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La scorsa settimana, a New York, lì dove le cose avvengono, Nielsen ha incontrato tutti i suoi clienti broadcaster – nel meeting “Auditel” più atteso e coperto dell’anno dalle testate specializzate USA – per discutere modalità e tecniche di misurazione della convergenza, ergo il pubblico dei prodotti televisivi in streaming (per adesso via pc da casa e ufficio, ma non dubito che presto vorranno sapere dati sulla fruizione over-the-top, ovvero quanti guardano i videositi e sport/film on-demand su normale schermo da salotto attraverso scatolette mediacenter dedicate tipo Roku/Vudu/Boxee o televisori di ultima generazione).
Intanto a Hollywood, lì dove le cose corrono, è iniziata una settimana di eventi per l’industria dell’online video, a cavallo tra il mondano, l’accademico e il business dating, talmente fitta che anche volendo sarebbe impossibile partecipare a tutto. E non è che un assaggio del vero superevento autunnale, L’Anno della TV Everywhere, il 12 Novembre a San Francisco, dove parleranno i boss del 99,9% dei player fondamentali nell’ecosistema mediatico digitale americano, da Netflix a YouTube, da Comcast ad Adobe, da Facebook ai network TV, tutti i content provider net-based, tutte le agenzie di ricerca alla Visible Measures. Tutti.
Sempre la scorsa settimana, a Roma, lì dove le cose si perpetuano, ho proseguito come di consueto riunioni e discussioni con i miei concittadini senior, i vecchi analogici romani. Il loro mantra ricorrente era “non si discute, il futuro della televisione è Internet”. Okay, già è un passo avanti concettuale. Ora, non voglio rompervi con la pappardella su cosa intendiamo per futuro; quante decadi, anni o mesi. Leggetevi qui l’originale. Il punto è che nel più importante mercato media al mondo, The Unites States of America, non è il futuro, il presente della televisione è Internet.
E veniamo al tema della rubrica odierna: creare i divi della NewTV, istruzioni per l’uso da applicare a Dio piacendo anche in Italia. Ho più volte citato Felicia Day e il conduttore Alex Albrecht. Ma le star della NewTV di lingua inglese iniziano a moltiplicarsi a ritmi da conigli. Il mercato c’è, il mercato c’è oggi e non in un indefinito domani, e il mercato ha bisogno di star. Prendiamo come paradigmatico il caso della canadese Shira Lazar, presentatrice degli inaugurali Streamy Awards. Si è guadagnata un suo drappello di fan facendo interviste fuori dalle righe via iPhone, con supporto di software Qik per il live streaming, ai guru dei new media. Il suo Twitter, @shiralazar, ha 14.000 fedelissimi. Nel tempo hanno preso a chiamarla per condurre alcuni degli show web-only più consolidati, come This Week in YouTube (dove ha sostituito Leah D’Emilio), TechStyle e This Week in Startups, o a fare la testimonial di portali verticali tipo geekchicdaily.com.
La gavetta digitale le ha ora procurato un contratto con CBSNews.com, come corrispondente e blogger da Los Angeles del The Tomorrow Show di Mo Rocca. Il suo parte-blog+parte-videoblog CBS, On the Scene with Shira, dedicato ai trend emergenti nella cultura dell’innovazione, ha esordito con una scenetta improvvisata dietro le quinte insieme a Katie Couric, la prima donna mezzobusto di TG serale d’America.
Il messaggio mi sembra chiaro: ignorare le TV minori, e costruire invece su web la propria carriera, con i talk e i magazine di nicchia, per farsi notare dai grandi e debuttare nel mainstream. Questo presuppone che le strutture addette alle Risorse TV seguano i talenti web, prendano contatto e li inseriscano all’interno delle trasmissioni più coerenti con il loro stile. Ogni suggerimento all’omonima struttura di viale Mazzini è puramente casuale…
In realtà, quanto avviene oltre Atlantico è uno sviluppo naturale della vera, immensa differenza tra le major USA e le emittenti europee, quando si tratta di online video. Quale? Che le major sono rapidamente diventate editori di contenuti solo per Internet, in Europa ci si limita a ritrasmettere online quanto prodotto per
Se è vero che la penetrazione della larga banda gioca un ruolo decisivo nel rendere sostenibili gli economics di web fiction e web show, è altrettanto vero che è la crescente presenza di un’offerta professionale a spingere i record della domanda di online video negli States.
Ad esempio, Crackle.com della Sony da solo, senza il clamore galattico di YouTube, ha già all’attivo due serial originali da rispettivamente 5 milioni di views in 45 giorni (il noir di ispirazione tarantiniana Angel of Death, al momento offline per trainare la versione rimontata in dvd) e 1.4 milioni di views in 10 giorni (la zombie comedy Woke Up Dead). 1.4 milioni di views spalmate su 12 episodi significano 300.000 spettatori per la prima puntata e 100.000 circa per le successive. Numeri da TV satellitare. Il più stagionato Star-ving di David Faustino in tutta la sua lunga permanenza su Crackle non è andato oltre i 3 milioni di views totali.
Cambiando major, su MTV.com (quindi Viacom/Paramount) è di queste ore la notizia del boom di stream per il neolanciato Valemont, vampiri stile Twilight e firma produttiva della Electronic Farm Entertainment, gli stessi di Woke Up Dead, nonché di Gemini Division e Afterworld.
Perché Woke Up Dead e Valemont sfracellano i record predecenti? Perché i morti viventi e i non-morti vanno di moda, questo è certo, ma al contempo anche perché è stata raffinata la strategia di composizione del cast e di distribuzione. In Woke Up Dead il protagonista è Jon Heder di Napoleon Dynamite, circondato nei ruoli comprimari da una parata di veterani delle migliori sitcom, e la serie arriva sull’onda del successo al botteghino cinematografico di Zombieland, medesimo genere e medesimo studio (la Sony). Un brillante lavoro di sinergie che supplisce alla carenza di spesa in marketing tradizionale.
Contemporaneamente, è stata ribaltata l’antica tecnica di “un episodio nuovo a settimana”. L’esperienza ormai insegna che gli internauti non vogliono aspettare. Così i 23 episodi complessivi di Wake Up Dead, da 5 minuti l’uno, sono rilasciati a gruppi di
Sono formule basate sull’osservazione dei numeri generati in passato. E i numeri attraggono gli sponsor. Se Gemini Division era stato finanziato da Cisco, UPS e Microsoft, stavolta è stata Kodak a pagare, ricevendo in cambio un pesante contributo di product placement per la sua videocamera HD Zi8 (di cui è fan sfegatato il miglior amico dello zombie protagonista di Woke Up Dead).
Beninteso, non è mai semplice mantenere un equilibrio tra le necessità narrative e il ROI (ritorno dell’investimento) che un brand pretende per finanziare il product placement. Di recente ha suscitato un vespaio di polemiche proprio al riguardo un webserial prodotto da Fox Mobile Studios con i $$$ delle mentine Altoids: Brainstorm. Ambientato in una fittizia agenzia pubblicitaria, la Yogurt, l’intera trama ruota intorno al disperato tentativo dei demenziali dirigenti Yogurt di salvarsi dalla bancarotta realizzando una campagna promozionale vincente per il loro cliente #1… ovviamente
§§§ Prima di chiudere, un paio di dati random giusto per gradire.
§§§ Infine, il tradizionale angolino GoogleTube. Il direttore finanziario di Google ha ribadito nelle utlime ore l’imminente arrivo dei profitti per la piattaforma leader mondiale di video sharing. Non è stata specificata una data, neanche indicativa, ma ora sappiamo che dei 7-8 miliardi di views a settimana generati da YouTube più di un miliardo sono monetizzati. Dunque, almeno il 14% del pantagruelico totale clip streammate produce soldi. Nove su dieci dei 50 inserzionisti top USA hanno effettuato campagne su YouTube nel 2009, e il 90% degli spazi pubblicitari disponibili in home page sono stati venduti. Poco da aggiungere, a volte i numeri parlano da soli…
Coming up next in NewTV: uno sguardo sulle esperienze di download legale di film in Italia. Per aggiornamenti in tempo reale, ovviamente, seguite il mio Twitter.
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