Twitter raccoglie nuovi fondi per 100 mln di dollari. La società vale 1 mld di dollari, senza fatturare un centesimo

di Alessandra Talarico |

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Il famoso sito di microblogging Twitter sta per procedere a un nuovo aumento del capitale sociale da 100 milioni di dollari, che porterebbe la sua valorizzazione a 1 miliardo di dollari.

Lo ha reso noto il Wall Street Journal che, citando fonti vicine al dossier, precisa che la nuova iniezione di contante proverrebbe da un consorzio di sette investitori vecchi e nuovi, comprendente T. Rowe Price, la newyorkese Insight Venture Partners, Sparks Capital e Institutional Venture Partners.

 

Per Twitter, che ha conquistato in maniera inaspettata milioni di adepti ma non ha ancora registrato utili, si tratta del secondo finanziamento dall’inizio dell’anno: la compagnia ne ha ottenuto un altro da 35 milioni di dollari a febbraio da Benchmark Capital e Institutional Venture Partners. A quell’epoca, Twitter era valutato circa 250 milioni di dollari.

 

Insieme a Facebook, Twitter è uno dei luoghi sacri della socializzazione online: da Barack Obama ai divi di Hollywood, passando per i politici nostrani, la Twitter-mania è esplosa e dilaga, anche se poi – stando ad alcune recenti indagini – si smorza quasi subito: per il 60% degli utenti, infatti, la passione si spegne dopo appena un mese.

Anche se la fidelizzazione dei clienti – che è un elemento chiave per la sopravvivenza e la sua capacità di generare profitti sul web – non è proprio il forte di Twitter, la società è molto corteggiata e il sito continua ad attrarre visitatori (secondo comScore Inc, ad agosto sono stati 54,7 milioni i visitatori unici, contro i 4,3 milioni agosto 2008).

Resta solo da capire come tutta questa popolarità potrà essere trasformata in profitto.

 

La scelta di ricorrere a un nuovo aumento di capitale, conferma la scelta della società di prediligere il sostegno di investitori finanziari alle partnership o a un’eventuale acquisizione: lo scorso anno Twitter ha rifiutato un’offerta d’acquisto da 500 milioni di dollari da parte proprio di Facebook. Il management non l’ha infatti ritenuta adeguata: “abbiamo appena iniziato. La compagnia ha appena 2 anni e abbiamo ancora tanti servizi da implementare e tante cose da migliorare”, ha spiegato il co-fondatore Biz Stone, che successivamente si è trovato spesso a smentire i rumors secondo cui il sito, che si è aggiudicato l’oscar del web come ‘fenomeno dell’anno’, sarebbe stato pronto a cedere alle lusinghe (e ai milioni) di qualcuno dei molti big del settore – da Google a Microsoft, passando per Apple.  

 

Una scelta che potrebbe consentire una maggiore flessibilità in futuro, dicono gli analisti, sottolineando la diversità di approccio rispetto, ad esempio, a Facebook, che ha accettato un investimento da 200 milioni di dollari dalla russa Digital Sky Technologies.

 

Quel che stupisce i più è come abbia potuto una società che non ha ancora registrato profitti né è quotata in Borsa, arrivare a valere 1 miliardo di dollari.

Per dare un’idea, basti pensare che dopo questa operazione, la capitalizzazione di Twitter supererebbe del doppio quella di Pizza Domino, che però ha incassato lo scorso anno 1,4 miliardi di dollari e conta oltre 10 mila dipendenti contro i 60 di Twitter.

 

La fiducia degli investitori sembra dettata dalla convinzione che il microblogging – creato per permettere agli utenti di scambiarsi brevi messaggi da 140 caratteri – rappresenta un notevole cambiamento nell’uso del web.

 

Eppure, la società è ancora alla ricerca di un business model valido: nei mesi scorsi, i dirigenti avevano annunciato di essere al lavoro per sviluppare una serie di servizi premium e Stone aveva anche considerato la possibilità di far pagare le aziende per pubblicizzare i loro prodotti.

 

Poche settimane fa, la società ha quindi annunciato l’intenzione di aprirsi alle inserzioni pubblicitarie ma i dettagli del progetto non sono stati rivelati.

Da giugno, Twitter ha anche cominciato a distribuire dei certificati di autenticità per verificare l’identità dei propri utenti, sostenendo che le società sono disposte a pagare per ottenere questi certificati.

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