Europa
Il grave allarme provocato dal suicidio di 24 dipendenti del gruppo telefonico francese France Telecom, ha spinto Etica sgr, la prima società italiana di gestione del risparmio che propone solo fondi di investimento socialmente responsabili, a dismettere tutte le azioni del gruppo presenti nei portafogli dei fondi.
Una decisione approvata all’unanimità dal consiglio di amministrazione e dal comitato etico e maturata in un contesto particolarmente complesso e per certi versi anche inatteso, poiché, come ha spiegato Alessandra Viscovi, direttore generale di Etica sgr, “La società ha sempre mantenuto buone performance nell’ambito della responsabilità socio-ambientale in base alle valutazioni fornite dall’agenzia britannica Eiris leader del settore”.
Data l’attualità del problema, vi proponiamo di seguito un articolo del prof. Sebastiano Bagnara (Dipartimento di Architettura e Urbanistica – Università di Sassari ad Alghero) sul tema del rapporto tra ristrutturazioni aziendali e benessere organizzativo e dei lavoratori.
Tematica che è anche oggetto del progetto comunitario “Hires Plus” promosso dalla Direzione Generale “Occupazione” dell’Unione Europea, in accordo con
Le ristrutturazioni aziendali vengono di solito valutate per gli effetti nell’efficienza di un’impresa, nel miglioramento della qualità dei servizi o dei prodotti che offre, e nella sua competitività. Sono quindi valutate essenzialmente, spesso solo, in termini economici. Ed è nel senso comune pensare ad un’impresa “sana” come ad un’impresa che dà profitti.
Da un po’ di tempo, tuttavia, si sta proponendo un nuovo punto di vista, per il quale un’impresa “sana” significa anche un posto in cui la gente che vi lavora sta bene, e che perciò attira persone brave, quelle che hanno maggiori competenze e migliori conoscenze, le più appetibili sul mercato di lavoro. L’impresa “sana”, in questo senso, tende anche ad essere migliore dal punto di vista economico. E perciò il termine “sano” riferito ad un’impresa, ad un’organizzazione sta, lentamente, ma sempre di più, acquisendo significato più pieno, che riflette il benessere sia economico dell’impresa, sia il benessere fisico e psicologico delle persone che vi stanno dentro e che la fanno.
Adottando questa prospettiva,
Le categorie a rischio sono sostanzialmente tre. La prima categoria comprende le, tradizionali, “vittime” (victims) delle ristrutturazioni, i licenziati, gli espulsi. Le conseguenze per la loro salute sono note e assodate dagli studi sulla disoccupazione, soprattutto quando questa si protrae per lunghi periodi e tende a diventare permanente. Si stabilisce allora una complessa sindrome di depressione e apatia, spesso accompagnata da comportamenti di abuso di farmaci ed alcol, con caduta delle difese immunologiche e il conseguente insorgere delle malattie collegate. Però, le vittime, soprattutto se preparate e accompagnate da azioni di supporto individuale, possono vivere in maniera meno traumatica e anche positivamente
Le vittime reagiscono positivamente, se preparate, supportate individualmente e socialmente, e vedono, capiscono e, al limite, condividono le ragioni della ristrutturazione.
Meno note, e per certi versi sorprendenti sono le altre categorie a rischio. In primo luogo, vi sono i “sopravvissuti” (survivors). I ricercatori finlandesi, che li hanno scoperti e descritti, e che hanno pubblicato le loro ricerche già nel 1997 sulla prestigiosissima rivista di bio-medicina “Lancet”, li hanno chiamati così. Sono coloro che rimangono in azienda, sopravvivono appunto alle ristrutturazioni. Lo studio finlandese, denominato “delle 10 città”, mostra, infatti, che queste persone nel lungo periodo tendono spesso ad ammalarsi e di malattie gravi (come dimostrano il tipo di assenza – lunga – che fanno) e il fatto che abbandonano il lavoro prima (sono più numerosi i prepensionamenti). Probabilmente questo esito negativo, a medio e a lungo termine, è dovuto ad un insieme di reazioni al mancato licenziamento, che vanno dal presentismo (vanno al lavoro anche quando sono ammalati, spariscono le assenze brevi), all’intensificazione dei ritmi e dei carichi di lavoro, ma soprattutto alla perdita di fiducia nell’azienda per la rottura del contratto psicologico che li legava con essa e per la difficoltà di ricostruirlo nelle nuove condizioni, insieme con il senso di colpa verso i colleghi “vittime” della ristrutturazione in cui loro si sono salvati.
Ancora più sorprendente, ma non tanto se si fa un po’ mente locale, è la terza categoria e cioè il management, che nei processi di ristrutturazione strova spesso nella difficile situazione del salame nel sandwich: è fra due fuochi. Può essere vittima ma anche il gestore responsabile del processo. E, in più, nessuno si cura di lui. Vi sono pochissimi studi sugli effetti sulla salute del management (soprattutto del medio-basso, che si trova nelle condizioni più difficili) nelle ristrutturazioni. Ma vi sono ormai molti casi che indicano come le situazioni di ristrutturazione siano spesso esperienze di sofferenza psicologica, alle volte intollerabile, per i capi intermedi e per i manager.
Per ciascun tipo di categoria il rapporto indica una serie di azioni positive e di buone pratiche da adottare, che vanno dall’attivazione di processi comunicativi interattivi, che centrate sull’ascolto, alla preparazione e trasparenza dei processi, alla garanzia della giustizia nelle scelte e nelle procedure, alle azioni formative per garantire l’occupabilità.
La D.G. “Occupazione, Affari Sociali e Pari Opportunità”, anche per evitare che il rapporto finisse nell’immenso cimitero di Bruxelles dei buoni, ma inutili, rapporti di ricerca, stavolta in accordo con
Il workshop italiano si è tenuto a Firenze il 9 luglio ed è stato focalizzato sulle piccole e medie imprese. Ed ha permesso di “scoprire”, oltre a numerose buone pratiche italiane, due nuove categorie a rischio: i lavoratori delle PMI e i piccoli imprenditori che falliscono.
I lavoratori delle piccole imprese sono polverizzati, ed invisibili. Ma sono molto numerosi: la maggioranza dei lavoratori italiani. E sono praticamente privi di protezione e supporto.
Data la diffusione della piccola impresa in Italia e l’ampiezza della crisi attuale, ma anche in condizioni positive, visto il ciclo di vita generalmente breve di una azienda di questo tipo, il fallimento non riguarda pochi casi individuali, ma interessa molte persone, una folta categoria a rischio di cui si sa poco e per la cui salute nelle ristrutturazioni si fa ancor meno.
Hires+ Rapporto del Workshop Italiano
La salute nella ristrutturazione: Approcci innovativi e raccommandazioni politiche