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Donne e Tv. L’adesione di Andreina De Tomassi (Giornalista)

Italia


Per la campagna Donne e Tv, lanciata da Key4biz a sostegno dell’appello alle istituzioni di Gabriella Cims, pubblichiamo oggi l’adesione della giornalista Andreina De Tomassi.

  

Tutto comincia, lo si sa, dall’ombelico. Era quello della Carrà che nel ’70, solo due anni dopo il ’68, lo esibì in prima serata, creando brividi e scandalo; poco prima di lei, c’era stato l’oltraggio al pudore delle gambe lunghe, lunghe delle Kessler e la Rai, paterna, corse a coprirle col nylon scuro, scuro. Poi, da quarant’anni a questa parte, è continuato questo eterno, ossessivo, noiosissimo spogliarello. Ormai il corpo della donna televisiva è talmente nudo che non lo si vede più. Pura tappezzeria digitale. Siamo passati dal voyeurismo di Boncompagni che le sue bambine le riprendeva solo dal basso, ai bikini strizzati di “Drive In”, e poi via via con le docce, il fango, la panna, e l’esercito di veline, letterine, e oggi, rimane questo patetico corpo di mille “ballerine” offerto al cameraman-ginecologo. Ma le donne, quelle altre, non sono state a guardare. Sono quarant’anni che protestano contro la mercificazione della donna, contro la donna-oggetto, sopramobile, “ornamento”, ecc…

 

Nell’89 si dicevano le stesse cose in un convegno del Pci (c’era ancora), contro il contenitore TV pensato solo dagli uomini, nel 2004 arriva Lucia Annunziata alla presidenza della Rai, s’incazza, (ancora oggi, lo fa per fortuna) ed emana una delibera che chiede il “rispetto della figura femminile”, che rimane letterina morta. Nel 2007 addirittura le donne di destra e di sinistra si uniscono e scrivono due mozioni che impegnino il Governo ad occuparsi dell’ “Immagine della donna in televisione”. Il Governo se n’è occupato. A modo suo. Infine, oggi è online il documentario di Lorella Zanardo (www.ilcorpodelladonna.net), molto risentito, molto indignato. Fine.

 

 

Si potrebbe dire che il tema “Donne e Tv” è tutto svolto, è concluso, oramai nel 2010 non c’è più scandalo, tanto anche gli uomini si mettono in vetrina, dal promettente pacco Dolce&Gabbana ai muscoli guizzanti dei tronisti, dei ballerini, dei rinchiusi nelle isole, agli smutandati, anche l’uomo vuole la sua parte di corpo da esibire. Ecco. Parità conquistata. W l’Indifferenza! O l’indifferenziazione, l’omologazione, la marmellata mediatica. Come diceva Eco, o forse McLuhan, o forse Abruzzese: “quando una cosa arriva in televisione vuol dire che è morta”.

 

E’ lampante: si parla ossessivamente di cucina quando non si cucina più, si parla di animali quando stanno scomparendo, ci si dilunga sulla natura in un mondo artificiale, e si mostra un corpo perché il corpo è morto. O meglio, abitiamo un altro corpo. Quello virtuale, seduto, solo dito e occhi. Saremo presto due miliardi a navigare, 350 milioni s’incontrano su Facebook, il sorpasso dei giovani è evidente: preferiscono il web alla tv e la mitica audience è in picchiata, mentre l’offerta televisiva è arrivata ai 6.500 canali nella sola UE.

Che spettacolo! Che meraviglia!

Tutto si mischia, si contamina, s’intreccia in un flusso continuo di immagini e news.  Che cos’è cambiato? Dalla clava alla penna alla pennetta al touch dell’eBook, siamo sempre noi: gli stessi uomini alla ricerca dell’umanità ovunque si annidi.

 

Ha ragione il filosofo Carlo Sini nel suo bellissimo “L’uomo, la macchina, l’automa” (Bollati Boringhieri) quando sostiene che il sogno/incubo della macchina pensante è antico, che l’uomo è già un automa che cammina con tutte le sue protesi virtuali (o di silicone) e va, corre, verso un’altra rivoluzione, dopo quella dell’alfabeto, una meravigliosa catastrofe dove tutto muore e rinasce, chiamatela, se volete, fantascienza, o evoluzionismo tecnologico, siamo solo all’inizio. E siamo sempre noi che ci reinventiamo.

    

  

  

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