno il potere inizialmente attribuito all’ETMA di agire in via sussidiaria esercitando una funzione regolatoria)[14].

Il punto di compromesso finale relativo alle misure che l’autorità nazionale può imporre sulle reti NGN[15] prevede che le condizioni e gli obblighi (tra cui anche eventuali modalità tariffarie che dipendano dai volumi o dalla durata del contratto): (i) siano proporzionati; (ii) riflettano correttamente le circostanze alla base delle decisioni di investimento (considerando anche i costi di sviluppo, il tasso di assorbimento presunto per i nuovi prodotti e servizi, nonché i prezzi al dettaglio); (iii) siano coerenti nell’arco di precisi periodi di revisione; (iv) rispettino la necessità di salvaguardare l’effettiva concorrenza dei servizi al consumatore e alle imprese; (v) tengano presente le diverse condizioni di concorrenza presenti nello stato; (vi) se consistono in misure correttive per il controllo dei prezzi, consentano un equo utile per l’investitore, considerato il progetto di investimento specifico (tenendo conto dunque del rischio sostenuto dalle imprese che hanno investito – riconoscendo ad esempio un premio specifico aggiuntivo alla ragionevole remunerazione del capitale – e consentendo accordi tra operatori per diversificare il rischio). L’obbligo di condivisione delle infrastrutture si estende peraltro a tutte le reti di nuova generazione, indipendentemente dal potere di mercato detenuto dall’operatore proprietario.

 

3.7    La separazione funzionale

 

Tra le soluzioni più discusse della riforma v’è la separazione funzionale, ovvero la creazione di entità commerciali tra loro separate sul piano operativo da parte di un operatore verticalmente integrato, che garantisca l’indipendenza dell’entità commerciale che fornisce servizi all’ingrosso (sul mercato wholesale). Qualora tale separazione sia frutto della libera decisione dell’operatore, l’autorità nazionale è tenuta a valutarne le conseguenze sui mercati; qualora invece sia imposta – comunque in via eccezionale – può giustificarsi come misura correttiva solo ove persista una discriminazione su taluni mercati o non vi sia una concorrenza effettiva tra infrastrutture e non sia neanche ipotizzabile in un tempo ragionevole[16]. L’esperienza avviata in alcuni stati membri di una separazione funzionale negoziata (in Italia, mediante la c.d. open access)[17] ha certamente stemperato il confronto, inizialmente aspro, tra Commissione e stati circa il potere – attribuito e concretamente esercitato, in altri mercati – delle autorità nazionali di imporre uno scorporo della rete dell’operatore storico, nelle varie forme in cui questo è stato di volta in volta paventato.

 

3.8    La sicurezza delle reti

 

Il tema della sicurezza delle reti, inizialmente uno dei profili più innovativi della riforma, ha progressivamente perso rilievo, parallelamente al ridimensionamento di quella originaria autorità europea che avrebbe dovuto occuparsi anche di questo, acquisendo il personale e le competenze dell’attuale ENISA (agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione)[18]. Le norme si limitano infatti ora a: imporre agli operatori l’obbligo di assicurare un livello di sicurezza adeguato al rischio esistente per garantire l’integrità della rete e la continuità della fornitura dei servizi; attribuire all’autorità nazionale il potere di verifica delle misure adottate dagli operatori, di imporne ulteriori se queste non vengono ritenute adeguate, nonché l’obbligo di notificare periodicamente una relazione sintetica sul punto all’ENISA. Per garantire una piena armonizzazione la Commissione, sentita l’ENISA, può adottare specifiche misure tecniche di attuazione della direttiva.

 

4.      Gli strumenti

 

Sin qui, i punti qualificanti della terza riforma. Il raggiungimento di questi obiettivi presupponeva però l’utilizzo di strumenti (sul piano normativo e dell’esecuzione), che nella dialettica istituzionale sono stati parzialmente modificati.

 

4.1    Gli strumenti normativi: le modalità della riforma

 

Il legislatore comunitario ha adottato una varietà di strumenti per riformare il quadro normativo delle comunicazioni elettroniche: direttive di armonizzazione (per la modifica delle direttive in vigore), un regolamento (per la costituzione dell’organismo europeo dei regolatori) e una raccomandazione (per la disciplina della rete di nuova generazione). La raccomandazione, come è noto, è atto non vincolante. Le direttive e i regolamenti vincolano gli stati in modo diverso: le prime in relazione ai fini, lasciando gli stati liberi di scegliere i mezzi per raggiungerli; i secondi sono invece vincolanti in ogni loro parte e direttamente applicabili. Nel quadro normativo del ‘secondo pacchetto’ del 2002, alle direttive di armonizzazione si affiancava un regolamento sull’accesso condiviso alle risorse di rete e una raccomandazione sui mercati da regolare. Il tema dell’accesso alla rete è mutato oggi sotto un duplice profilo: l’atto comunitario non è più un regolamento ma una raccomandazione e l’oggetto non è la rete tout court dell’operatore storico, ma quella di nuova generazione (peraltro con modalità differenti a seconda di come viene qualificata). Quanto ai mercati, vengono individuati sempre meno ex ante a livello comunitario. Viene infine istituito l’organismo europeo dei regolatori, in relazione al quale la base giuridica del regolamento è necessaria ormai – nella versione finale[19], solo per la costituzione di un ufficio cui viene riconosciuta personalità giuridica.

 

4.2    Gli strumenti esecutivi: il nuovo impianto sanzionatorio

 

L’attuazione concreta della disciplina comunitaria negli stati membri è stata sinora insufficiente, sotto una serie di profili. Tra tutti, l’impianto sanzionatorio predisposto dagli stati nei confronti degli operatori inadempienti alle disposizioni del ‘secondo pacchetto’ si è rivelato complessivamente poco efficace e non adeguato; pesa in particolare l’assenza di poteri effettivi dell’autorità nazionale in caso di mancata conformità degli operatori agli obblighi regolatori[20]. Con la terza riforma il legislatore comunitario dedica particolare attenzione a una disciplina sanzionatoria effettiva, con riferimento particolare al tema delle frequenze, consentendo all’autorità di comminare sanzioni pecuniarie o amministrative efficaci per far valere il rispetto delle condizioni dell’autorizzazione generale o dei diritti d’uso[21].

A tale proposito, il nuovo articolo 10, parr. 2 e 3 della direttiva 2002/20/CE, modificato dalla direttiva 2009/140/CE, prevede che nel caso in cui un operatore violi condizioni poste dall’autorizzazione generale (o relative ai diritti d’uso) o gli obblighi specifici eventualmente imposti, l’autorità notifichi quanto accertato e consenta all’impresa un contraddittorio effettivo. L’Autorità può altresì imporre immediatamente o comunque entro un tempo ragionevole misure adeguate e proporzionate per ottenere la cessazione della violazione, che possono consistere in sanzioni pecuniarie dissuasive (anche periodiche e con effetto retroattivo) o ingiunzioni a cessare o ritardare la fornitura di un servizio che, se continuata, comporterebbe un’asimmetria concorrenziale ingiustificata. Le misure devono prevedere un periodo ragionevole di tempo entro il quale l’impresa può conformarsi.

Violazioni gravi o ripetute degli obblighi (che dimostrano l’inefficacia delle misure adottate) possono comportare per l’impresa il divieto di continuare a fornire reti o servizi, o la sospensione  o il ritiro dei diritti d’uso, con l’applicazione eventualmente di sanzioni, anche pecuniarie, efficaci, proporzionate e dissuasive, anche nel caso in cui la violazione sia stata successivamente rimossa (art. 10.5, direttiva 2002/20/CE).

Qualora peraltro la violazione delle condizioni dell’autorizzazione generale, dei diritti d’uso o degli obblighi specifici comporti un rischio grave e immediato per la sicurezza pubblica, l’incolumità pubblica o la salute pubblica, o crei gravi problemi economici od operativi ad altri fornitori o utenti di reti o servizi o dello spettro radio, l’autorità può adottare misure provvisorie urgenti per porre rimedio alla situazione prima di assumere una decisione definitiva. Le misure provvisorie sono valide per un periodo di tre mesi, prorogabile di altri tre se le procedure di attuazione non sono ancora state completate (10.6, direttiva 2002/20/CE).

Il regime cautelare garantito dal diritto comunitario sembra avere un perimetro più ridotto rispetto a quello previsto nel nostro ordinamento sul piano normativo (e prima ancora, ‘conquistato’ di fatto dall’autorità). Nel nostro ordinamento infatti il potere cautelare dell’autorità non è condizionato sul piano soggettivo né oggettivo, né è riconducibile al perseguimento di determinate finalità,  essendo applicabile nei casi generali di necessità e urgenza[22]. Poiché però, secondo i principi generali del diritto comunitario, gli stati possono ben adottare misure più restrittive di quelle previste dalle direttive se queste non lo vietano (in quanto impongono un livello minimo di armonizzazione), l’attuale (più ampio) impianto cautelare e sanzionatorio di cui dispone l’autorità non dovrebbe configgere con il nuovo quadro comunitario.

Sanzioni pecuniarie possono essere comminate (art. 10.4, direttiva 2002/20/CE) anche alle imprese che non forniscono le informazioni richieste ex art. 11.1 lett. a) o b), direttiva 2002/20/CE o ex art. 9 direttiva 2002/19/CE.

Le misure, anche sanzionatorie, adottate (e le loro modifiche) devono essere comunicate alla Commissione[23]. Ciò anche al fine di garantire un’adeguata raccolta di informazioni sui ricorsi e le sospensioni delle decisioni delle autorità nazionali, necessaria per superare le attuali significative divergenze nell’applicazione negli stati della fase cautelare[24].

Quanto infine alla fase contenziosa, il nuovo articolo 4.1 della direttiva 2002/21/CE, come modificato dalla direttiva 2009/140/CE richiede che in tutti gli stati sia possibile, per le imprese ma anche gli utenti[25], impugnare il provvedimento dell’autorità nazionale dinnanzi a un organo indipendente (anche un tribunale) che sia competente a giudicare anche nel merito[26] e la cui decisione – che resta valida a meno di una riforma in sede cautelare – sia ricorribile in appello. Tutte le informazioni relative al contenzioso, sempre per le finalità di cui sopra, sono inviate anche al BERT.

 

[…]

 

 


 


[1] Si rinvia sul punto all’intervento in questo volume di F. Bassan L’evoluzione della struttura istituzionale nelle comunicazioni elettroniche: una rete non ha bisogno di un centro, parr. 5 e 6.

[2] Per alcune prime considerazioni sulla riforma del 2009 si veda G. L. Tosato, L’evoluzione della disciplina comunitaria delle comunicazioni elettroniche, in Il diritto dell’Unione europea, 2009, pp. 169 ss..

[3] Una prima versione del 2008 è stata modificata nel 2009 e sottoposta a consultazione.

[4] Così il considerando 2 della direttiva 2009/140/CE.

[5]  La disciplina relativa al nuovo organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche è nel Regolamento CE 1211/2009 e negli articoli 7, 7bis e 7ter della direttiva 2002/21/CE, nonché nell’articolo 8.3(ii) della direttiva 2002/19/CE, entrambe modificate dalla direttiva 2009/140/CE.

[6] La direttiva 2009/140/CE si occupa degli aspetti dello spettro radio nei consideranda da 25 a 40, e da 67 a 72, nonché nelle modifiche degli articoli 8 e 8bis della direttiva 2002/21/CE e dell’articolo 5 della direttiva 2002/19/CE. Sul tema si veda l’intervento in questo volume di G. Caggiano L’evoluzione del regime dello spettro radio.

[7] Considerando 24, direttiva 2009/140/CE.

[8] Tra questi, il considerando 25 della direttiva 2009/140/CE indica la regolamentazione dei contenuti, la politica audiovisiva e dei media, nonché il diritto degli stati membri di organizzare la gestione del proprio spettro radio e di usarlo per fini di ordine pubblico, pubblica sicurezza e difesa. Si è dunque in un ambito parzialmente diverso da quello previsto dall’articolo 86.2 Trattato CE (ora art. 106.2 TFUE).

[9] Considerando 28, direttiva 2009/140/CE.

[10] Articolo 9.3, direttiva 2002/21/CE, come modificata dalla direttiva 2009/140/CE.

[11]   Per una trattazione puntuale delle vicende si rinvia all’intervento in questo volume di F. Lattanzi – F. Cantella, Il servizio universale.

[12]  Si vedano i consideranda 7, 47 e 48 della direttiva 2009/140/CE, nonché gli articoli 14.3, 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE, come modificato dalla direttiva di cui sopra. Sul tema si rinvia all’intervento in questo volume di M. Siragusa- M. D’Ostuni – F. Marini Balestra,  I mercati rilevanti dei prodotti e servizi e la regolazione ex ante.

[13] Si vedano i consideranda da 54 a 57, direttiva 2009/140/CE, nonché i nuovi articoli – da questa modificati – 8.5, direttiva 2002/21/CE e 13.1, direttiva 2002/19/CE.

[14] Si rinvia all’intervento in questo volume di F. Bassan, L’evoluzione della struttura istituzionale nelle comunicazioni elettroniche: una rete non ha bisogno di un centro.

[15] Condizioni, termini e modalità differiscono in ragione del tipo di rete di nuova generazione, come specificato in dettaglio nella raccomandazione sull’accesso alle reti di nuova generazione, tuttora in discussione.

[16] Si vedano gli articoli 13bis e 13ter della direttiva 2002/19/CE, come modificati dalla direttiva 2009/140/CE, nonché i consideranda 61 e 64 di quest’ultima.

[17] Si rinvia sul punto all’intervento in questo volume di R. Caiazzo, L’accesso alla rete. Profili giuridici.

[18] Il tema è affrontato ora solo nel considerando 44, delibera 2009/140/CE, e negli articoli 13bis e 13ter della direttiva 2002/19/CE, come modificati dalla prima.

[19] Si rinvia sul punto all’intervento in questo volume di F. Bassan, L’evoluzione della struttura istituzionale nelle comunicazioni elettroniche: una rete non ha bisogno di un centro.

[20] Considerando 51 direttiva 2009/140/CE. Si vedano peraltro anche i rapporti annuali della Commissione ‘on the Implementation of the Telecommunications Regulatory Package’.

[21] Considerando 72, direttiva 2009/140/CE.

[22] Art. 12.6, D. lgs.vo 1 agosto 2003, n. 259.

[23] Così il nuovo articolo 21bis della direttiva 2002/21/CE, modificato dalla direttiva 2009/140/CE.

[24] Considerando 15 dir. 2009/140/CE.

[25] Qualora, evidentemente, sia loro riconosciuta legittimazione attiva in quanto ne sia riconosciuto un interesse. La questione appare di non poco momento e merita attenzione in sede di recepimento della direttiva, in quanto pone diverse questioni legate ad esempio alla legittimazione delle associazioni dei consumatori, ecc…

[26] E’ ragionevole ritenere che questa precisazione completi il percorso giurisprudenziale che ha condotto l’autorità giudiziaria a emanciparsi progressivamente dal paradigma della discrezionalità tecnica dell’autorità di regolazione, intervenendo sempre più nel merito delle questioni.

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