Italia
Presentato stamani l’8° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione – “I media tra crisi e metamorfosi” – che prosegue il monitoraggio dell’evoluzione dei consumi mediatici in Italia, misurati ormai nell’arco di un decennio.
Lo Studio è stato promosso da H3G, Mediaset, Mondadori, Rai e Telecom Italia, illustrato a Roma da Giuseppe De Rita e Giuseppe Roma, Presidente e Direttore Generale del Censis, e discusso da Renato Schifani, Presidente del Senato, Andrea Melodia, Presidente dell’Ucsi, Fedele Confalonieri, Presidente di Mediaset, Maurizio Costa, Amministratore Delegato di Mondadori, Roberto Forte, Direttore Mobile Tv di H3G Italia, e Carlo Malinconico, Presidente della Fieg.
Il Rapporto si focalizza anche su tre questioni di grande rilevanza e attualità. La prima è la moltiplicazione degli usi della televisione: un mezzo che rimane saldamente dominante nel panorama mediatico degli italiani e che le innovazioni tecnologiche stanno spingendo al centro di nuovi scenari di offerta. Il secondo approfondimento tocca il tema cardine dell’informazione e della fiducia riposta dal pubblico nei media. Il terzo focus riguarda l’affermazione di un nuovo paradigma nell’uso dei media, rispecchiato dalla crescita esponenziale degli utenti di Facebook e degli altri social network.
Schifani ha evidenziato che internet, social network, nuovi media in generale mettono in contatto persone “divise non solo da grandi distanze, ma anche dall’appartenenza a culture e linguaggi differenti” e quindi hanno “un potenziale enorme: quello di servire alla giusta causa di una sempre maggiore diffusione nel mondo della libera informazione e della democrazia”.
Il potenziale di cambiamento dei nuovi media riguarda soprattutto le giovani generazioni, ma proprio su questo si appunta l’attenzione della seconda carica dello Stato, secondo cui “non sempre alla maggiore accessibilità corrisponde anche una migliore qualità dei contenuti. Il rischio, infatti, appare più evidente proprio per le persone culturalmente più fragili, in particolare i giovani”.
Secondo Schifani, infatti, “non è infrequente imbattersi in mass media che forniscono volutamente informazioni manipolate, e non di rado, non appare volutamente chiara la confusione tra il piano delle notizie e informazioni, oggettivamente verificabili, rispetto a quello delle analisi e delle opinioni stesse”. Senza citare direttamente il dibattito in corso sulle ipotesi legislative di restrizioni e controlli sull’uso della Rete e sui blog, ha sottolineato come a suo giudizio sia “evidente il rischio che con il pretesto di rappresentare la realtà, la maggiore circolazione di dati e notizie produca di fatto la diffusione di informazioni distorte, ora tese a legittimare e ad imporre modelli devianti di vita personale, familiare o sociale, ora per favorire gli ascolti, la cosiddetta audience, ora volta a favorire interessi più o meno espliciti”.
A giudizio del presidente del Senato “per una maggior qualità dei mass media occorre perciò che sia sempre garantita una accurata e responsabile cronaca degli eventi, un’esauriente spiegazione degli argomenti di interesse pubblico, una onesta presentazione dei diversi punti di vista”.
Per quanto riguarda l’evoluzione dei consumi mediatici, risulta in crescita la diffusione di tutti i mezzi di comunicazione tra il 2001 e il 2009. Aumentano gli utenti di Internet (+26,9%) e dei telefoni cellulari (+12,2%), ma anche la radio – che ormai si può ascoltare anche dal lettore mp3, dal telefonino e dal web – fa un grande balzo in avanti (+12,4%), così come crescono, anche se di poco, i lettori di libri (+2,5%) e di giornali (+3,6%), e la stessa televisione raggiunge praticamente la quasi totalità degli italiani (+2%). Gli utenti della Tv arrivano a quota 97,8% della popolazione, il cellulare sale all’85%, la radio all’81,2% (in particolare, l’ascolto della radio dal lettore mp3 è tipico del 46,7% dei giovani tra 14 e 29 anni), i giornali al 64,2%, i libri al 56,5%, Internet al 47%. La diffusione dei nuovi media non ha penalizzato quelli già esistenti: nella società digitale i nuovi mezzi di comunicazione non sostituiscono i vecchi, anzi, affiancandosi ad essi, creano nuovi stimoli al loro impiego secondo la logica della moltiplicazione e integrazione.
La crisi che stiamo attraversando – che è anche la prima grande crisi conosciuta dalla società digitale – ha accelerato il processo di trasformazione del sistema dei media già in atto, sospinto dalle innovazioni tecnologiche, determinando con notevole rapidità un riposizionamento dei diversi mezzi.
E determinando metamorfosi inattese, secondo il paradigma della moltiplicazione e integrazione dei media, con l’assottigliamento dei confini tra i mezzi e tra i generi della comunicazione.
Si rileva l’espansione dei media gratuiti e la sostanziale battuta d’arresto di quelli a pagamento (ad eccezione della Tv digitale). Mentre l’uso complessivo del telefono cellulare rimane pressoché stabile tra il 2007 e il 2009 (con un leggero calo dall’86,4% all’85% della popolazione), a crescere notevolmente è stato l’uso del cellulare nelle sue funzioni di base (dal 48,3% al 70%), mentre quelle più sofisticate – e costose – sono diminuite: l’uso dello smartphone è sceso dal 30,1% al 14,3%, il videofonino dall’8% allo 0,8%. Questi dati non verificano il possesso dell’apparecchio, bensì ne misurano l’uso effettivo. Il telefonino è dunque un bene a cui non si può rinunciare, neanche in tempi di crisi, però qualcosa si può risparmiare, magari inviando qualche sms in più ed evitando di connettersi a Internet con i costosissimi servizi wap.
Le nuove forme di televisione sono entrate a far parte delle abitudini degli italiani. Negli ultimi due anni, tra il 2007 e il 2009, l’utenza della Tv satellitare passa dal 27,3% al 35,4% della popolazione e il digitale terrestre raddoppia il suo pubblico (dal 13,4% al 28%), benché lo switch-over del segnale analogico abbia interessato finora solo alcune zone del territorio nazionale. La Tv via Internet triplica la sua utenza, passando dal 4,6% al 15,2%, e
Negli ultimi due anni la lettura dei quotidiani a pagamento passa dal 67% al 54,8%, invertendo la tendenza leggermente positiva che si era registrata negli anni immediatamente precedenti al 2007. Questo è il dato dell’utenza complessiva, cioè chi legge un quotidiano almeno una volta
“Mi sembra che in questo paese si pensi di meno ed è un peccato che questo modo di consumare notizia senza pensarci investa anche la classe dirigente”. Lo ha detto Malinconico della Fieg, precisando: “Dai dati si evince che il press-divide investe soprattutto la classe dirigente e questo mi fa immaginare che un domani avremo una classe dirigente che non si avvicina alla stampa. Il che non vuol dire che non deve fruire di altri media ma che la dieta deve essere equilibrata”.
L’impiego di Internet tra gli italiani è passato dal 45,3% del 2007 al 47% della popolazione nel 2009. Quando ormai il web è diventato familiare per l’80,7% dei giovani e il 67,2% delle persone più istruite, il dato complessivo potrà aumentare solo di poco nel breve periodo. Per quanto riguarda i quotidiani online, si registra una flessione dell’utenza (dal 21,1% al 17,7%) che non è certo riconducibile a motivi economici, bensì all’evoluzione degli impieghi della rete: si pensi ai portali che pubblicano anche notizie di cronaca e di costume, a link e finestre informative aperte nei blog e nei social network abitualmente frequentati, ai motori di ricerca e agli aggregatori che rintracciano automaticamente le notizie in rete.
Il numero delle persone che hanno un rapporto esclusivo con i media audiovisivi (radio e Tv) rimane praticamente stabile (26,4%), mentre diminuiscono quanti hanno una “dieta mediatica” basata al tempo stesso su mezzi audiovisivi e mezzi a stampa (dal 42,8% al 24,9% tra il 2006 e il 2009). La somma di questi due gruppi rappresenta il totale di quanti non hanno ancora colmato il digital divide, la cui soglia si collocava nel 2006 al 71% e scende oggi al 51,3% della popolazione. Nasce però un nuovo divario tra quanti contemplano nelle proprie diete i media a stampa (insieme a radio, Tv e Internet) e quanti non li hanno ancora o non li hanno più. Se il digital divide si sta attenuando, il press divide invece aumenta, visto che nel 2006 era il 33,9% degli italiani a non avere contatti con i mezzi a stampa, mentre nel 2009 si è arrivati al 39,3% (+5,4%). Ad aumentare negli ultimi anni l’estraneità ai mezzi a stampa, e in misura rilevante, sono stati i giovani (+10%), gli uomini (+9,9%) e i più istruiti (+8,2%), cioè i soggetti da sempre ritenuti il traino della modernizzazione del Paese.
Sono cinque i social network più popolari: Facebook, conosciuto dal 61,6% degli italiani, YouTube (60,9%), Messenger (50,5%), Skype (37,6%) e MySpace (31,8%). Le percentuali raggiungono valori ancora più elevati tra i giovani di 14-29 anni. Per nove ragazzi su dieci Facebook (90,3%), YouTube (89,2%) e Messenger (89,1%) rappresentano mondi ben noti, con le loro regole e i loro “contatti”. Nell’universo giovanile hanno una popolarità considerevole, sebbene inferiore, anche MySpace (68,8%) e Skype (62,9%). I giovani hanno preso l’abitudine a “vivere connessi”, dato che l’uso congiunto dei cellulari e di Internet li ha messi nella condizione di essere continuamente in rapporto con tutti quelli che condividono la loro esperienza di vita quotidiana. Complessivamente, si può stimare che poco meno di 33 milioni di italiani conoscano almeno un social network e che gli effettivi utilizzatori siano 19,8 milioni.
Gli utenti di YouTube sono pari al 28,3% della popolazione (il 67,8% nella fascia 14-29 anni, il 39,5% tra le persone più istruite), quelli di Facebook il 22,9% (il 56,8% dei giovani, il 34,4% dei soggetti con titolo di studio più elevato). Il web
La principale motivazione che ha spinto gli utenti a iscriversi a Facebook è il desiderio di mantenere i contatti con gli amici (70,5%) e di ritrovare vecchi compagni di scuola ed ex colleghi (57,8%), mentre la speranza di intrecciare una relazione intima ha spinto all’iscrizione appena l’1,8% degli utenti, in particolare i maschi (2,6%). La maggioranza (il 68,4%) preferisce accedere a Facebook nelle ore serali, il 36,5% si connette solitamente nelle ore diurne, il 15,3% durante l’orario di lavoro o di studio, e solo uno su dieci accede al sito esclusivamente nel weekend. Le attività preferite dagli utenti di Facebook sono: guardare cosa c’è nelle bacheche degli amici (41,2%), inviare messaggi personali (40,5%), inserire commenti nelle bacheche degli amici (37,2%), chattare con chi è in linea (35,7%), utilizzare le applicazioni disponibili come test e giochi (24,6%), inserire foto, video o file musicali (21,3%). Il 54,6% degli utenti fa parte di gruppi di interesse o ha sottoscritto citazioni apparse su Facebook, e il 10% ha effettivamente partecipato a eventi sociali, manifestazioni politiche, spettacoli di cui è venuto a conoscenza tramite il social network.
Poco più di un utente su quattro (il 26,8%) constata che da quando si è iscritto a Facebook tende a dedicare meno tempo ad altro. L’attività più penalizzata è la lettura di libri, per il 42,4% degli iscritti a Facebook che avvertono di dedicare meno tempo ad altre attività. Segue la consultazione di altri siti Internet (40%), guardare la televisione (26,5%), studiare o lavorare (21,7%), sentire gli amici al telefono (14,4%), uscire con gli amici (11,5%), andare al cinema (11%). C’è anche, seppure in misura minoritaria (per l’8,5% degli iscritti), il timore che dalla presenza su Facebook possano derivare dei rischi. Quello che preoccupa di più è la violazione della privacy: il 72,1% degli utenti che nutrono preoccupazioni è di questo avviso, il 35,1% teme l’eventualità di conoscere persone pericolose, il 23,4% indica l’indebolimento delle relazioni dirette con i familiari e gli amici, il 13,4% l’abbassamento del rendimento nel lavoro o nello studio, e il 9,3% teme che dall’uso di Facebook possano derivare problemi per la propria reputazione (ad esempio, che il profilo personale venga controllato dal datore di lavoro).
Confalonieri ha approfittato dell’occasione per lanciare un appello al governo perché “prenda a cuore” la protezione dei contenuti diffusi via internet.
S’è rivolto direttamente all’esecutivo per dare una svolta al problema della protezione dei contenuti prodotti dalle società commerciali e diffusi gratuitamente via web.
Il presidente di Mediaset ha detto che “internet si avvale di una parola magica che è ‘free’. Se i vari YouTube o Google non riconoscono il valore delle proprietà intellettuali non si può investire. Noi investiamo la metà di quello che ricaviamo in prodotti e contenuti. Se altri approfittano di questi contenuti che vengono mandati in rete da privati, soprattutto giovani, non ci sarà futuro per chi di mestiere fa contenuti”.
“Ci deve essere un ritorno per chi produce e investe in contenuti anche per le news. Questo è uno dei punti fondamentali, serve molta attenzione anche da parte dei regolatori, del legislatore, del governo, devono prendere a cuore questo problema”.
“Serve dunque – ha aggiunto – molta attenzione da parte dei regolatori, del governo. Devono prendere a cuore questo problema“.