Mondo
Sempre più Stati si stanno dotando, o pensano di farlo, di legislazioni repressive nei confronti di internet: e non si tratta solo di nazioni ‘famose’ per la loro scarsa propensione verso i diritti umani come la Giordania, il Kazakistan o l’Iraq. Anche molte democrazie occidentali, in nome della lotta contro la pedopornografia o per la tutela della proprietà intellettuale, non sfuggono a questa logica: “leggi e decreti sono stati adottati o sono in fase di esame in Australia, Francia, Italia e Gran Bretagna”, mentre a livello internazionale, l’accordo ACTA contro la contraffazione, “è stato negoziato in maniera privata, senza consultare le ONG e la società civile”.
Il 12 marzo 2010, Reporters sans Frontières ha celebrato la giornata mondiale contro la cyber censura, destinata a mobilizzare l’opinione pubblica a sostenere un internet libero e accessibile a tutti e a ricordare che, creando un nuovo spazio per lo scambio di idee e informazioni, la rete è anche vettore di libertà.
RsF ha quindi pubblicato un rapporto “Web 2.0 Vs Controllo
I nuovi media, in particolare i social network, hanno messo a disposizione delle persone – soprattutto nei paesi più autoritari – strumenti che permettono di mettere in discussione lo status quo, diventando motori di contestazione e mobilitazione.
“Internet – spiega RsF – rappresenta il crogiuolo in cui le società civili soffocate nascono e si sviluppano”.
Un semplice video su YouTube o un post su Twitter – per esempio nel caso delle contestazioni dell’onda ‘verde’ in Iran – possono essere sufficienti a spiegare al mondo intero gli abusi di un regime autoritario.
E così, i governi più repressivi sono passati ai fatti e, grazie anche alle più nuove tecnologie, arresti, intimidazioni e sorveglianza sono decisamente aumentati. Nel 2009, secondo i dati dell’associazione, sono stati una sessantina – il doppio dell’anno precedente – i paesi coinvolti in una qualche forma di censura del web.
Circa 120 blogger, internauti e cyberdissidenti sono in prigione per aver espresso la loro opinione online: alla Cina il triste il primato, con 72 detenuti, seguita dal Vietnam e l’Iran.
In quanto ostacolo agli scambi economici, la censura del web dovrebbe figurare – secondo RsF – in cima all’agenda dell’organizzazione mondiale del commercio: “Diversi Paesi, come la Cina o il Vietnam, dovrebbero essere costretti ad aprire la rete internet prima di potersi unire al villaggio globale del commercio mondiale”.
L’associazione cita poi i Paesi scandinavi come esempio della strada da seguire: in Finlandia, l’accesso a internet è diventato un diritto fondamentale dei cittadini, come l’acqua e ogni casa dovrà avere una connessione di almeno 1 Mbps entro la fine di agosto 2010 e di 100Mbps entro il 2015.
Il Parlamento islandese sta esaminando invece una proposta di legge ambiziosa – Icelandic Modern Media Initiative (IMMI) – destinata a proteggere le libertà su internet, garantendo la trasparenza e l’indipendenza dell’informazione.
Di contro, aumenta il novero degli Stati ‘Nemici di Internet’.
La lista riunisce Arabia Saudita, Birmania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Egitto, Iran, Uzbekistan, Siria, Tunisia, Turkménistan e Vietnam.
Tra questi, Birmania, Corea del Nord, Cuba e Turkmenistan impediscono ai cittadini di accedere a internet in maniera assoluta; Arabia Saudita e Uzbekistan optano per un filtraggio massiccio e incitano gli internauti all’autocensura.
Cina, Egitto, Tunisia e Vietnam puntano su una strategia di sviluppo del web a fini economici, ma controllano strettamente i contenuti politici e sociali, mostrando una profonda intolleranza verso le voci critiche.
In un cyberspazio in cui a tratti si respira di nuovo un clima da guerra fredda – con le superpotenze Usa e Cina impegnate in un braccio di ferro con al centro Google, che potrebbe presto lasciare il Paese asiatico – sorprende quindi la grande solidarietà dei net-citizen nei confronti degli internauti vessati dai dettami censori dei loro governi: migliaia di iraniani utilizzano ad esempio proxi destinati agli internauti cinesi, mentre blogger e dissidenti cominciano a unirsi in gruppi per rendere più efficaci le loro rimostranze.
“Che le loro cause siano nazionali o mondiali, la battaglia che stanno portando avanti deciderà il volto dell’internet del futuro. La resistenza si sta organizzando”, conclude RsF.