NewTv: volete start-up italiane nell’online video? Cacciate i soldi! Ecco quanto spendono i venture capital Usa

di di Andrea Materia |

Italia


Venture capital

§§§ Qualche settimana fa, alla tavola rotonda nel cuore dei Parioli di una ben pubblicizzata neonata iniziativa di finanziamento per nuove imprese 2.0, i relatori si chiedevano perché non emergono successi alla Facebook sul cybersuolo nazionale. Colpa della mentalità, la risposta. Senza nulla togliere all’esecrabile apatia italica verso l’imprenditoria giovanile, ma la colpa è dei soldi. I soldi che non girano, almeno non nella direzione del cambiamento. C’è stato un momento sul finire degli anni ’90 in cui sembrava esserci interesse a importare forme di venture capital di taglio anglosassone. Ero in consulenza strategica all’epoca, osservavo da vicino e prendevo appunti. Poi crollò il Nasdaq, poi l’11/9, poi la crisi. Si è persa la memoria ormai di quei tentativi.

 

Oggi esiste solo la buona volontà. Con alcuni ex-colleghi di tante produzioni RAI, ad esempio, stiamo mettendo su una strutturina di produzione contenuti primariamente a sfruttamento IP-based. È unita con lo sputo, lo spago e la colla, e il pudore mi impedisce di chiamarla start-up. È una strutturina di buona volontà, appunto. Eppure le competenze del team fondatore sono di prim’ordine, così come coraggiosi i format in preparazione. Sul lato creativo, non mi sento di invidiare i nostri omologhi americani che negli ultimi 3-4 anni hanno cavalcato la rivoluzione NewTV. Da invidiare è il loro accesso a incubatori e investitori specializzati. Niente credito in cassa, niente continuità di credits sugli schermi, si può essere solo estemporanei e sperimentali.

 

Fantasia e talento non bastano. Dal 2005 a oggi le 25 nuove imprese con i più imponenti finanziamenti nel comparto dell’online video (escludendo Hulu che fa storia a sé e tutte le realtà direttamente legate alle major) hanno alzato 1,2 miliardi di dollari in venture capital. In media 34 milioni di euro a testa. Le Top 10 hanno incassato per l’avviamento 720 milioni di biglietti verdi, 52 milioni di euro l’una secondo il cambio di venerdì scorso. Parlo di avviamento, perché i tre quarti di questo denaro è affluito nel primo biennio di attività (del resto molte di queste società sono appena uscite dal primo biennio di attività!). Riprendendo una ricerca di Warren Lee, blogger e associato a Canaan Partners, guardiamo nello specifico i numeri di molte delle realtà di NewTV citate e ricitate a più riprese su queste colonne…

 

Veoh (primo finanziamento il 2 Agosto 2005), 99 mil di dollari di fondi, il 70% nei primi 2 anni.

Move Networks (8 Dicembre 2006), 91 mil di dollari, il 100% nei primi 2 anni.

Metacafe (1 Luglio 2003), 49 mil di dollari, l’8% nei primi 2 anni.

Joost (1 Maggio 2007), 45 mil di dollari, il 100% nei primi 2 anni.

DailyMotion (16 Agosto 2006), 44 mil di dollari, il 100% nei primi 2 anni.

VideoEgg (20 Aprile 2005), 36 mil di dollari, il 44% nei primi 2 anni.

BitTorrent (27 Settembre 2005), 36 mil di dollari, l’80% nei primi 2 anni.

ZillionTV (1 Febbraio 2008), 34 mil di dollari, il 100% nei primi 2 anni.

Visible Measures (1 Marzo 2007), 29 mil di dollari, il 65% nei primi 2 anni.

Kyte.tv (15 Agosto 2006), 23 mil di dollari, il 100% nei primi 2 anni.

Next New Networks (8 Marzo 2007), 23 mil di dollari, il 100% nei primi 2 anni.

 

Camtweet Demo
Real-TIme CrunchUp 2009

Ora, è vero che nelle sue conclusioni Warren Lee contesta gli eccessi del meccanismo americano. L’overfunding non è sinonimo di gestione aziendale virtuosa. Quando c’è riluttanza a investire in business plan se non si chiedono minimo 3 milioni di dollari per far partire le operazioni, è evidente il pericolo della cupidigia nel processo decisionale. E tuttavia, est modus in rebus. Noi siamo troppo all’estremo opposto per poterci permettere di ignorare le risorse messe a disposizione dei competitor internazionali, quasi fosse la volpe con l’uva di Esopo. E non mi dite “da noi ci sono i bandi pubblici” o “il mercato italiano non è paragonabile per dimensioni e dunque potenziale ritorno dell’investimento con quello in lingua inglese”, perché mi sfugge cosa ci impedisca oggi come oggi nell’ecosistema 2.0 di concepire strategie industriali glocali nella produzione e distribuzione di audiovideo e soluzioni software sottese.

 

Sapete qual è la verità? Che ogni giorno seguo gli RSS feed di Michael Arrington e di ChubbyBrain, e scuoto la testa con rassegnazione.

 

Viviamo in un’Italia in cui i marxisti comunisti sono una razza in via di estinzione, ormai privi persino di rappresentanza parlamentare. Per fortuna. Il dramma è che insieme a loro sono spariti anche i capitalisti… Il Sistema Paese, mi limito al nostro settore media, non produce – né in misura congrua né tantomeno con flusso regolare – capitale di rischio. Enfasi sul sostantivo “rischio”.

 

Così ci estinguiamo un po’ tutti.

 

§§§ La TV Everywhere On Demand di Comcast ha rimpolpato la squadra “fornitori di contenuti” in maniera massiva e roboante. Dentro anche HBO, Starz e Cinemax, decani del cinema in pay TV, dentro in via sperimentale l’unico network in chiaro assente da Hulu, ovvero la CBS, e dentro rinforzi di lusso a go go, da BBC America a MGM Impact, Hallmark, History, E!, G4, FEARnet, WE (Women TV), canali di cibo, moda e lifestyle. In particolare, da HBO e Cinemax arrivano in dote 750 ore di film di casssetta delle ultime stagioni (Shrek, Batman, Kung Fu Panda, cose così), capolavori del passato (tipo Rosemary’s Baby, Mrs. Doubtfire, Speed) e un ricco pacchetto di telefilm di culto (il popolarissimo True Blood, i Soprano, Sex and the City, serie in corso come Hung). Parecchio, non tutto, sarà in HD, e diverse trasmissioni andranno in semi-simulcast con la messa in onda tradizionale nella OldTV.

 

L’ingresso in TV Everywhere di HBO, Starz e Cinemax segna un passaggio fondamentale: sono i primi canali premium nel bouquet. Tutti gli altri, a partire da TBS e TNT del gruppo Time Warner che è co-sponsor principale del progetto, sono canali via cavo basic. Non entrano con l’intera library, ma è lo stesso un radicale punto di svolta. Da seguire anche l’evoluzione delle politiche di partnership CBS, per ora associatasi solo a livello di “test”. Sebbene sia già stato argomento di recente analisi, ha senso cogliere l’occasione per riepilogare le caratteristiche salienti di TV Everywhere, e la sua forza eversiva dei modelli di business vetero-televisivi.

 

1.    TV Everywhere è una piattaforma che mette a disposizione on-demand e via Internet un’enorme quantità di contenuti agli abbonati Comcast di TV via cavo (immaginate Sky, ma via cavo; non è una differenza da poco, cavo batte satellite e digitale terrestre in interattività 100 a 0). In realtà il nome ufficiale di TV Everywhere è “OnDemand Online”, ma TV Everywhere è di sicuro più evocativo e per questo Time Warner lo preferisce nei suoi comunicati stampa.

2.    Per accedere al servizio bisogna collegarsi su Comcast.net oppure su Fancast.com e autenticarsi, c’è un software apposito.

3.    Per autenticarsi servono dati che vengono inviati solo agli abbonati della OldTV. In soldoni, pago la OldTV, mi becco in aggiunta la NewTV, sono contento di potermi guardare tutto o quasi in qualsiasi momento e da qualsiasi device, e non emigro con i miei soldi altrove. Non è previsto accesso gratis come avviene per Hulu.

4.    L’obiettivo è appunto fermare l’emorragia di contenuti della major verso i videoportali gratuiti, che monetizzano con la pubblicità. Se gli studios non mettono online e soprattutto free i loro pezzi pregiati, e al contrario li dirottano su TV Everywhere, gli spettatori continueranno a pagare il loro vecchio abbonamento al cavo, raddoppiato però in valore, allo stesso costo di un anno fa. È un piano logico.

5.    Dal punto di vista assai singolare di CBS, quindi emittente in chiaro senza proventi da canale pay, la mossa punta a farsi pagare da Comcast per la licenza esclusiva di trasmissione in streaming. E magari già che ci sono anche piazzare spot agli inserzionisti a tariffe comparabili a quelle classiche on-air. È una strategia spericolata, antitetica rispetto a quella di Fox, NBC e ABC per Hulu. Qui non si parla di un canale pay che vuole tenersi i suoi abbonati, ma di un canale free che impone autenticazioni e riscossioni a chi preferisce guardarlo su dispositivi dotati di indirizzo IP. Se mi chiedete di scommettere, punterei su Hulu. Ma poiché CBS è in prova con TV Everywhere, c’è tempo per cambiare idea.

 

§§§ Vivessi negli States, avrei enormi difficoltà a resistere alla tentazione dei televisori con accesso web e decoding chip integrato. O meglio, da cinefilo accanito, non resisterei, punto. Samsung – che è secondo sul mercato USA degli LCD con il 20% delle vendite nel primo trimestre 2009 (in testa Vizio, spinto dai prezzi bassi, con il 21.6%, e a seguire Sony con 16%, LG con il 10,7% e Sharp con il 9,4%) – dall’autunno doterà tutti i suoi apparecchi di accesso al catalogo Blockbuster OnDemand. Significa: pay per streaming, un tot per ogni pellicola, dei film Blockbuster. Seduti comodamente in poltrona. Bye bye monitor del pc. Non è previsto un abbonamento flat. Chi preferisce pagare una quota mensile e guardarsi tutti i lungometraggi che il tempo libero consente può però ripiegare sul servizio di streaming Netflix. Anche questo inserito “OEM” di default nei nuovi televisori Samsung, Vizio e… beh, più o meno in tutti i nuovi televisori di fascia alta web-enabled in vendita da quest’estate in America. È l’alba della NewTV. C’è da chiedersi perché gli operatori di pay TV negli USA sono nel panico e cambiano dal giorno alla notte qualsiasi posizione precedente anti-Internet? Sembrano prospettarsi tempi felici per i consumatori di media in talune parti del pianeta Terra…

 

§§§ Il portale pionere del lifecasting ha aggiornato e semplificato la sua interfaccia grafica e di navigazione. L’obiettivo di Justin.tv, ovviamente, è attrarre al credo del “broadcasta te stesso” le schiere dei navigatori non-iniziati e non-smanettoni. Al punto da eliminare il requisito dell’iscrizione e del log in per webcastare la propria vita. Ora basta dare start alla webcam e utilizzare i tool di Justin.tv, “con un solo click” come reclamizza il sito. Un colpo al cerchio e uno alla botte: ci sono novità anche per i veterani di Justin, tra cui funzionalità di DVR (si può mettere in pausa lo streaming e il sistema provvede a salvare il flusso video, conservandolo per successive visioni entro 7 giorni), instant messaging e una roba very figa per i Twitteromani. Si tratta di Camtweet, un’applicazione che consente di streammare live video mentre si è collegati a Twitter. Tra parentesi, voci di corridoio danno gli utenti italiani di Twitter sopra la soglia del mezzo milione, quintuplicati in appena un semestre. Difficile ipotizzare per la piattaforma di microblogging parabole di crescita italiana paragonabili a quelle di Facebook nel 2008, soprattutto in mancanza di offerte commerciali allettanti per sfruttare Twitter da cellulare. Ma è innegabile che Twitter sia qui per restare, non fosse altro per la sua efficacia nella Real Time Search, un potenziale cavallo di Troia nell’impenetrabile impero di Google sulla ricerca via web.

 

 

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NewTV. Non è più troppo presto, non è ancora troppo tardi.

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