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Web: Maroni assicura, ‘Né censure, né forzature dal Governo’. Allo studio anche codice di autodisciplina come per la pubblicità

Italia


Torna prepotentemente alla ribalta, dopo l’aggressione al presidente del Consiglio di domenica scorsa, il dibattito sul controllo della rete, accusata da più parti di fomentare odio e violenza dopo la comparsa sui social network di gruppi inneggianti all’aggressore Massimo Tartaglia. 

Dopo le forti polemiche scatenate dalla notizia, comunicata con un’informativa d’urgenza del Viminale, di “…un’iniziativa anche legislativa per procedere all’oscuramento di quei siti che pubblicano messaggi di vera e propria istigazione a delinquere”, questa mattina, parlando con i giornalisti, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha rassicurato sul fatto che non ci saranno forzature inopportune e che probabilmente si procederà, come chiesto dall’opposizione, con un disegno di legge, e non con un decreto, per consentire al Parlamento di discutere una materia così delicata.

“Domani in Consiglio dei ministri – ha spiegato – discuteremo se ricorrere a misure d’urgenza o a un disegno di legge per poi portare la discussione in Parlamento su un tema così controverso. Se il Parlamento garantirà una corsia preferenziale, sono orientato per questa ipotesi, che eviterebbe polemiche e strumentalizzazioni possibili ma che voglio evitare”.

  

Il responsabile del Viminale ha aassicurato che non ci saranno né “reati speciali, né interventi censori da parte del Governo sul web”: all’esame del Cdm di domani ci sarà semplicemente un provvedimento che “…consenta alla magistratura di rimuovere dal web le pagine in cui la magistratura stessa, e non il Governo, ravvisi un reato ad esempio di apologia o di istigazione”. 

   

Il problema, piuttosto, è “…di dotare la magistratura degli strumenti per intervenire: non si tratta solo di trovare il colpevole ma di come far cessare il comportamento delittuoso…dobbiamo studiare gli strumenti perché i gip possano intervenire ricorrendo alle previsioni dei reati ordinari, anche se commessi via web”.

 

Il ministro Maroni ha inoltre illustrato le proposte che il governo intende mettere in campo per giungere a una soluzione “…il più possibile condivisa”, inclusa la creazione di un tavolo permanente che riunisca ministeri competenti (Viminale e Sviluppo economico), gestori di rete e fornitori di servizi per giungere a un codice di autodisciplina come quello adottato in campo pubblicitario. 

” L’intesa – ha dichiarato il ministro Maroni – è la strada migliore per evitare interventi repressivi: la critica è giusta ma non può arrivare alla commissione di reati”. 

 

Sulla questione dei gruppi inneggianti a Massimo Tartaglia o che irridevano a quanto accaduto al premier, sono intervenuti anche i dirigenti di Facebook, che dal quartier generale di Palo Alto hanno promesso la rimozione dei contenuti che minaccino direttamente Silvio Berlusconi.

“…Su Facebook – si legge in una nota postata dallo staff – non è permesso promuovere o pubblicare contenuti violenti e minacciosi. Esamineremo molto attentamente tutte le richieste di intervento con contenuti relativi al premier Berlusconi e reagiremo tempestivamente per rispondere, eventualmente cancellando ogni tipo di contenuto violento”.

Il messaggio dello staff del social network è tuttavia molto chiaro: il social network resta un luogo aperto dove esprimere le proprie opinioni, qualsiasi esse siano.

“…con più di 350 milioni di utenti, a volte accade che qualcuno prenda posizione su argomenti che altri trovano controversi, sbagliati o anche offensivi”.

Insomma, anche se alcuni commenti possono essere ritenuti offensivi o possono infastidire qualcuno, “…non è una ragione sufficiente per rimuovere una discussione”.

 

Torna inoltre a far parlare di sé anche l’onorevole Gabriella Carlucci, che ha riproposto l’iniziativa di abolire l’anonimato in rete: i social network, secondo la Carlucci, non sono più “luoghi di incontro e socializzazione virtuale”, ma si sono trasformati in “pericolose armi in mano a pochi delinquenti che, sfruttando l’anonimato, incitano alla violenza, all’odio sociale, alla sovversione”.

 

“I gruppi nati su Facebook per inneggiare alla vile aggressione, subita a Milano dal Presidente Berlusconi – ha scritto la Carlucci sul suo blog – provano, ancora una volta, che è giunto il momento di eliminare definitivamente l’anonimato in rete”.

La Carlucci ha quindi chiesto al Ministro Maroni ed al Ministro Alfano di appoggiare la sua proposta di legge anti-anonimato presentata ad aprile: un provvedimento – ha detto – “…che non è contro la rete, non è contro la libertà di espressione, ma contro i criminali che abusano di Internet per infrangere la legge”.

 

L’art.2 del disegno di legge proposto dall’onorevole Gabriella Carlucci recita: “È fatto divieto di effettuare o agevolare l’immissione nella rete di contenuti in qualsiasi forma (testuale, sonora, audiovisiva e informatica, ivi comprese le banche dati) in maniera anonima” ed estende i suoi effetti anche ai casi di diffamazione on-line, per i quali sono previste le stesse norme e sanzioni previste per la carta stampata.

 

Contro eventuali spinte censorie nei confronti della rete si è espresso anche il quotidiano cattolico Avvenire, che ha avvertito di come si corra il rischio di scivolare in forme di controllo estese e incontrollate.

Secondo il quotidiano di ispirazione cattolica, il tema della libertà di espressione è “quanto mai spinoso” e anche i Paesi che prima di noi hanno conosciuto una forte espansione di internet non sono ancora giunti a una soluzione condivisa, se non “…nei confronti di siti negazionisti o neonazisti o inneggianti all’odio razziale”, verso i quali sono previste azioni casuali e mirate e senza dubbio alcuno totalmente giustificate.

Ma se la risposta a tali storture nell’utilizzo della rete arriva incontrollata, si rischia, secondo Avvenire, di scivolare alla stessa stregua di paesi “…come Cuba, la Cina, la Corea del Nord, l’Iran, la Libia, la Siria, che imbrigliano e inibiscono a tal punto la navigazione su internet da renderla quasi impossibile”.

 

“Ogni democrazia – conclude l’editoriale dal titolo ‘Il delicato crinale tra caos e democrazia’ – si deve obbligatoriamente dare dei limiti e dei confini per poter sopravvivere. Uno dei quali, per la Rete e i suoi eccessi, potrebbe e forse dovrebbe essere il codice penale, così come accade per la stampa. Lo stesso crinale che separa in buona sostanza la democrazia dall’anarchia, ma la cui delicatezza è somma e il cui maneggio abbisogna di grande cura e altrettanta saggezza, giuridica e politica. Altrimenti è l’arbitrio”.

 

Diverse le proposte politiche per impedire che l’odio sommerga la rete: per il PDL, ci sono due possibili linee di intervento: “stabilire un dialogo permanente con chi ha la responsabilità dei social network, per facilitare e velocizzare la rimozione di contenuti odiosi e l’individuazione dei singoli responsabili. E costituire una task force permanente con gli esperti e gli operatori del settore, per individuare insieme quali misure adottare per garantire che la rete sia un luogo di libero confronto di idee e non una palestra di odio”.

 

Sempre dal PDL la proposta di aprire anche un sito dedicato, dove raccogliere i contributi di tutti gli italiani che vorranno partecipare alla discussione su questo delicatissimo tema.

 

Sul versante opposto le posizioni del Pd: per Sandro Gozi, “…il confronto democratico deve prevedere un utilizzo libero della rete e svincolato da ogni forma di controllo esasperato: ogni affermazione che circola sul web può essere condannabile o non condivisibile ma non per questo deve essere censurata”.

Secondo Paolo Gentiloni, invece, le attuali norme e l’azione della Polizia postale “…sono sufficienti per colpire i comportamenti criminali in rete”. Sulla stessa linea l’europarlamentare dell’Idv Luigi De Magistris, secondo cui “…per fermare la violenza che corre su internet, non c’è bisogno di nuove leggi, basterebbe applicare con rigore quelle già esistenti”, mentre per Dario Franceschini “…vanno perseguiti i reati non limitata la libertà”.

 

“Assurdo e illiberale censurare internet per gli insulti e le istigazioni alla violenza”, questo è invece il pensiero del leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini che paragona la fregola censoria al divieto di usare il telefono perché si ricevono chiamate minatorie.

“…internet – ha detto Casini – è uno strumento di comunicazione e i nostri governanti devono capire che oggi si usa internet come ieri si usava il telefono”.

 

Ffwebmagazine, il periodico online della Fondazione Farefuturo ha invece invitato il governo a non cedere “…alla ‘sindrome cinese’, la tentazione della censura preventiva”, mentre l’economista Tito Boeri, fondatore de Lavoce.info, ha affermato che oscurare i siti web, anche dopo l’aggressione a Berlusconi, “sarebbe un’operazione gravissima”, che tra l’altro non è riuscita neanche alla Cina.

“Sappiamo tutti – ha detto Boeri – com’è facile sfuggire ai filtri impostisarebbe un fatto gravissimo per il segnale che verrebbe dato anche dal punto di vista culturale perché vorrebbe dire limitare la democrazia su internet, ed è un messaggio pesante anche per il clima che si respira nel paese”.

 

Dello stesso tono il commento dell’ad di Telecom Italia, Franco Bernabè , infine, “…Internet è il regno della libertà e non della costrizione e costringerlo dentro un vincolo di tipo giuridico è una contraddizione in termini”.

   

L’ad di Telecom Italia si è detto comunque convinto del fatto che il Governo non intenda limitare l’accesso a Internet, confidando nella passione del ministro Maroni per la tecnologia.

“Quello che il governo deve giustamente fare, e sta facendo, è tutelare la dignità delle istituzioni – in primo luogo quella del presidente del Consiglio – e reprimere i reati”, ha concluso Bernabè.

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