Italia
Per la campagna Donne e Tv, lanciata da Key4biz a sostegno dell’appello alle istituzioni di Gabriella Cims, pubblichiamo oggi l’adesione di Alida Castelli consigliera di parità regione Lazio.
L’uso del corpo delle donne nei media è strettamente legato al ruolo che ad esse si vuol riconoscere. Poco presenti sul mercato del lavoro, spesso con lavori precari, riusciamo ad “apparire” solo a determinate condizioni: perché oggetto di episodi di cronaca nera, o perché dotate di un fisico da “esposizione”. Non fanno notizia le lavoratrici (e del resto ne fanno poco anche i lavoratori) con il loro bagaglio giornaliero di lavoro e di doppio lavoro. La stessa pubblicità è spesso una pura ridicolizzazione del ruolo delle donne sia nel lavoro che nella vita domestica. Recentemente, sono stata colpita dalla pubblicità realizzata da alcune atlete, per una nota casa di merendine: qualunque sia la loro specializzazione sono sempre legate agli stereotipi più tradizionali. In tutti i casi lo spazio che i media ci riservano è del tutto marginale. Lo dicono le molte ricerche sul tema, e gli osservatori che di volta in volta spesso per caparbia volontà di alcune donne, offrono dati sempre sconsolanti. Per di più, la presenza femminile è comunque sempre legata a stereotipi e negata anche nel linguaggio.
L’entrata in scena, anche se modesta, di ministre e sottosegretarie, o donne nei luoghi di potere, non ha aiutato molto, infatti, per veicolare un’immagine positiva delle donne. Né gli addetti ai lavori ci aiutano.
La ministra per le pari Opportunità si fa chiamare e viene chiamata “ministro”. La presidente di Confindustria è semplicemente “il” presidente. Come ci ricordava, anni fa, Alma Sabatini nel suo insuperato testo “Per un uso non sessista della lingua italiana”, “il desiderio, non sempre conscio di dar risalto al diverso livello della carica, è forse spesso il motivo che induce molte donne nei gradi più alti, ma non solo, a preferire il titolo maschile, il che, d’altra parte non fa che confermare che il genere maschile, è il più autentico detentore di prestigio e di potere e che la donna, se vuol salire di grado, ad esso si deve adeguare“.
Credo che questa osservazione sia oltremodo calzante: anche le donne più potenti o più importanti sfuggono dall’appartenenza al loro genere molto probabilmente perché anche loro lo vedono poco valorizzato se non addirittura mortificato.
Dare dignità e visibilità alle donne nei media richiede uno sforzo di cultura che proprio le donne, quelle che potrebbero farlo, a volte non fanno.
Vale per le giornaliste, con rare ad apprezzate eccezioni, oltre che, come abbiamo visto, per tutte quelle, che potrebbero imporre una attenzione al genere, attenzione che non dimostrano.
Richiamare l’attenzione su questi temi mi sembra di grande valore, nel lungo cammino che abbiamo percorso nella conquista di fondamentali diritti, nel lavoro e nella famiglia credo che dobbiamo porci l’obiettivo di conquistarci un altro diritto fondamentale :quello della nostra visibilità.
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