Google: quali ripercussioni sul business in caso di uscita dalla Cina? Per gli analisti ‘Problema enorme per Android’

di Alessandra Talarico |

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Google Android

All’indomani della decisione di Google di ribellarsi ai diktat della Cina in fatto di censura di internet, c’è chi pronostica scenari di cyber guerre, chi erge Google a paladino della disobbedienza civile, ma gli analisti si interrogano sulle possibili ripercussioni di questa scelta, che apre di fatto una nuova era nei rapporti politici tra le società hi-tech occidentali e Pechino, sul business della società. Il punto centrale è che finora le aziende occidentali hanno fatto buon viso a cattivo gioco per non perdere una fetta del succulento mercato internet cinese, che con i suoi 338 milioni di utenti ha già spodestato gli Usa: lasciare il Paese, per il gruppo di Mountain View, potrebbe dunque voler dire abbandonare le ambizioni di diventare un player di primo piano sia nella ricerca online in mandarino che nella telefonia mobile.

 

Il problema, secondo ABI Research, potrebbe essere “enorme” soprattutto per il sistema operativo mobile Android e, quindi, per le aspirazioni di Google nel mercato dell’advertising mobile cinese, che promette cospicui profitti, proprio mentre tantissimi rivali sono pronti a fiondarsi nel crescente mercato degli smartphone.

Secondo Gartner, a farne le spese saranno soprattutto gli smartphone con l’evidente impronta Google, come il Nexus One prodotto dalla taiwanese HTC o il Droid di Motorola, che montano sia software che programmi targati Mountain View. Questi dispositivi, legati a doppio filo con servizi quali GMail e Google Voice e dotati di targhetta ‘with Google’, potrebbero essere maggiormente soggetti al boicottaggio di Pechino.

Altri dispositivi Android, come il Motorola Cliq o gli HTC Hero e Droid Eris, che non sono totalmente dipendenti da Google potrebbero invece ricevere un diverso trattamento.

“Penso che saranno trattati in maniera totalmente differente” ha spiegato l’analista Gartner Ken Dulaney, sottolineando che il software Android è gestito dalla Open Handset Alliance e non da Google.

 

Nel settore dei Pc, nel corso del CES di Las Vegas, Lenovo ha tolto il velo a una serie di dispositivi basati su Android, incluso uno smartphone (LePhone), mentre anche Dell lancerà un Tablet Pc basato su Android e ha presentato a novembre sul mercato cinese lo smartphone Mini 3.

 

La notizia del possibile abbandono della Cina da parte di Google, dopo che le infrastrutture della società sono state colpite da un attacco hacker orchestrato presumibilmente dall’intelligence cinese per scoprire gli indirizzi email di presunti dissidenti, per il momento ha avvantaggiato solo il rivale locale Baidu, che controlla il 60% del mercato della ricerca online (contro il 30% di Google) e avrebbe così via libera per crescere anche al di fuori dei confini nazionali. Baidu è quotata anche sul Nasdaq, l’indice dei titoli tecnologici di Wall Street e, dopo l’annuncio di ieri, ha messo a segno un balzo in avanti del 13,7%, a 439,48 dollari.

 

Il Governo cinese, intanto, ha reso nota la propria posizione dopo che sia il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs che il Segretario di Stato Hillary Clinton avevano manifestato la loro preoccupazione per l’accaduto e chiesto spiegazioni al governo di Pechino.

“La Cina accoglie con favore le attività delle società internet internazionali, purché siano conformi alla legge”, ha spiegato il portavoce del ministero degli Affari esteri, Jiang Yu, sottolineando che il web in Cina “…è aperto” e che il governo di Pechino “…ne incoraggia lo sviluppo e si sforza di creare un contesto che sia favorevole, proibendo ogni forma di cyber-attacco e gestendo internet secondo la legge”.

 

Sta di fatto che la Repubblica Popolare cinese dispone di un sistema di sorveglianza considerato tra i più sofisticati al mondo, basato su un sistema di ‘ispezione’ del traffico http volto a determinare la presenza di determinate parole o espressioni invise al governo di Pechino, che si giustifica dicendo di voler solo combattere la pornografia, la pedofilia e il terrorismo.

La lista delle parole sgradite comprende diverse centinaia di termini, dei quali però soltanto poche decine riguardano  la pornografia. Gli altri sono legati alla politica e a svariati altri argomenti. A finire nel mirino della censura, oltre agli ormai classici ‘democrazia’, ‘diritti umani’ o alle espressioni che fanno riferimento al Dalai Lama, al movimento religioso Falun Gong o ai fatti di piazza Tiananmen anche termini facenti riferimento ai più recenti fatti di cronaca, come ‘terremoto’ e ‘latte in polvere’.

 

Tutti questi temi compaiono ora se la ricerca viene effettuata in lingua inglese, mentre, secondo i primi rilievi effettuati sul motore di ricerca Google.cn, se la ricerca viene fatta in cinese comparirebbe ancora la dicitura “i risultati sono filtrati secondo quanto prescritto dalle leggi locali”.

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