Italia
Lunedì scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo (c.d. “decreto Romani”) di recepimento della direttiva sui servizi di media audiovisivi, modificando in maniera significativa il Testo Unico della Radiotelevisione (sin dal nome, mutato in Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici).
Le modifiche apportate dal decreto Romani sono visibili, in formato “revisioni”, nella versione consolidata del Testo Unico che abbiamo realizzato allo scopo di fornire agli operatori un documento di facile e rapida consultazione, in attesa della pubblicazione dei testi normativi ufficiali.
In questo articolo illustreremo, in maniera estremamente sintetica, alcune delle principali innovazioni introdotte dal decreto Romani. Poiché l’esame di un testo normativo così ricco e complesso non può essere ridotto a poche righe, ci limiteremo in questa sede ad individuare alcuni temi di discussione, ciascuno dei quali sarà nelle prossime settimane oggetto di approfondimento specifico nell’ambito di un ciclo di seminari.
Il tema della disciplina dei siti internet ed in particolare delle piattaforme che utilizzano user-generated content, per la ricchezza di spunti che offre, sarà affrontato in un separato articolo.
Product placement
Una delle novità più attese è il product placement, il cui impiego è consentito dal nuovo Testo Unico in film, serie TV, programmi sportivi e programmi di intrattenimento leggero, esclusi i programmi per bambini.
L’inserzionista potrà pagare in denaro o fornire gratuitamente beni e servizi.
E’ previsto l’inserimento di avvisi idonei a rendere lo spettatore edotto della presenza di product placement all’interno del programma. Tali avvisi devono essere trasmessi all’inizio e alla fine del programma, nonché alla ripresa del programma dopo ogni break pubblicitario. Va notato quanto segue:
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l’obbligo di inserire l’avviso sulla presenza di product placement si applica solo nel caso in cui il programma sia prodotto o commissionato dall’emittente o da una società da essa controllata (quale regime si applica ai programmi prodotti dalle società controllanti o soggette a comune controllo?);
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non viene chiarito quale debba essere il contenuto di tale avviso (basterà indicare che il programma contiene product placement o si dovranno specificare i marchi e prodotti oggetto di inserimento promozionale?);
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gli altri requisiti a cui i programmi contenenti product placement devono conformarsi (non dare indebito rilievo ai prodotti, non fare specifici riferimenti promozionali, non essere influenzati nei contenuti) trovano invece applicazione anche ai programmi prodotti da soggetti terzi, che dovranno quindi avere consapevolezza dei limiti posti dalla disciplina del Testo Unico;
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non è previsto un limite di valore al di sotto del quale la fornitura di beni e servizi non si considera product placement, per cui qualunque programma che si avvalga di prodotti forniti gratuitamente potrebbe essere obbligato ad inserire l’avviso relativo alla presenza di product placement.
Alcuni dei nodi sopra indicati potranno essere sciolti dai codici di autoregolamentazione che gli operatori hanno l’obbligo di adottare. Inoltre, nonostante la previsione di tali procedure di autoregolamentazione, sicuramente anche l’AGCOM giocherà un ruolo importante nel ridefinire la disciplina pubblicitaria, intervenendo ad integrare, con norme di dettaglio, le previsioni legislative (è probabile quindi che a breve anche il regolamento AGCOM 538/01/CSP subisca consistenti modifiche).
Affollamento pubblicitario
La modifica dei limiti di affollamento dei messaggi pubblicitari è, insieme alle norme su internet, il tema che ha avuto maggiore risalto sulla stampa.
Per le emittenti in chiaro resta il duplice limite orario (18%) e giornaliero (15%) relativo agli spot pubblicitari, mentre alle emittenti a pagamento si applica un limite orario più basso, che si ridurrà progressivamente (16% nel 2010, 14% nel 2011, 12% dal 2012 in poi).
Va notato che le emittenti a pagamento non sono soggette a tetti di affollamento giornalieri, per cui durante il primo anno di applicazione dei nuovi limiti, le emittenti a pagamento potranno trasmettere, su base giornaliera, più pubblicità rispetto alle emittenti in chiaro (alle Pay TV si applicherà infatti un limite del 16%, a fronte del 15% delle emittenti in chiaro). Tuttavia, sotto il profilo economico il lieve vantaggio su base giornaliera (peraltro limitato al solo 2010) non potrà probabilmente bilanciare i mancati introiti pubblicitari dovuti all’applicazione del più severo limite orario, che inciderà sulla raccolta pubblicitaria durante il prime time e le altre ore “pregiate” (nelle quali si registra il maggior numero di telespettatori e quindi il valore del singolo passaggio pubblicitario è più alto).
Sia emittenti in chiaro che emittenti pay potranno aggiungere agli spot pubblicitari (ai quali si applicano i limiti sopra indicati) 1 ora e 12 minuti giornalieri di “forme di pubblicità diverse dagli spot”.
Inoltre, non si computeranno ai fini dell’affollamento pubblicitario (i) le televendite di durata pari ad almeno 15 minuti, (ii) i messaggi di autopromozione, (iii) gli annunci di sponsorizzazione, (iv) il product placement, (v) i messaggi pubblicitari diretti a promuovere libri e trasmessi gratuitamente o a condizioni ei favore, (vi) i trailer cinematografici di film europei (ma probabilmente nella prassi anche i trailer di film extra-UE potranno continuare a sottrarsi all’affollamento pubblicitario, adottando l’accorgimento di essere presentati nell’ambito di rubriche di informazione cinematografica).
Si ricorda infine che ai fini del rispetto dei limiti di affollamento si applica il criterio dell'”ora sfasata” anziché quello dell’ora naturale (ambedue le soluzioni erano state ritenute praticabili dalla Commissione europea nella Comunicazione interpretativa del 2004 relativa alla pubblicità televisiva).
Non ci si sofferma sulle nuove norme in materia di interruzioni pubblicitarie, che vengono rese più flessibili (tra l’altro, in coerenza con quanto previsto dalla direttiva, i film potranno essere interrotti una volta per ogni periodo di 30 minuti – prima erano 45 -; inoltre, è stata eliminato l’obbligo di far trascorrere 20 minuti tra due interruzioni all’interno dello stesso programma).
Numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre (LCN)
Nel corso delle sue audizioni in Parlamento sullo schema di decreto Romani, il Presidente dell’AGCOM Corrado Calabrò aveva auspicato che il Governo cogliesse l’opportunità offerta dal recepimento della direttiva per disciplinare la LCN della televisione digitale, che è stata sinora terreno di uno scontro senza regole tra emittenti televisive.
Le competenti Commissioni di Camera e Senato hanno fatto proprio questo suggerimento, recependolo nei pareri indirizzati al Governo. Accogliendo tale proposta, il Governo ha inserito nel decreto Romani delle norme dirette a regolare la LCN.
Il piano di numerazione sarà stabilito dall’AGCOM, sulla base dei criteri fissati dal decreto Romani, in forza dei quali le prime posizioni saranno assegnate ai canali generalisti nazionali (ossia gli ex analogici nazionali) e le altre suddivise in fasce tematiche (canali semigeneralisti, bambini e ragazzi, informazione, cultura, sport, musica e televendite), assicurando alle emittenti locali “adeguati spazi” nel primo arco di numeri.
Sulla scorta del piano di numerazione predisposto dall’AGCOM, il Ministero attribuirà a ciascun canale la numerazione spettante, che diverrà un elemento dell’autorizzazione (la quale potrà essere sospesa o persino revocata in caso di mancato rispetto della regolamentazione della LCN).
Va rilevato come la disciplina della LCN sia assente nella direttiva e neppure sia riferibile, anche solo implicitamente, alla legge delega, circostanza che induce a dubitare seriamente della costituzionalità delle norme introdotte dal decreto Romani relative a questa materia.
Tutela del diritto d’autore
Il decreto Romani punisce con una sanzione amministrativa che può superare i 50.000 euro non solo la trasmissione di opere cinematografiche in violazione dei termini temporali pattuiti tra le parti (previsione contenuta nella direttiva), ma anche qualunque altro caso di inosservanza delle condizioni concordate con il rightowner (quindi anche numero di passaggi, rispetto delle finestre temporali, divieti di endorsement, etc.: tutte ipotesi non contemplate dalla direttiva).
La medesima sanzione può essere irrogata ai fornitori di servizi di media audiovisivi che trasmettano o ri-trasmettano o mettano comunque a disposizione degli utenti, su qualsiasi piattaforma, programmi oggetto di diritti di proprietà intellettuale di terzi, senza il consenso dei titolari. Anche questa ipotesi era assente nella direttiva.
L’AGCOM viene delegata (i) ad emanare il regolamento necessario per rendere effettiva l’osservanza dei limiti e dei divieti relativi al diritto d’autore e (ii) ad irrogare le relative sanzioni.
Il decreto Romani introduce quindi una tutela di natura amministrativa del diritto d’autore, accanto ai tradizionali strumenti civilistici e (nei casi più gravi) di carattere penale già previsti dall’ordinamento.
Protezione dei minori
Il decreto Romani prevede che i film vietati ai minori di anni 14 possano essere trasmessi solo dopo le 22,30 (e fino alle 7 del mattino); i film vietati ai minori di anni 18 (categoria, questa, ben più ampia rispetto a quella di pornografia) e i programmi per soli adulti (secondo la classificazione che ciascun operatore dovrà adottare) potranno essere trasmessi solo dopo le 23 e comunque dovranno essere resi accessibili esclusivamente agli adulti mediante l’adozione di codici identificativi o altre procedure di filtraggio le cui caratteristiche saranno stabilite dall’AGCOM con procedura di co-regolamentazione.
Le citate norme a tutela dei minori si applicano indifferentemente sia alla televisione (servizi lineari) che ai servizi on-demand (non lineari), sia alle trasmissioni in chiaro che a quelle a pagamento, su qualunque piattaforma di trasmissione (compreso internet).
Pur con la cautela che è opportuna quando si affronta un tema importante e delicato come la tutela dei minori, sembra che le norme oggetto di commento impongano obblighi sproporzionati rispetto al fine che si prefiggono, il quale potrebbe essere efficacemente raggiunto senza vietare radicalmente la trasmissione di contenuti inadatti ai minori durante le ore diurne. L’adozione di adeguate procedure di filtraggio e di misure di riconoscimento dell’utente dovrebbe infatti essere ragionevolmente sufficiente a scongiurare, nella normalità dei casi, il rischio che minori (o adulti non consenzienti) vengano esposti alla visione dei contenuti in discorso.
Pay per view e canali time shifted
Il nuovo Testo Unico prevede espressamente l’esclusione dalla nozione di palinsesto televisivo della “trasmissione differita dello stesso palinsesto“, delle “trasmissioni meramente ripetitive” e della “prestazione, a pagamento, di singoli programmi, o pacchetti di programmi, audiovisivi lineari, con possibilità di acquisto da parte dell’utente anche nei momenti immediatamente antecedenti all’inizio della trasmissione del singolo programma, o del primo programma, nel caso si tratti di un pacchetto di programmi“.
Per effetto di questa disposizione i canali time shifted (es.: +1, +2, +3, ma anche eventuali canali +24, +72, etc., ove tali soluzioni vengano esplorate) non si computeranno ai fini del rispetto del limite anticoncentrazione in base al quale nessun operatore può controllare più del 20% dei canali della televisione digitale terrestre.
Quale “effetto collaterale” di questa impostazione, potrebbe ritenersi che i canali time shifted non necessitino più di autorizzazione. Infatti, attualmente ciascun fornitore di contenuti deve richiedere tante autorizzazioni quanti sono i canali che esercisce (compresi i canali time shifted). Poiché il decreto Romani esclude i canali time shifted dalla nozione di palinsesto (equivalente normativo di quello che comunemente viene indicato come canale televisivo), ne deriverebbe il venir meno dell’obbligo, per gli operatori, di ottenere un’autorizzazione per ogni canale time shifted.
Quanto alla pay per view, lo schema di decreto legislativo approvato in via preliminare dal Governo a dicembre eliminava l’inciso che qualificava la pay per view come servizio della società dell’informazione. Sulla scorta dei pareri delle Commissioni parlamentari, la pay per view è tornata ad essere menzionata nella definizione di “fornitore di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato”, ottenendo il duplice effetto di elevare in modo indiretto il limite alle concentrazioni di cui all’articolo 43 del Testo Unico (il 20% dei canali digitali terrestri sopra ricordato) e di sottrarre la pay per view alla disciplina dei servizi radiotelevisivi (fatta salva l’estensione a quest’ultima di alcuni obblighi specificamente individuati, quali ad esempio gli obblighi di investimento in opere di produttori indipendenti europei).
Sia la disciplina dei canali time shifted sia quella della pay per view presentano profili di dubbia legittimità, in quanto da un lato si tratta di misure non previste dalla direttiva (che non interviene sul regime autorizzatorio) o in contrasto con la stessa (in base al diritto comunitario la pay per view deve essere qualificata come servizio televisivo, come chiarito già nel 2005 dalla sentenza Mediakabel della Corte di Giustizia e come confermato dalla direttiva), dall’altro non sembrano trovare adeguata copertura nella delega legislativa.