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Giornate Marconiane: ‘Le sfide delle tlc e l’attualità di Guglielmo Marconi’ raccontate da Vincenzo Zeno-Zencovich

Italia


Pubblichiamo l’intervento di Vincenzo Zeno-Zencovich – “Le sfide delle tlc e attualità di Guglielmo Marconi” – in occasione della prima delle”Giornate Marconiane” organizzate dalla Fondazione Ugo Bordoni per celebrare il centenario dell’assegnazione del premio Nobel per la Fisica a Guglielmo Marconi a Roma presso Biblioteca del Senato della Repubblica “Giovanni Spadolini”.

 

 

Le vicende della nascente industria della radiotelegrafia – di cui Guglielmo Marconi fu per anni uno dei protagonisti di rilievo mondiale  – vanno ricordate perché contengono in sé gli elementi antagonistici e contraddittori che tutt’oggi sono presenti nel mondo delle comunicazioni elettroniche.

 

Vale la pena sintetizzarle, perché anche se è passato un secolo o poco più, esse rischiano di essere sepolte dall’oblio, soprattutto per coloro che sono chiamati ad effettuare scelte pubbliche.

 

Il ruolo del diritto dei brevetti.

Il successo di Marconi e della sua impresa poggia sui quasi mille brevetti che depositerà nel corso della sua vita. Le  privative con le quali protegge le sue invenzioni determinano il successo di soluzioni, che anche se non ottimali sul piano scientifico, consentono di coprire l’intero settore tecnologico. Chiaramente Marconi, nello spirito dell’epoca (ma anche di successive: si pensi solo a IBM o a Microsoft) si muoveva in una logica monopolistica volta a marginalizzare i suoi concorrenti. Non è un caso che negli Stati Uniti, dove l’ingegno e l’operosità di Marconi stentarono ad attecchire, l’opposizione gli fu condotta sul piano brevettuale. La vicenda dell’assegnazione dei diritti primigeni a Tesla, conclusasi con una discutibile sentenza della Corte Suprema in tempore belli, ne è l’esempio più evidente.

L’insegnamento, attualissimo, che se ne può trarre riguarda il ruolo delle privative industriali, che fin dalla metà dell”800  costituiscono il punto di equilibrio fra tutela dell’inventore, stimolo alla concorrenza e interesse pubblico all’innovazione. Senza protezione brevettuale l’inventore è isolato e misconosciuto – nessun esempio è migliore del nostro Antonio Meucci – ma la creazione di quel che viene a ragione definito il roveto giuridico – nel quale non si può nè entrare e dal quale è difficile districarsi – porta ad isterilire la sana e feconda concorrenza trasformandola in una mera guerra legale fra potentati economici, in cui, alla fine, vince chi sa aggiudicarsi, in un modo o nell’altro, il favore delle corti.

 

La guerra degli standards.

La forza dell’impresa marconiana, ovviamente discendente dai brevetti, fu l’imposizione di taluni standards tecnici. Poco importa che, con il senno di poi, se ne possa fondatamente discutere la efficacia scientifica. Un secolo fa, come oggi, lo sviluppo di una innovazione passa attraverso la capacità di far adottare al vasto mercato le proprie specifiche tecniche. Nulla potrebbe essere più rivelatore dell’attuale confronto degli esiti della prima conferenza mondiale sulla radiotelegrafia che si tenne, nell’ambito dell’Unione Telegrafica Internazionale, a Berlino nel 1906. Uno dei temi centrali della discussione fu quello della interoperabilità fra i diversi sistemi allora esistenti. Marconi, che all’epoca godeva di un indubbio vantaggio competitivo sugli altri, si oppose strenuamente e, con l’indispendabile sostegno britannico, relegò il tentativo alle dichiarazioni di intenti che solo alcune delegazioni sottoscrissero.

Solo alla successiva conferenza, nel 1912, la commozione per la sciagura del Titanic (dove peraltro il sistema di radiotelegrafia funzionò egregiamente e salvò centinaia di vite) ci si mosse nella direzione di una limitata interoperabilità. Si colgono perfettamente in questo risalente dibattito l’antagonismo fra reti aperte e reti proprietarie, fra cooperazione e competizione. Ed il ruolo dei soggetti sovra-nazionali nel saper distinguere fra interesse dei singoli e quello collettivo, e fra efficienza del sistema ed ideologie economico-politiche (stataliste o pan-liberaliste, non importa). Il modello europeo che si è affermato con grande successo in taluni settori, come la telefonia mobile, attraverso quel che, con una crasi, si definisce “coo-petition”, ed il cui strumento giuridico è costituito dal patent-pooling, merita di essere analizzato e visto in una dimensione che vada oltre il nostro continente e la fragile Unione Europea.

 

I monopoli di Stato.

Uno dei primi e più fieri oppositori dell’affermazione di Marconi imprenditore fu il Post Office britannico. Sarebbe riduttivo ricondurre la vicenda al personale astio dell’allora Postmaster General, causato dalla mancata cessione dei brevetti marconiani. In realtà, dietro il contrasto vi era una idea che, dopo la I guerra mondiale, farà strada in tutta Europa, soprattutto a seguito della grande depressione: le grandi reti tecnologiche costituiscono una infrastruttura essenziale da riservarsi allo Stato. E sarà una visione vincente per quasi settanta anni fino alla metà degli anni ’80 quando, proprio nel Regno Unito, la politica thatcheriana darà il via alle liberalizzazioni dei cui straordinari vantaggi oggi noi godiamo. Ma non è una idea morta e sepolta: l’odierno dibattito sulle reti di nuova generazione vede affacciarsi, con la riedizione di argomenti d’antan, politiche di intervento statale il cui esito finale è la titolarità pubblica delle reti. Beninteso non si tratta di demonizzare la proprietà pubblica, la quale può portare innegabili vantaggi, come la vicenda delle reti ferroviarie ad alta velocità dimostra. Ancora una volta occorre cercare di comprendere quali siano le corrette risposte giuridico-politiche a sfide future assai complesse nelle quali il rapporto fra capitali ed ingegnosità privati e interventi fiscali e sociali deve trovare uno stimolante, e non paralizzante, punto di equilibrio.

 

I “campioni nazionali”.

Se nella patria della propria impresa industriale Marconi incontrava l’ostilità del Post Office, all’estero, oltre alla resistenza americana, il rampante impero germanico metteva tutta la sua forza per creare un concorrente che bloccasse la azienda dominante. I falliti tentativi di Siemens e di AEG portarono alla costituzione di Telefunken, che nel suo nome rivela le sue ambizioni. Nasceva così il moderno modello del “campione nazionale” che foraggiato nel mercato interno da commesse pubbliche – in particolare da quelle militari – si sposta su quello esterno per contrastare, grazie al sussidio incrociato, le imprese senza bandiera, come la meticcia italo-anglo-irlandese Marconi. Chiaramente non ha senso, ad un secolo di distanza, recriminare. Il punto, invece, è che a tutt’oggi dietro una impresa che ha ambizioni internazionali si muovono un paese, le sue istituzioni, la sua politica, la sua diplomazia. Ancora una volta in ciò non vi è nulla di intrinsecamente errato. La riflessione deve incentrarsi sul fatto che se nell’Unione Europea abbiamo tutti – imprese, fisco, utenti – profittato della fine degli aiuti di stato e dei diritti speciali ed esclusivi, quando ci si muove al di fuori dei confini europei sorgono complesse questioni da regolarsi nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Interesse nazionale e libertà dei traffici sono ancora – come un secolo fa – agli antipodi, oppure è possibile individuare soluzioni equilibrate e che fanno muovere a tutti un passo avanti?

 

 

Le telecomunicazioni come fattore della politica internazionale.

L’invenzione marconiana si inserì in un momento storico nel quale si fronteggiavano vecchi e nuovi imperi: non solo quello britannico, ma quello francese, quello tedesco, quello statunitense. Le telecomunicazioni diventarono lo strumento essenziale per collegare territori lontane migliaia di chilometri e distanti settimane di  viaggio. Le potenzialità politico-militari della radiotelegrafia furono immediatamente percepite, in primo luogo dall’Admiralty inglese, in funzione dell’espansionismo e del consolidamento coloniale. La pacifica e salvifica funzione dei “marconisti” sulle grandi linee di navigazione commerciale, veniva applicata per spostamenti tattici e strategici sullo scacchiere internazionale; per conoscere quanto prima le mosse degli avversari e adottare le contromisure. Anche ad applicarla agli intenti più pacifici, la radiotelegrafia cambiava profondamente la natura della diplomazia e dei rapporti bilaterali. Le telecomunicazioni prendevano un posto centrale nel funzionamento delle relazioni internazionali e non le lasceranno più: basti pensare alla conquista dello spazio da parte dei satelliti per comunicazioni, e alla genesi della rete Internet. La vicenda marconiana obbliga il giurista a considerare che vi sono ambiti ben più vasti della regolazione della tecnica, i quali si sottraggono alla sua giurisdizione. Ciò che è cambiato rispetto all’elitaria – economica e culturale – esperienza di un secolo fa, è la straordinaria natura intrinsecamente democratica delle attuali reti di comunicazione elettronica. Certamente non sono cessate le dimensioni di politica internazionale, ma accanto ad esse sono cresciute quelle della comunicazione individuale e collettiva. Anche se probabilmente non rientrava nei suoi obiettivi, la straordinaria libertà – al primo posto, la libertà di conoscere – di cui oggi godiamo deve un tributo di riconoscenza a Guglielmo Marconi. Ed il modo migliore per un giurista di renderlo è – anziché arroccarsi nella prospettazione di gravi e paralizzanti rischi – cogliere tutte le straordinarie opportunità che l’innovazione tecnologica offre.

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