Italia
Nel 2009 non è solo continuata l’inarrestabile avanzata dei social network, è anche esploso il social gaming: fenomeno di studio per le comunicazioni di massa, formidabile competitore della tradizionale industria videoludica, driver di traffico e addittività del Web 2.0 stesso, nonché nuovo dominatore per fatturato e potenzialità di crescita nel settore dei “beni virtuali”.
Quando nel giro di un paio di mesi tra Novembre e Dicembre il gigante Electronic Arts acquista il pioniere Playfish (Pet Society) per 300 milioni di dollari [Playfish è stata fondata nel 2007 e neanche 12 mesi fa era stata finanziata con 18 milioni di dollari da un pool di venture capital], e il leader nel mercato dei Facebook games, Zynga, altro neonato classe 2007, si fa staccare prima un assegno da 55 milioni di dollari, poi uno da 180… beh, capisci che qualcosa di enorme sta succedendo. La valutazione di Zynga in particolare è di quelle da restare-di-stucco. Per i russi di Digital Sky Technologies una partecipazione di minoranza in Zynga vale 180 milioni di dollari. DST è lo stesso fondo che in estate aveva convinto Zuckerberg, a corto di cash, a vendergli 200 milioni di dollari di quote Facebook. L’improvvisa cascata di contanti consentirà a Zynga – come già era stato per Facebook – di stornare le lusinghe di corteggiatori troppo ingombranti ed evitare di quotarsi in Borsa prima del tempo.
Il simbolo di Zynga, Farmville, a oggi vanta 73 milioni di utenti attivi su 350 iscritti totali a Facebook, più di uno ogni cinque. È di gran lunga il più popolare browser game di ogni tempo (il secondo, Cafè World, sempre della scuderia Zynga, ha 32 milioni di utenti). E udite udite, esiste da appena 6 mesi. Già, potete crederci o meno, ma Farmville a Maggio 2009 NON era sul mercato. Farmville è anche un gioco estremamente sticky, incredibilmente fidelizzante. Su 73 milioni di persone che lo hanno installato sulla propria pagina Facebook, ben 27.5 ci giocano tutti i giorni (solo 9.5 milioni su 32 giocano a Cafè World): il 38% della base utenti è maniaca di Farmville. Non esiste nulla di paragonabile, neppure tra i browser games di poker.
Perchè Farmville sì e gli altri no? Solo per smodata passione collettiva verso le fattorie e lo stile di vita bucolico? O più realisticamente la strategia promozionale di Zynga si è rivelata superiore a quella dei concorrenti, in uno scenario in ogni caso sperimentale e privo di qualsiasi riferimento storico? Domande per le quali servirà il senno di poi a fornire risposte meditate. Per ora abbiamo dati grezzi. Sebbene meno redditizio rispetto ai browser game di categoria “gioco di ruolo” (ad esempio Mafia Wars, ennesima hit Zynga), Farmville ha dalla sua le dimensioni pantagrueliche e la media di uso quotidiano, e bastano per fargli macinare montagne di soldi nella vendita di beni virtuali, dai semi per le piante ai trattori rosa. A proposito di dimensioni, questa l’attuale Top 10 dei Facebook Games…
(dati ricavati elaborati da Inside Network e aggiornati al 15 Dicembre 2009; presto entrerà in Top 10 PetVille di Zynga, che ha esordito con 10 milioni di users in 10 giorni a inizi Dicembre)
-
FarmVille 72.898.865
-
Café World 32.175.759
-
Causes 29.261.811
-
Social Interview 27.873.612
-
Happy Aquarium 27.405.705
-
Mafia Wars 26.815.058
-
FishVille 26.186.935
-
Birthday Cards 24.957.972
-
Pet Society 21.450.666
-
Texas HoldEm Poker 20.349.406
La classifica è dominata da prodotti di start-up come Zynga e Playfish, nonchè dalla totale assenza di giochi brandizzati legati a franchise note dell’intrattenimento e della videoludica USA. Tra le chiavi di interpretazione proposte dai blogger specializzati svettano i fattori costi di sviluppo e distribuzione. Costi ritenuti ridicolmente bassi e dunque non degni di nota dai grandi, e distribuzione estranea ai circuiti di vendita classici.
Se vogliamo, è la natura stessa del modello di business social ad aver tenuto lontani i colossi e protetto in questa fase di boom primordiale player giovani, privi di potere di leva significativo nella macrocatena del valore mediatico e ancor di più privi di esposizione stampa mainstream, ma dotati di asset assai più rilevanti nell’ecosfera 2.0: creatività e agilità di movimento.
(e perdonatemi la consueta stoccatina gratuita ai costumi italici, ma si tratta di due degli aspetti industriali più umiliati e sottovalorizzati nella, a mio parere contestabile e deteriorata rispetto a 30 anni fa, forma mentis dell’imprenditoria nazionale, sia pubblica che privata, nel comparto editoriale)
Ma torniamo ai browser games. Svilupparli costa poche decine o al limite poche centinaia di migliaia di euro (un’applicazione per smartphone a sua volta costa un ulteriore ordine di grandezza in meno). Dall’idea al lancio passano 3-4 mesi. Uno spreco di risorse umane per giochini trascurabili, è stato il ragionamento delle software house di punta – abituate a investire in un videogame per console/pc di livello top tra i 30 e i 50 milioni di dollari lungo un arco di minimo un triennio, con introiti si intende proporzionali all’onere assunto (a Novembre Call of Duty: Modern Warfare 2 della Activision ha racimolato 550 milioni dollari nei primi 5 giorni sugli scaffali mondiali; al cinema l’ultimo Harry Potter non è andato oltre i 394 milioni di dollari nei primi 5 giorni).
Naturalmente il rapporto tra giochi in attivo e flop è spaventoso. Solo publisher con tasche larghissime e cash flow assicurato da imponenti library pregresse possono permettersi di giocare questo genere di partite, così come le major hollywoodiane sono e saranno sempre solo una manciata. Pochi soggetti introducono sul mercato pochi titoli.
Al contrario, nei social games la barriera d’ingresso è fissata al livello più basso. Molti addirittura lanciano un gioco quando è ancora in beta testing, attendendo il responso del pubblico prima di investire in programmazione aggiuntiva del gameplay. Le dinamiche dei social network consentono di ricevere feedback al riguardo in tempistiche ridottissime, e con modalità nativamente interattive. È un’attenuante non secondaria al rischio insito nel testare un mercato così inedito e spesso irto di discontinuità. Ne consegue che molte start-up possono lanciare molti social games, e sperare che almeno uno attecchisca.
La distribuzione dei browser games rappresenta un altro elemento di evidente rottura con il passato. Più del 75% dei videogames per pc/console viene venduto attraverso negozi fisici, perlopiù negli States grande distribuzione (Walmart e soci). Gli editori leader controllano saldamente la filiera, non lasciano spazi espositivi alle start-up e ottimizzano così gli introiti. Le loro uscite per marketing e attività di PR finalizzate a recensioni positive sono immense, talora superiori ai 100-150 milioni di dollari.
I browser games invece mancano di supporto fisico, la distribuzione è esclusivamente online, virale e fondata sul passaparola. Ed è 99 volte su 100 gratuita. Provare il gioco di uno sviluppatore sconosciuto non costa niente al consumatore, dunque “perché no?”. Chiunque può accedere con i suoi titoli all’immensa vetrina di Internet e delle sue piattaforme di riferimento, Facebook in primis. Va da sé che i first mover hanno acquisito nel corso del 2009 un invidiabile vantaggio competitivo. Zynga – pur investendo cospicue cifre in pubblicità pagata, nell’ordine dei 2 milioni di dollari in estate per il debutto Farmville (sempre inezie rispetto ai 200 spesi da Activision per Call of Duty: Modern Warfare 2) – può crosspromozionare le sue novità facendo affidamento su una congerie di supporti spontanei del suo esercito di giocatori pre-esistenti. Inviti, embed, notifiche, fan page, gruppi… è più facile scoprire l’esistenza di un nuovo browser game Zynga su Facebook che non ignorarlo. La maggioranza dei giochi nella Top 25 di Facebook, inclusi Happy Acquarium, Farmtown e Friends for Sale, non hanno mai avuto alle spalle campagne pubblicitarie degne di nota.
Peraltro è in dirittura d’arrivo una novità a dir poco epocale nella gestione del gaming su Facebook. Potete sbirciarne un’anteprima qui. In succo – sotto il classico menu degli aggiornamenti di stato nella barra laterale sinistra – apparirà in home nei profili di ogni iscritto un tasto per visualizzare tutti i giochi cliccati di recente (e le applicazioni non-gaming usate, ma sono appena 1/3 nella Top 15 delle Facebook App: è un dominio assoluto dei giochi). Appariranno anche le cosiddette Game News, tipo “sei ottavo tra i tuoi amici a Mafia Wars”. Come intuibile, questo moltiplicherà le occasioni di scoperta di nuovi titoli, e renderà ancora più frenetico e competitivo il mercato social gaming sulla piattaforma social #1 del pianeta. Tutto avverrà più rapidamente, premiando i content provider agili nel variare all’istante offerta e strategie.
Morale della favola: chi è in grado di gestire e manovrare i processi della viralità vince. Al momento il team di Zynga ha dimostrato di essere maestro al riguardo (8/10 milioni di giocatori nella settimana iniziale di ogni new entry sono ormai consuetudine per l’azienda fondata da Mark Pincus). Nulla vieta tuttavia di ipotizzare dal giorno al notte l’arrivo nel 2010 di autorevoli nuovi pretendenti al trono, magari ancora in fase di gestazione mentre scrivo queste righe. Di sicuro alcuni batteranno bandiera cinese, c’è un movimento tecnologico intenso su questo fronte nell’antico Catai.
La torta in gioco, per i demiurghi del free browser gaming, sono immensi flussi di traffico monetizzabile; Zynga da solo raggiunge oltre 100 milioni di navigatori al mese, contro gli 8 milioni di dvd venduti di Modern Warfare 2. Monetizzabile come? Attraverso fonti B2B (vendita di pubblicità) e B2C (vendita di virtual goods). Quest’ultimo aspetto è senz’ombra di dubbio il più innovativo e inatteso, quantomeno nelle dimensioni assunte nel corso del 2009.
Zynga ha già costruito una solida base di giocatori con account per l’acquisto diretto di “beni immaginari” tramite moneta virtuale. Ma la recente estensione al gaming, con i Facebook Credits, dei pagamenti diretti tramite l’API di Facebook (un meccanismo già rodato per i regali virtuali) mitigherà ulteriormente la difficoltà per i player di secondo rango nel dover conquistare la fiducia dei navigatori intenzionati a dotarsi di in-game currency con la propria carta di credito. Con il programma Facebook Credits ancora in fasce, già fioccano le integrazioni: dai popolari Happy games di Crowdstar (come Happy Aquarium, 7.5 milioni di giocatori attivi al giorno, ed Happy Pets, 2.5 milioni di user quotidiani) al Restaurant City di Playfish (oltre 4 milioni di aficionados Facebookiani al giorno).
La scorsa estate, al Social Gaming Summit, il direttore creativo della Acclaim David Perry ha snocciolato ben 29 modelli di business attualmente implementati nell’industria videoludica. Dalla distribuzione vecchia scuola dei giochi “in scatola”, inevitabilmente destinata a essere inglobata nella distribuzione digitale (nelle molteplici forme di download-to-own e/o pay-per-play praticabili), al product placement – inteso come pubblicità all’interno del gioco [ad esempio: cartellonistica, vestiario brandizzato dei personaggi, fusione del marchio nella trama (la fidanzata dell’eroe lavora per Neutrogena)] e intorno alla finestra di gioco (tipico dei webaggregatori di giochi in Flash) – passando per sponsorizzazioni, donationware di beneficienza (Onebiggame), trialware/shareware (demo gratis, paga la versione full), serializzazione in capitoli dei giochi (acquisto l’episodio 1 e aggiungo le espansioni nel tempo), tornei, aste, club per utenti VIP, offerta di servizi di storage (per archiviare i progressi di gioco o la library di brani nei karaoke games) e servizi di hosting per server multiplayer privati, sottoscrizioni mensili degli RPG di massa stile World of Warcraft, nell’elenco di Perry la voce microtransazioni per l’acquisto di punti virtuali è l’unico in cui veniva sprecato l’aggettivo “trendy”.
Trendy al punto che una delle guerre più accese nel mercato del Web 2.0 è in queste ore quella delle soluzioni per la conversione di moneta virtuale in coupon per lo shopping online e viceversa. Vedi lo Shop & Earn’ In-Game Shopping Feed di Sometrics e il famigerato pacchetto di ricompense per l’e-commerce proposto ai giocatori di social games da Offerpal (“famigerato” per lo scandalo di metà Autunno sulle offerte promozionali ingannevoli inviate a minorenni inconsapevoli e sulle presunte truffe ai danni di utenti che avrebbero fornito dati personali senza ricevere in cambio bonus per acquisti via Internet di prodotti “reali” e non virtuali).
Trendy al punto che mi riprometto di esplorare il settore, auspicabilmente pubblicando qui su su questo sito la sintesi delle mie analisi, per tutto l’anno prossimo venturo…
Coming up next in NewTV (e nella neonata L’Economia di Farmville sul business del social web): cambiamenti, un 2010 di cambiamenti. Appuntamento a Gennaio. Nel frattempo, potete contattarmi per eMail, mentre per aggiornamenti e link in anteprima seguitemi sul mio Twitter.
NewTV. Non è più troppo presto, non è ancora troppo tardi.