Italia
Il ruolo del servizio pubblico, la qualità e l’identità dei programmi della Rai, lo strumento dell’Auditel, il canone e la necessità di combattere l’evasione, ma anche la frammentazione, dovuta al digitale terrestre, della pay tv e di internet.
Questi alcuni dei temi al centro del seminario “Tv, società e costume. La Rai come rappresentazione e traino della realtà culturale, civile ed etica del Paese” organizzato dalla Commissione di Vigilanza Rai.
Al dibattito presieduto da Sergio Zavoli, hanno partecipato nomi di spicco della Tv italiana, della cultura, del giornalismo e delle istituzioni come Pippo Baudo, Maurizio Costanzo, il presidente di RaiSat Carlo Freccero, Aldo Grasso, Alessandro Baricco, Giulio Malgara, il vicedirettore generale della Rai Giancarlo Leone, il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò e monsignor Vincenzo Paglia, solo per citarne alcuni.
“Non la faremmo franca se negassimo alla Rai di essere il più grande laboratorio culturale e civile del Paese – ha osservato Zavoli -. Ma ho qualche resistenza a credere che ciò si esprima pienamente secondo lo spirito e la modalità di un servizio pubblico; e parrebbe dunque lecito domandarsi perché la politica non lascia a un’azienda di tanta rilevanza un’autonomia che sia libera di gestire la sua sfera imprenditoriale e responsabile del problema di tutelare e produrre cultura e civismo”.
“Il Paese trarrebbe grandi vantaggi – ha detto ancora Zavoli – da un progetto che prendesse il nome dalla sua qualità: il servizio pubblico non ha solo obblighi formali verso gli italiani, ha anche dei principi da interpretare e trasmettere”.
A questo proposito, Zavoli ha sottolineato che con il digitale terrestre la Rai ha creato le condizioni per abolire la dittatura dell’audience: “ognuno potrà scegliere quello che più gli garba”.
“La Rai non può rinunciare alla qualità per inseguire l’audience“, ha ribadito Calabrò. E’ un concetto che non va “assolutizzato”, ma questo “non comporta che non si possano avere trasmissioni di qualità”.
“La Rai ha attivato un miniqualitel – ha concluso – quando verranno resi noti i risultati, venerdì, avremo delle sorprese”.
Secondo Freccero, “la tv generalista è in crisi e la Rai, che si affida al modello generalista, non può che risentire di questa crisi“. Come tutte le altre televisioni, “la Rai si preoccupa del bilancio e quindi tende a ripetere gli schemi che hanno avuto successo ma che ormai sono usurati“.
Il presidente di RaiSat è convinto che bisogna investire sui media emergenti: “Bisogna avere ottimismo e non compiacenza verso il male che abbiamo fatto”.
Per Aldo Grasso, “bisogna prendere atto che la Rai è solo bottino di guerra dei vincitori e che il servizio pubblico è una leggenda, non esiste più da 30 anni”.
Per la scarsa qualità dei programmi, ha spiegato, “Si dà la colpa all’Auditel, ma in realtà il problema è che non c’è nessuno in grado di fare programmi di qualità”.
Immediata la replica di Giancarlo Leone, vicedirettore della Rai che difende la competenza dei dirigenti Rai e che si dice “ottimista sul futuro della Rai, ma pessimista per quanto riguarda la regolamentazione finanziaria: nel 2009 ci sono 330 milioni di euro di programmi che non sono pagati dal canone, ma dalla pubblicità. Bisogna finanziare la Rai in modo appropriato. L’azienda pubblica – ha ricordato – incassa un miliardo e 600mila euro dal canone, un miliardo dalla pubblicità. E dalla lotta all’evasione potrebbero rientrare circa 500mila euro”.
“La tv non è più solo quella generalista e i giovani guardano il digitale, il web e YouTube”, ha sottolineato invece Costanzo.
“La Rai è in un momento difficile – ha osservato Baudo – se si vuole salvarla bisogna darle una fisionomia autonoma. Altrimenti facciamo tutti lo stesso spettacolo con minime differenze”.
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