Italia
Lo aveva ribadito più volte Franco Bernabè, il suo no allo scorporo della rete di Telecom Italia, il gruppo che è tornato a dirigere dal 2007, e lo ha ripetuto di nuovo in una lettera pubblicata questa mattina dal quotidiano La Repubblica, inviata dall’ad in risposta all’editoriale – comparso lunedì sull’inserto economico-finanziario Affari e Finanza – in cui Massimo Giannini paragonava il manager al tenente Giovanni Drogo del ‘Deserto dei tartari‘, “…agguerrito e isolato, a difendere quella specie di Fortezza Bastiani che è ormai diventata la povera Telecom “.
“Come l’eroe di Buzzati – scriveva Giannini – anche il manager altoatesino vigila su un avamposto solitario, che sta perdendo soldi, valore e rilevanza strategica. E come l’eroe di Buzzati, non sa bene neanche lui chi siano i suoi alleati e i suoi nemici”.
Un accostamento definito “suggestivo” da Bernabè che ha innanzitutto difeso il gruppo e i suoi lavoratori: Telecom “non è una fortezza” ed è “sbagliato e offensivo” affermare che operi “ai confini del regno”. I suoi dipendenti, ha aggiunto, “non si interrogano sul proprio ruolo e sono ben coscienti che la loro missione è quella di fornire infrastrutture e servizi sempre più innovativi ed efficienti per sostenere la competitività del sistema Paese e per rendere la vita più semplice ai cittadini”.
Sul fatto poi che la società stia perdendo soldi e valore, Bernabè risponde coi numeri a sua disposizione: “nonostante la crisi, il margine operativo lordo organico si è stabilizzato intorno a 11,3 miliardi mentre il margine operativo netto dei primi nove mesi dello scorso anno e’ aumentato passando da 4,1 a 4,3 miliardi”, ha scritto ancora Bernabè, sottolineando che nel piano strategico 2009-2011 sono stati previsti investimenti in infrastrutture per 6,7 miliardi di euro.
Secondo la valutazione di Giannini, i soci italiani di Telecom – Generali, Mediobanca e Intesa – sono insoddisfatti dell’andamento dell’azienda, gravata da debiti per oltre 35 miliardi e con margini in calo costante sul fisso e sul mobile. “Nonostante questo, non scuciono un euro per aumentare il capitale, ma in compenso continuano a pompare ricchi dividendi. Bernabè si sbatte, ma più di tanto non sa o no può fare. Persegue ostinatamente la sua strategia di stand alone. Ma ormai il capolinea è vicino”.
“A noi – ha risposto Bernabè – è chiarissimo cosa Telecom Italia debba fare ed è esattamente quello che abbiamo fatto e che continueremo a fare: mantenere l’integrità dell’azienda a dispetto di quelli che suggeriscono una sua amputazione”.
Oltre al fatto che la separazione della rete è una strada mai percorsa in nessun altro paese, e non volendo considerare che l’idea cozza, “oltre che con i limiti del buon senso”, anche contro quelli della realizzabilità – “tenuto conto che i circa 34 miliardi di euro di debiti di Telecom Italia si sostengono proprio anche grazie al valore e ai flussi di cassa generati dalla rete”, Bernabè ha quindi difeso l’operato del gruppo sul piano regolatorio.
“Alla questione regolatoria – ha spiegato – è stata data una risposta precisa, puntuale ed efficace con la sottoscrizione da parte di Telecom degli impegni resi vincolanti con l’Autorità per le comunicazioni e con la creazione di Open Access”.
Telecom, insomma, non seguirà “…strade impervie, inesplorate, fantasiose e fortemente a rischio, quali la separazione della rete o altre soluzioni non concrete”.
Lo stesso, tuttavia, vale la considerazione finale di Giannini, che si chiede come farà la società a risolvere l’emergenza Sparkle, che costerà – tra sanzioni e sovrattasse – “circa 600 milioni di euro”. Secondo il giornalista per coprire questo buco bisognerà vendere la quota del 50% in Telecom Argentina e, a questo punto, conclude, Telecom “varrà sempre meno, e sarà ancora più sola e più vuota. A chi conviene lasciarla deperire così?”.