Italia
Il progetto ‘2010: Fibra per l’Italia’, presentato venerdì da Fastweb, Vodafone e Wind ha raccolto molti pareri favorevoli e qualche critica.
Il piano prevede un investimento iniziale di 2,5 miliardi di euro in 5 anni per coprire 15 città italiane (10 milioni di persone) con una rete FTTH (Fiber To The Home) in modalità punto-punto, che raggiungerà direttamente le case e le imprese e consentirà connessioni sempre più veloci con prestazioni ed affidabilità superiori all’attuale rete in rame, con l’ulteriore vantaggio derivante dai minori costi di manutenzione tipici della fibra.
In una fase successiva, il piano potrà essere esteso fino a coprire le città con più di 20 mila abitanti, raggiungendo così il 50% circa della popolazione italiana con un investimento totale di 8,5 miliardi di euro.
I tre operatori hanno quindi sollecitato l’apertura di un tavolo di lavoro per coinvolgere nel progetto il Governo, le Authority e tutti gli operatori e i soggetti pubblici e privati interessati, dalle utilities alla Cassa Depositi e Prestiti.
Per il Presidente della Commissione Trasporti e TLC della Camera, Mario Valducci, “…la creazione di una infrastruttura in fibra ad alte prestazioni unica e aperta a tutti gli operatori è un passo importante per consentire a Pubblica Amministrazione, famiglie e imprese l’erogazione e l’accesso ai contenuti e ai servizi digitali della Rete che oggi non può che essere concepita come ‘servizio universale’ tecnologicamente neutrale”.
L’iniziativa lanciata da Fastweb, Vodafone e Wind va “nella direzione della razionalizzazione tecnologica e organizzativa nel passaggio dal rame alla fibra e costituisce una buona premessa per attrarre gli investitori”.
Si tratta, ha aggiunto Valducci, della “…concreta evidenza della vitalità e delle eccellenze del Sistema Paese”.
È necessario, ha aggiunto comunque Valducci, stabilire una tempistica certa – un po’ come sta avvenendo per il passaggio alla Tv digitale – per evitare che anche questa iniziativa si perda nel mare delle intenzioni, lasciando il Paese nel gap tecnologico che lo attanaglia e lo distanzia dai livelli di innovazione dei maggiori paesi industrializzati.
Quello delle tlc, ha sottolineato Valducci, è un settore “…assolutamente strategico per la competitività attuale e futura del Paese che non può più permettersi un divario tecnologico così marcato a fronte dell’incessante evoluzione tecnologica che non consente di perdere il passo”.
I promotori dell’iniziativa hanno quindi più volte sollecitato la partecipazione al progetto, oltre che dell’incumbent Telecom Italia, anche della Cassa depositi e prestiti. Il presidente della CDP, Franco Bassanini, ha risposto positivamente all’appello, ma ha ribadito che l’ente parteciperà al progetto di infrastrutturazione del paese soltanto se questo garantirà una redditività “certa e adeguata”.
La CDP, ha spiegato, ha tra le sue missioni fondamentali l’infrastrutturazione del Paese e la rete NGN “rappresenta uno dei grandi asset infrastrutturali del Paese e sicuramente rientra nelle nostre missioni, in quanto driver di crescita e competitività”.
Ricordando che la CDP non è un ente pubblico, ma “una società privata sia pure partecipata dallo Stato che gestisce risorse private” – quasi 200 miliardi di risparmi postali delle famiglie oltre alle risorse raccolte su mercato da investitori o risparmiatori che hanno sottoscritto bond della Cassa – Bassanini ha sottolineato che la condizione essenziale per un intervento è, dunque, che ci sia un progetto “che dia una redditività certa e adeguata visto che noi utilizziamo risparmio delle famiglie”.
La rete, inoltre, deve essere unica: come sottolineato anche dal Rapporto di Francesco Caio, non ci sono infatti le condizioni – se non in alcune situazioni particolari – di un eventuale raddoppio di una rete tanto costosa dal momento che, ha aggiunto, “…non è pensabile che ci siano le condizioni perché entrambe siano redditizie una volta che mercato si distribuisce tra le due”.
La CDP, insomma, potrebbe partecipare a progetti locali, come quelli avviati in Trentino e Lombardia, o a un ‘piano nazionale’ che potrebbe svilupparsi in due modi: come federazione di progetti locali oppure, potenziando – con il contributo e il consenso di tutti gli operatori – l’attuale rete in rame.
Questa seconda ipotesi ha però fin qui incontrato diverse difficoltà, che hanno portato appunto, alla nascita del progetto ‘alternativo’, di cui – ha affermato ancora Bassanini, “non si conosce ancora la redditività”.
Allo stesso modo, anche Tiscali attende di conoscere ulteriori dettagli del piano per valutare la propria partecipazione. In particolare, la società guidata da Luca Scano aspetta che vengano rese note le regole che disciplineranno la newco che si occuperà di realizzare la rete e che – hanno sottolineato i promotori – non vedrà nessun operatore predominare sugli altri.
“Siamo convinti che un progetto per realizzare la fibra ottica in Italia sia una sfida di carattere industriale, politico ed economico, una importante opportunità di sviluppo del mercato che nessun operatore può trascurare”, ha spiegato Scano.
Per i piccoli azionisti di Telecom Italia, riuniti in Asati, il progetto presentato venerdì è soltanto una ‘provocazione’, per sollecitare condizioni di accesso più vantaggiose alla rete Telecom.
Secondo Asati, “…la nuova rete costituirà un’efficace leva di sviluppo dell’economia e dei nuovi servizi solo se implementata a livello nazionale e adatta a veicolare tutta la gamma dei servizi in concorrenza a livello di federalismo non solo fiscale ma anche tecnologico”.