Social network: ma a chi importa della privacy? Zuckerberg risponde a critiche sui pericoli per la violazione della vita privata ‘di tutti’

di Alessandra Talarico |

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Mark Zuckerberg

L’ascesa dei social network – i siti come Facebook e Twitter su cui le persone pubblicano il proprio profilo corredato di foto, commenti, link e quant’altro – ha contribuito a rendere indistinti i confini di cosa può essere considerato privato e cosa di dominio pubblico, con la conseguenza che è sempre più difficile tutelare legalmente il proprio diritto alla privacy.

È quanto ha affermato il prof. Kieron O’Hara della University of Southampton nel corso di una conferenza organizzata dalla Media, Communication and Cultural Studies Association.

 

Secondo O’Hara, chiunque pubblichi online i dettagli della propria vita privata, contribuisce in molti casi a minare anche la privacy degli altri, riducendo quella che in diritto viene definita “…la ragionevole aspettativa di privacy” e rendendo sempre più difficile difenderla.

“Quando le nostre ragionevoli aspettative diminuiscono, così come è già avvenuto, necessariamente diminuiscono anche le nostra tutele giuridiche”, ha aggiunto.

Se, ad esempio, ci si trova a una festa all’insaputa del proprio partner o magari in atteggiamenti ‘poco consoni’ e il vicino scatta una foto a nostra insaputa, esiste oggi la concreta possibilità che quella foto finisca online, con le ovvie conseguenze se a visualizzarla è anche chi non dovrebbe, sia esso il partner o il datore di lavoro.

Molte persone, insomma, non sarebbero consapevoli fino in fondo dell’impatto sociale di quello che pubblicano online e – in quella che O’Hara definisce ‘l’intimità 2.0‘ – lo scambio online di informazioni, anche le più intime, è ormai una routine.

 

Secondo il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, però, quello evidenziato da O’Hara è un ‘non problema’, dal momento che l’uso crescente dei social network ha reso le persone meno inclini a considerare la privacy come una ‘norma sociale’. “…Le norme sociali cambiano col tempo, ed è così anche per la privacy”, ha detto, parlando nel corso di una cerimonia di premiazione a San Francisco.

Il 25enne creatore e Ceo del più famoso dei social network ha quindi affermato che “…la gente è sempre più propensa non solo a condividere più informazioni e di diversa natura, ma anche a farlo in maniera aperta e con sempre più persone”.

 

Nelle ultime settimane, Facebook è stata al centro delle polemiche per le nuove disposizioni sulla privacy introdotte a dicembre per garantire agli utenti del popolare sito – a detta della società – di ‘proteggere’ le informazioni personali che vengono pubblicate sulla bacheca, proponendo di ridefinire i parametri di sicurezza, indicando i contenuti (immagini, video…) che si vogliono tutelare da occhi indiscreti.

Secondo le associazioni americane come  Epic (Electronic Privacy Information Center) e Center for Digital Democracy (CDD) , tuttavia, le nuove norme sulla privacy non proteggono come dovrebbero le informazioni private e tante di queste resterebbero comunque visibili a tutti.

Facebook è stata quindi accusata di aver pubblicizzato questo nuovo sistema solo per spingere gli utenti a pubblicare online maggiori notizie sulla propria vita.

Grazie alla loro scarsa attenzione verso la privacy, i social network sono diventati – ha detto qualcuno – il rossetto sul colletto dell’era digitale: essi, insomma, sono tra gli strumenti migliori per appurare un’eventuale infedeltà del partner. Ma, questi siti sono anche stati causa di licenziamenti, come nel caso della compagnia aerea Virgin Atlantic i cui dipendenti hanno rivolto pesanti critiche ai passeggeri su Facebook, creando un grave danno d’immagine alle aziende, le quali a loro volta hanno reagito col pugno di ferro.

Virgin Atlantic ha licenziato 13 assistenti di volo per i loro commenti sui passeggeri definiti, nel migliore dei casi “maleducati e ignoranti”.

 

Piuttosto però che concentrarsi sulle nuove impostazioni sulla privacy di Facebook, chi si preoccupa per l’impatto sociale di questi siti dovrebbe magari inventarsi uno slogan – ha concluso Zuckerberg – per “…mettere gli utenti in guardia contro eventuali ‘passi falsi’ che potrebbero farli ritrovare in situazioni spiacevoli”.

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