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Tradizionalmente, le imprese dei cosiddetti consumer-package-goods (CPG) fanno la parte del leone nell’acquisto di spazi pubblicitari televisivi. Il tubo catodico divenne un business sin dai primissimi anni ’50 grazie alla migrazione dalla radio di munifici sponsor dell’intrattenimento seriale come saponi e detersivi. Senza Procter & Gamble e Colgate-Palmolive non avremmo avuto né le soap né il concetto stesso di network TV in chiaro. Adesso la ruota ha di nuovo preso a girare, e il vento soffia in direzione Internet.
Secondo eMarketer nel 2009% l’online advertising sui contenuti video è cresciuto del 41%, a fronte di performance tra lo statico e il tracollo nell’intero settore della pubblicità. A trainare la corsa, guarda un po’, le aziende di CPG, da P&G a Kraft a Unilever (quest’ultima tra i più assidui acquirenti di spot su Hulu, CBS.com e ABC.com). Da sola Reckitt Benckiser ha investito 20 milioni di dollari in online video durante l’autunno 2009, e prevede di raddoppiare nel corso del 2010. “Si tratta di andare dove si è spostato il consumatore” dicono alla Unilever. E il margine di crescita è immenso, se pensiamo che (eliminato dall’equazione YouTube) vengono visualizzati 4 miliardi di web video al mese negli Stati Uniti. Se venissero monetizzate queste views anche a un CPM modesto di 10 dollari, significherebbe 400 milioni di dollari di pubblicità sottratti alla TV gratuita o a pagamento e alla già agonizzante carta stampata.
Le concessionarie di pubblicità specializzate in online video (Tremor Media, Yume, BBE e Brightroll) confermano l’ascesa dei clienti CPG in vetta alle loro classifiche 2009 per numero di impressions e per dollari spesi. FreeWheel, tra i principali acquirenti di pubblicità su YouTube, CBS.com e Sling.com, stima il peso dei suoi clienti CPG nel 30% del totale. Al momento online si vedono perlopiù inserzioni pubblicitarie concepite per la OldTV e lievemente riadattate per la fruzione in streaming. Ma l’attesa è di un’esplosione a breve di spot digitali studiati e realizzati appositamente per Internet, in coincidenza con lo shift graduale e progressivo dei budget annuali da drama e comedy classiche a online drama e online comedy, al ritmo di riallocazioni da 10% alla volta.
Un processo che tutti giurano sarà globale, così come globale è la crescita nei consumi di online e over-the-top video. E dove c’è domanda, nasce l’offerta. Nelle ultime settimane ho parlato di Valemont by MTV, di Woke Up Dead della Sony, di Easy To Assemble della IKEA. Ma in Nuova Zelanda il beniamino degli internauti è il webserial Reservoir Hill, un incrocio tra Twilight e Gossip Girl per la contemporanea presenza nella trama di vampiri e odiose quanto sensuali liceali figlie di papà. L’unicità di Reservoir Hill deriva dalla sua sceneggiatura al 100% interattiva. Attraverso
E se il vampirismo in salsa neozelandese non vi ispira, ma siete nondimeno appassionati di horror, si può direzionare il mouse verso il videoportale FEARnet, sugli scudi dall’ultimo Halloween in poi per il lancio di ben 2 webserial di grido: Fear Clinic, 5 episodi da 7 minuti l’uno di taglio cronenberghiano, interpretato da Robert Englund (Freddy in Nightmare; qui uno psichiatra in grado di fare miracoli nella cura delle fobie, dall’idrofobia all’entomofobia passando per la misfobia, o paura di essere contaminati dai germi) e Post Mortem with Mick Garris, condotto dal creatore del telefilm Masters of Horror e dedicato a interviste con i luminari del genere brividi & terrore (John Carpenter, Wes Craven, Tobe Hooper).
FEARnet, giunto a quota 8 produzioni originali (tra cui 30 Days of Night: Dust to Dust, Buried Alive, Stream e The Dark Path Chronicles) ha totalizzato a oggi 340 milioni di stream.
L’evento di inizi Novembre nel subverso delle web fiction, tuttavia, è stato il lancio su MySpace TV di Circle of Eight, thriller sanguinolento in 10 puntate [3 postate il giorno dell’esordio, il 27 Ottobre, le altre
Si tratta del debutto di Paramount nei webserial e a questo punto non fa più notizia l’ingresso nell’arena dell’ennesima major hollywoodiana, quanto il conteggio di chi ancora tra gli studios non ha attivato e finanziato una sua divisione digital.
§§§ Parlando di major, da quando è stato costituito il consorzio CIMM (NBC Universal, Time Warner, News Corp., Procter & Gamble, Unilever, CBS, Discovery, Viacom, Disney e concessionarie di pubblicità), la pressione su Nielsen per modificare le metodologie di misurazione dell’audience televisiva USA è stata asfissiante. La scorsa settimana, in una delle innumerevoli presentazioni all’epocale Year of TV Everywhere a San Francisco, il gigante dell’Auditel ha discusso politiche e criticità che domineranno la fase di implementazione delle rilevazioni universali multischermo nel 2010/2011. Due i punti chiave:
1) Solo “programmi qualificati” verranno misurati all’inizio in termine di ascolti C3 (i ratings Commercials3, introdotti nel 2007, misurano quante persone guardano una trasmissione in TV, in “diretta” o registrata su DVR entro 3 giorni dalla messa in onda, incluse le pubblicità; vengono tagliati fuori quindi dai dati di ascolto tutti quelli che fanno zapping durante gli spot). Per “programmi qualificati” si intendono quelli che avranno gli stessi identici spot sia online che in TV, naturalmente durante le 72 ore della fascia C3. Cosa significherà per i videoportali, ad esempio Hulu? Probabilmente nei primi 3 giorni dal simulcast degli show leader replicheranno le pubblicità televisive per poter rientrare negli indici di ascolto C3 (attualmente la quantità di inserzioni su Hulu è una frazione, assai meno di un quarto, dell’affollamento pubblicitario sui grandi network in chiaro). Dal quarto giorno in avanti, usciti dal “periodo C3”, potrebbero drasticamente diminuire la presenza di spot, creando di fatto un nuovo dilemma stile aspettiamo i dvd per gli spettatori: guardare subito la mia puntata preferita o attendere 3 giorni per non sorbirmi troppi spot?
2) C’è riluttanza tra chi fa parte dei campioni statistici Nielsen a farsi monitorare anche per le proprie abitudine di consumo su Internet; senza contare naturalmente la penetrazione ancora non totale della larga banda nelle case degli americani, problema transitorio ma rilevante per almeno altri 4-5 anni. Brian Fuhre, senior vice president di Nielsen, prevede di poter rilevare all’inizio solo il 50% del panel attuale televisivo per gli ascolti multischermo (quindi 10.000 case su 20.000).
Quali deduzioni trarne? Diciamo che ha senso mettere le mani avanti in questa fase pioneristica, e ogni scusa è buona per mettersi al riparo da critiche dei clienti su eventuali deboli veridicità dei dati. Da qualche parte però bisogna pur cominciare, e con il tempo i problemi di natura quantitativa verranno ovviati. Differente invece il discorso sull’analisi qualitativa dei dati – ancora non ho letto niente ad esempio sulle misurazione dell’engagement attraverso le piattaforme social e la blogosfera – e delicatissima la scelta dei criteri standard per determinare cosa costituisce ratings ufficiali (C3 o altro) e cosa no.
§§§ A proposito di blogosfera, una ricerca Sysomos condotta su 100 milioni di blog, sparsi ai cinque angolo del globo, indica un dominio YouTube negli embed ancora più schiacciante del già vertiginoso 40% di spettatori del mercato online video USA (Comscore, Agosto 2009). Limitando infatti i conteggi al numero di video embeddati (o linkati) dentro i blog, a prescindere dal numero di views generate, YouTube viene utilizzato 8 volte su 10. L’81.9% dei video embeddati dai blogger terrestri è targato YouTube. C’è persino da mettersi paura di fronte a un semi-monopolio così assoluto.
Sysomos non analizza le motivazioni addotte, ma è facile ipotizzare: a) la procedura di YouTube embedding è semplice e standard per qualsiasi gestionale di blog da WordPress in giù, b) per quantità di video hostati nessuno può neppure lontamente avvicinarsi a GoogleTube, con la logica conseguenza che la stragrande maggioranza delle volte la soluzione più immediata quando si cerca l’embed da aggiungere a un post è browsare per prima cosa YouTube; da qualche giorno c’è persino l’opzione per sharare clip in HD autentico (1920×1080).
Dietro YT, in base ai risultati dello studio Sysomos, si fa largo Vimeo – la prima piattaforma a offrire hosting in HD (ma solo a risoluzione 1280×720) con l’8.8% degli embed su scala mondiale, addirittura il 10,6% negli States, seguito da Dailymotion con il 4% [perlopiù concentrato in Europa] e MySpace con l’1%. Hulu, che ovviamente è usato solo dai blogger americani, raggiunge appena lo 0.5% degli embed, ed MTV non supera un miserrimo 0.1%.
In parole povere: il vecchio mondo dei broadcast media ha incredibilmente sbagliato i tempi nella corsa al Web 2.0, e per quanto ora cerchi disperatamente di recuperare le posizioni perse, sul versante della distribuzione sembra una guerra persa, inutile e pietosa. Farsi battere 10:1 da Vimeo, che è sì finanziato dalla ricca IAC di Barry Diller, ma in fondo ha come merito #1 quello di essere partito a fine 2004 (quattro mesi prima di YouTube) la dice lunga sull’importanza del time-to-market nella rivoluzione mediatica in corso.
Tra parentesi, i blogger che preferiscono YouTube sono in prevalenza maschi (58%), tra i 25 e i 35 anni. Il secondo range demografico è 35/65 anni, i blogger teenager rappresentano appena un 20% del totale embed youtubbati, gli over 65 meno del 2,5%. Gli embed di Break.com sono quelli in assoluto più maschili (all’88,5%), mentre MTV attrae le blogger del gentil sesso (68% degli embed da MTV.com). Il prime time dell’embedding è tra le 11 di mattina e mezzogiorno, il martedì il giorno con maggiore attività.
§§§ Concludendo il gioco delle associazioni mentali, restiamo in casa YouTube ma passiamo ai suoi fornitori di contenuti partner. Funny Or Die, la video web destination fondata da Will Ferrell un paio di annetti fa, ha finalmente aperto il suo canale ufficiale YT. Sinora FunnyOrDie, innegabilmente tra i leader nel segmento comedy, pur avendo una politica amichevole verso la syndication sulle piattaforme di video sharing esterne (in media il 15% delle sue views sono generate da embed, che diventano il 60-70% per i virali), aveva evitato di associare il proprio brand a quello di GoogleTube nel timore di restarne oscurato. Ora che il brand è consolidato – sono in preparazione 12 puntate di Funny or Die Presents per HBO più un lungometraggio cinematografico, e nel 2009 si prevede un fatturato pubblicitario di 10 milioni di dollari – la paura di cannibalizzare il sito ufficiale passa in secondo piano rispetto alle allettanti proposte di revenue sharing con YouTube. Al contrario, la prevedibile esplosione di spettatori dovrebbe intensificare l’attività di reperimento sponsor e product placement per le produzioni originali. Quest’anno una campagna promozionale a favore della riforma sanitaria commissionata da MoveOn detiene il record di views per programmi sponsorizzati su Funny or Die, con 2.8 milioni di spettatori all’attivo. Numeri significativi, ma pur sempre nanerottoli rispetto alle abituali statistiche YouTube.
Coming up next in NewTV: social gaming, il trionfo della Farmville Economy. Digressione solo “apparente”, il prossimo step per tutti gli operatori della webTV sarà sinergizzare con il mondo dei virtual goods. Fidatevi. E per aggiornamenti e link in anteprima seguitemi sul mio Twitter.
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