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Nel tentativo di dare al mondo l’idea di cosa voglia dire dover accontentare le richieste dei diversi governi in fatto di restrizioni ai contenuti web, Google ha pubblicato, per la prima volta, la lista completa delle richieste dei diversi Stati, relative sia alla rimozione di dati da una pagina web, sia all’acquisizione di informazioni sugli utenti.
La classifica esclude ovviamente la Cina – dove queste richieste vengono classificate come ‘segreti di Stato’ – e vede al primo posto il Brasile con oltre 3.600 richieste, seguito dagli Usa con 3.580 e dal Regno Unito con 1.166.
L’Italia ha presentato alla società 550 richieste di dati, con 57 richieste di rimozione dal web, il 75,4% delle quali sono state soddisfatte completamente o parzialmente. Tra queste, 39 richieste sono relative a video su Youtube (6 rimozioni, in questo caso, sono state ordinate da un giudice) le altre riguardano contenuti di blog, di ricerche e gruppi.
Il lancio del tool per monitorare le richieste di censura, annunciato sul blog ufficiale, arriva all’indomani della lettera inviata alla società da 10 garanti privacy (incluso quello italiano) per protestare contro la “grave mancanza di riguardo per regole e norme fondamentali in materia di privacy” del servizio di social network Google Buzz.
“L’articolo 19 della Dichiarazione Universale sui diritti umani – scrive il Chief Legal Officer David Drummond sul blog – stabilisce che ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
“Scritto nel 1948 – continua Drummond – il principio si applica opportunamente a Internet di oggi, uno dei più importanti mezzi di espressione nel mondo. Eppure, la censura dei governi sul web è in rapida crescita: dal puro e semplice blocco e filtraggio dei siti, a ordinanze del tribunale per limitare l’accesso alle informazioni, alla legislazione che obbliga le imprese all’autocensura dei contenuti”.
“Non è una sorpresa che Google, come altre compagnie del web, riceva regolarmente dai governi richieste per rimuovere contenuti dai propri servizi. Certo, molte di queste richieste sono assolutamente leggitiime, come quelle relative alla pedopornografia. Riceviamo anche regolarmente – aggiunge Drummond – richieste da parte di organi di polizia che vogliono consegnati dati provati degli utenti. Anche in questo caso, la maggior parte delle richieste sono valide e le informazioni servono per portare avanti inchieste legittime. Tuttavia i dati relativi a queste attività non sono stati ampiamente disponibili, mentre noi crediamo che una maggiore trasparenza porti a meno censura”.
Attualmente, dice Google, sono circa 40 i governi che censurano le informazioni, contro i 4 del 2002.
Tutti parlano della Cina, insomma, ma il paese non è, evidentemente un caso isolato: “…i servizi Google, dalla ricerca ai blog, da YouTube a Google Docs – ha affermato la vicepresidente della comunicazione di Google, Rachel Whetstone – hanno subito blocchi e/o restrizioni in 25 dei 100 paesi in cui sono attivi”.
La società, afferma inoltre Drummond, cerca già di essere “il più trasparente possibile: quando possiamo notifichiamo agli utenti le richieste che possono coinvolgerli personalmente, se rimuoviamo un contenuto dai risultati di ricerca, pubblichiamo un messaggio agli utenti”.
La decisione di lanciare questo nuovo tool, “porta questa trasparenza un passo più avanti e i numeri riflettono il numero totale di richieste ripartite per competenza. Abbiamo deciso inoltre di condividere – conclude Drummond – la percentuale di richieste soddisfatte e, in futuro, siamo decisi a fornire anche ulteriori dettagli circa la nostra conformità con le richieste relative ai dati degli utenti”.