L’iPad, i tablet ed il futuro dei contenuti online. I nuovi scenari del business nell’era del ‘tutto gratis’

di di Daniela De Pasquale (Partner dello Studio Legale La Scala) |

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Dopo l’ondata di commenti, apprezzamenti e critiche che hanno salutato il lancio dell’iPad, ultima creatura di Apple, nell’ambiente dei creatori di contenuti per i new media ci si chiede se l’iPad, i tablet, netbook, e-reader e la nuova generazione di smart phone siano in grado di aprire nuovi scenari legati alla possibile evoluzione delle esigenze degli utilizzatori della rete.

 

In particolare, il dubbio sollevato da Steve Jobs è: vi è spazio per la vendita di contenuti a pagamento nell’era del “tutto gratis”, di Google, YouTube e della condivisione propria di tutti i social network?

 

Con riferimento al settore musicale, l’IFPI, (organismo che raggruppa le collecting society europee che gestiscono i diritti delle case discografiche) nel suo Rapporto 2009, appena edito, comunica che il 95% della musica utilizzata via internet è scaricata illegalmente e ciò malgrado il crescente successo delle licenze rilasciate on line alle piattaforme dedicate.

 

Apple sembra però credere nel futuro dei contenuti a pagamento: forte della rivoluzione già posta in essere nel mondo della musica con iTunes e del notevole successo già ottenuto con la vendita di applicazioni per l’iPhone, ha stipulato importanti accordi con alcuni dei principali editori che operano nei Stati Uniti affinché, mediante l’iPad, gli utilizzatori abbiano accesso ai cataloghi di queste case editrici, potendo “sfogliare” comodamente, senza più passare dalla libreria, migliaia di titoli. Apple, ed anche questo fatto appare assai significativo, ha raggiunto anche importanti intese con alcune prestigiose testate giornalistiche (tra cui il New York Times) per la distribuzione online delle notizie.

 

Del resto, che la nuova sfida digitale, dopo avere stravolto gli equilibri e gli assetti economici del settore musicale (da Napsters fino ad iTunes, appunto), si indirizzasse verso il settore dell’editoria era intuibile da diversi segnali. Quest’estate Google ha lanciato l’ambizioso piano di Google Books: rendere subito disponibili milioni di volumi non appartenenti ai cataloghi attualmente editi negli Stati Uniti imponendo accordi basati sul “silenzio assenso” ai relativi editori. La questione ha destato una reazione piuttosto accesa tra gli editori statunitensi ed il progetto è tuttora in via di definizione. Tuttavia esso indica chiaramente quale sia l’ambizione di Google: creare una sorta di biblioteca universale mettendo un formidabile strumento di ricerca a disposizione della comunità di internet, da associare all’offerta dei cataloghi già online.

 

Ma il grande interrogativo resta: è possibile immaginare una migrazione degli utenti verso i contenuti online a pagamento? Alcuni indicatori parrebbero suggerire che ciò possa accadere.

 

Innanzitutto la generale e crescente esigenza di contenuti attendibili e sicuri. Da più parti a gran voce si segnala la perdita di fiducia degli utilizzatori verso un mezzo che, al pari dell’ambiente analogico, si presta alla censura, alla approssimazione, all’influenza (più o meno occulta) del marketing e la grande sfida del web 3.0 appare appunto quella di un’offerta di contenuti più matura e consapevole: in sostanza a fronte di un’offerta pressoché illimitata di informazioni e contenuti oggi si richiede più qualità.

 

Inoltre oggi le società che si caratterizzano per una economia più evoluta sono le stesse in cui si registra una maggior attenzione per gli interessi dei titolari dei diritti d’autore, con la tendenza ad inasprire le sanzioni verso gli utilizzatori che scaricano illegittimamente i contenuti ed a infrangere la barriera comunitaria della neutralità degli operatori di telecomunicazione – prevista dalla Direttiva 31/2001 – i quali sono sempre più spesso chiamati a rispondere di illeciti commessi mediante i propri servizi.

 

Occorrerà individuare quali prodotti culturali saranno più richiesti dal pubblico e si prestino ad essere fruibili in modalità on line: oltre all’entertainment, alle opere letterarie ed alla informazione è probabile che possa sin da subito beneficiare della interattività e particolare fruibilità offerta dall’ iPad (e dai prodotti concorrenti affini che stanno già affollando il mercato), anche il mondo della editoria professionale e dei prodotti destinati al business.

Ovviamente è probabile che a questo fenomeno si accompagni una progressiva crescita del potere degli operatori di telecomunicazione e degli aggregatori di contenuti come Apple o Google. Si pensi a cosa potrebbe accadere con riferimento alle testate giornalistiche: di fatto esse potrebbero perdere il contatto diretto coi propri lettori (e dunque i relativi ricavi pubblicitari) nel momento in cui i propri contenuti fossero distribuiti attraverso piattaforme di terzi.

 

Ma proprio con riferimento ai contenuti informativi è necessario forse fare qualche riflessione particolare: un recente studio statunitense parrebbe mettere in seria discussione la possibilità che gli utenti in futuro possano essere disponibili a consultare via internet una testata giornalistica a pagamento. In particolare, un sondaggio realizzato dalla società Harris Poll nel dicembre 2009 indica che il 64% degli Americani con più di 55 anni legge ancora i quotidiani tutti i giorni; la percentuale dei lettori diminuisce vertiginosamente con l’età. Il 44% degli Americani tra i 45 ed 54 anni, il 36% di quelli tra i 35 ed i 44 anni e solo il 23% di quelli tra i 18 ed i 34 anni legge un quotidiano tutti i giorni. Infine, il 17% degli Americani tra i 18 ed i 34 anni non ha mai letto un quotidiano cartaceo. Tuttavia di fronte alla domanda, posta ai fruitori di notizie on line, se essi siano disposti a pagare una tariffa fissa per la consultazione delle loro testate online preferite, sorprendentemente il 77% degli utenti di internet in età adulta risponde di non essere disposto a pagare per tali contenuti. E tra quelli disposti a pagare solo il 19% pagherebbe tra 1 e 10 Dollari al mese e solo il 5% pagherebbe più di 10 dollari!

 

In un panorama così poco incoraggiante la strada da percorrere potrebbe essere forse quella della qualità e completezza delle informazioni, offrendo al pubblico prodotti a valore aggiunto, che consentano possibilità di approfondimento e collegamento e sfruttino al massimo le potenzialità dell’ambiente digitale: non un semplice giornale in versione digitale, insomma.. Il risultato nel tempo potrebbe essere quello di addivenire ad una selezione di pochi mezzi informativi in grado di soddisfare le attese del pubblico e di vendere i propri servizi a pagamento ovvero comunque di attirare un numero sufficiente di inserzionisti. Il New York Times potrebbe fare da battistrada da questo punto di vista, essendosi diffusa la notizia che la testata voglia passare questa primavera ad un accesso a pagamento alle proprie pagine in aggiunta agli accordi raggiunti con Apple. E vedremo quale sarà la sorte delle varie testate che affideranno la propria presenza sulla rete a contratti con Apple, Nokia ed altri aggregatori di contenuti.

 

Venendo invece alla editoria, almeno per quanto riguarda i paesi occidentali, può immaginarsi un lento ma crescente sviluppo della industria dei contenuti editoriali on line ed i content providers del settore si stanno tutti da tempo equipaggiando alla migrazione verso l’ambiente digitale, adattando il proprio patrimonio a questo scopo. Il tema non è tanto la digitalizzazione ma è proprio l’adattamento del formato tradizionale delle opere e dei contenuti alla interattività, ai collegamenti ipertestuali ed alla parcellizzazione della fruizione. Tutto, dalle pagine di una rivista, ad un catalogo librario o ad una raccolta di leggi deve essere caratterizzato dalla specifica fruibilità attraverso questi nuovi strumenti.

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