Italia
La piaga italiana del telemarketing selvaggio approda alla Ue: la Commissione europea ha infatti deciso di intraprendere un’azione legale contro l’Italia per il mancato rispetto delle norme comunitarie in materia di privacy nelle comunicazioni elettroniche: i dubbi dell’esecutivo riguardano il mancato rispetto degli obblighi relativi alle informazioni da fornire agli abbonati che decidono di comparire negli elenchi telefonici pubblici, i quali devono esplicitamente dare il via libero all’uso dei propri dati a fini commerciali.
Per questo la Commissione europea ha deciso di inviare una lettera di costituzione in mora (prima fase della una procedura d’infrazione). L’Italia ha ora due mesi di tempo per rispondere.
Il fenomeno del telemarketing selvaggio è uno dei tanti aspetti deplorevoli del mercato italiano delle telecomunicazioni: i database sono stati istituiti sulla base degli elenchi telefonici ma senza chiedere esplicito consenso agli interessati e il loro uso è stato consentito dalla legislazione italiana, con la legge n. 14 del 27 febbraio 2009, fino al 31 dicembre 2009. Il termine è stato quindi prorogato dal decreto Ronchi per un ulteriore periodo di sei mesi.
Le disposizioni Ue sull’ePrivacy (Direttiva 2002/58/CE ) obbligano gli Stati membri a garantire che, prima di essere inseriti in un elenco pubblico, gli abbonati siano informati degli scopi dell’elenco e di qualsiasi uso che potrà esserne fatto. Gli abbonati devono inoltre poter decidere se permettere che i loro dati personali siano inseriti in un elenco pubblico e in che misura i loro dati siano pertinenti per gli scopi di tale elenco.
In capo agli Stati membri, quindi, il compito di vietare l’invio di comunicazioni indesiderate, a scopo di commercializzazione diretta, senza il consenso degli abbonati.
“Il pieno rispetto della privacy degli utenti dei servizi di telecomunicazioni è fondamentale per una moderna società digitale”, ha spiegato il Commissario Ue Viviane Reding.
“La direttiva UE relativa alla privacy nelle comunicazioni elettroniche attribuisce ai singoli una serie di strumenti per proteggere la loro privacy e quella dei dati personali. Non solo è preoccupante vedere che la normativa italiana non è conforme ai requisiti della privacy di cui alla direttiva, ma anche che le autorità italiane abbiano deciso di prolungare ulteriormente l’uso di banche dati che includono i dati personali per l’uso dei quali il consenso non era stato concesso”.
Il Garante privacy è più volte intervenuto per fissare rigidi paletti in grado di arginare la ridda di abusi perpetrati dai call center, imponendo a diverse società il divieto di continuare a utilizzare i dati personali di milioni di utenti. Informazioni – spesso suddivise per redditi e stili di vita – raccolte e utilizzate illecitamente, senza che gli abbonati avessero acconsentito alla comunicazione dei propri dati e al loro uso a fini commerciali.
Gli articoli 13 e 23 del Codice in materia di protezione dei dati personali consentono infatti l’uso dei dati personali da parte di enti privati solo previo consenso informato da parte del cittadino.
La Commissione europea ha inoltre espresso dubbi sull’efficace applicazioni delle disposizioni che dovrebbero consentire agli utenti di manifestare il proprio dissenso all’utilizzo dei dati personali a fini di telemarketing.
“Dobbiamo fare in modo che le norme comunitarie siano rispettate da tutti gli Stati membri dell’Unione europea in modo che i cittadini si sentano sicuri nel mercato unico delle telecomunicazioni, di sapere che cosa è l’uso fatto dei loro dati personali”, ha concluso la Reding.