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Circa il 10% degli adolescenti è vittima di cyber bullismo, una forma di molestia molto più seria del bullismo convenzionale, proprio perché rende la vittima vulnerabile in qualsiasi momento.
I motivi che spingono una persona a molestarne un’altra via web sono generalmente gli stessi che provocano la violenza al di fuori degli spazi digitali: razza, religione, etnia, ecc., ma essi sono ancora più crudeli poiché, ha affermato Ann Frisén, docente di psicologia all’Università svedese di Gothenburg “…le vittime del cyber bullismo non hanno alcun rifugio, possono essere importunate continuamente via sms, email, sul web, dove le informazioni si diffondono in maniera estremamente rapida e sono difficili da rimuovere. Inoltre è sempre molto difficile rintracciare l’autore del reato” e spesso, soprattutto i ragazzi, credono che l’anonimato annulli la responsabilità delle loro azioni.
La Frisén, che fa parte di una rete europea di ricercatori sul preoccupante fenomeno del cyber bullismo, ha studiato a fondo la questione, con particolare riferimento all’immagine del corpo, allo sviluppo dell’identità e ai diversi tipi di bullismo tra bambini e adolescenti.
Il termine inglese “Cyber bullying” (bullismo elettronico) indica, nello specifico, l’uso degli strumenti e delle informazioni della comunicazione digitale – email, chat, sms, mms, blog social networks, ecc. – per molestare in qualche modo una persona attraverso attacchi personali, ingiurie, la diffusione di foto o video compromettenti.
Questo, non è purtroppo l’unico esempio: nel 2003, Ryan Halligan, un teenager americano, si è suicidato dopo che alcuni suoi compagni avevano diffuso su internet voci su una sua presunta omosessualità.
Il fenomeno del cyber bullismo coincide, infatti, molto spesso con la scuola, come dimostra il fatto che in estate i casi registrano un forte calo.
Gli autori delle vessazioni frequentano quasi sempre la stessa scuola della vittima e non è detto, come nel bullismo ‘tradizionale’, che la vittima sia una persona più debole dell’aggressore: internet, infatti, regala libertà concesse in nessun altro ambito. “Chi si permetterebbe, ad esempio, di pubblicare un giornale chiamato ‘quelli che odiano…'”? si chiede quindi la Frisén.
Nella prevenzione del fenomeno, aggiunge la ricercatrice, un ruolo determinante spetta ai genitori, che ispirano i più piccoli anche nell’universo digitale. Dovrebbero essere quindi loro i primi a prestare la massima attenzione, ad esempio, alle foto e alle informazioni che pubblicano online e a mostrare interesse per i siti frequentati dai figli.
Non è invece una buona idea, spiega la Frisén, “…vietare ai figli di visitare determinati siti: meglio sarebbe, invece, prevenire, insegnando loro come comportarsi se dovessero imbattersi in situazioni spiacevoli”.
È quindi molto importante non colpevolizzare le giovani vittime, perché “…davvero non è colpa loro”.
“Nostro compito – ha concluso – è piuttosto quello di aiutarli a fermare le persecuzioni”.