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La comunità di Twitter insorge dopo la condanna impietosa del servizio di microblogging pronunciata da un ragazzino inglese di 15 anni, stagista della Morgan Stanley.
Nel Report, che la banca d’affari ha deciso di distribuire ai proprio clienti, Matthew Robson ha spiazzato la comunità finanziaria spiegando l’uso dei new media da parte degli adolescenti.
Un’analisi sulle future tendenze del settore che ha riscaldato gli animi della City, ma anche di Tokyo, e che Edward Hill-Wood, responsabile del team di ricerca sui media della Morgan Stanley, ha indicato come una delle “più chiare e stimolanti che c’è capitato di leggere”.
Robson spara a zero su Twitter, radio, quotidiani cartacei e anche televisione. Promossi invece Facebook e tutti i possibili servizi che permettono di attingere gratis sul web a musica e video senza interruzioni pubblicitarie.
Per il servizio di microblogging, in particolare, il ragazzo ha spiegato che è poco usato perché “dispendioso farlo dal proprio cellulare e inoltre i giovani capiscono che nessuno vede i loro profili, e perciò i loro tweets sono senza senso. Meglio, quindi, spendere soldi e tempo in cinema e concerti. Per non parlare delle console di videogame, che sono diventate un veicolo molto più attraente per chattare con gli amici rispetto al cellulare“.
Per gli editori della carta stampata le notizie non sono buone: infatti nessuno tra gli amici del giovane legge regolarmente un giornale e quando per caso gliene capita uno per le mani questi si limitano a guardare i titoli di testa.
“Se proprio ci interessa – scrive il ragazzo – la troviamo sui siti di informazione online o alla peggio in Tv”.
Pronta e infuocata la replica. “Sarà vero per i ragazzini che fanno gli stagisti da Morgan Stanley, ma non per tutti noi“, è stata una delle reazioni più pacate postate su Twitter. Molti sono stati assai più duri col giovane e in tanti hanno accusato Morgan Stanley e gli organi d’informazione di aver voluto creare un caso. Tra i coetanei di Matthew c’è chi, come Izzy Alderson Blench, 16 anni, ha cercato spazio sul quotidiano britannico Guardian per replicargli di aver generalizzato, negando che gli adolescenti rifiutino i giornali.
In realtà le considerazioni del giovane inglese sono sulla stessa linea di uno studio di Harvard che a giugno ha rilevato come il 90% del traffico su Twitter sia alimentato da meno del 10% dei suoi circa 10 milioni di utenti registrati. La Pace University , in un’altra ricerca, ha evidenziato che mentre il 99% degli internauti tra i 18 e i 24 anni hanno uno o più profili di social network, solo il 22% di loro usa Twitter. Dati di comScore a maggio parlavano di solo il 4,4% dei ‘tweets’ prodotti da utenti con meno di 18 anni.
Tra gli altri aspetti evidenziati dal giovane emerge la preferenza a scaricare musica gratuitamente da tutte le piattaforme, legali o meno, e la non volontà di pagare il biglietto per il cinema quando si può avere un film pirata.
Ma dove sta la novità? Mi pare che si tratti di pratiche ben note alle major cinematografiche e discografiche che da anni pagano lo scotto per il comportamento dei giovani smanettoni a cui piace ‘rubare’ in spregio al diritto d’autore.
Che i giovani facessero più riferimento a internet per l’informazione che alla Tv, anche questa era cosa nota.
Mi chiedo: ma la Morgan Stanley è completamente fuori dal mondo digitale, per esaltarsi tanto davanti alle banali considerazioni di un quindicenne, o c’è altro dietro?
Il colpo basso di Robson arriva in un momento molto delicato per il futuro di Twitter: la rivoluzione iraniana è stata la consacrazione di questo servizio come strumento serio e ricco di potenzialità, facendo crescere il valore del gruppo e del social network creato da Jack Dorsey.
Secondo indiscrezioni, ci sarebbe la possibilità di una vendita miliardaria di Twitter a qualche altro colosso del web o a Rupert Murdoch (che già controlla MySpace). Ben si comprende così quanto questa analisi, arrivata sulla scrivania degli investitori su carta intestata della Morgan Stanley, metta in subbuglio anche il mondo finanziario, oltre ai giovani appassionati dalla rete di microblogging.
Lo studio di Robson, che sostiene di aver interpellato – via social network – circa 300 coetanei, ha innescato anche un altro tipo di critica. Charlie Beckett, della London School of Economics, ha per esempio messo in discussione l’idea che le scelte sul futuro della Rete debbano venir fatte solo sulla base delle preferenze dei digital native: se Twitter piace a trentenni e quarantenni, è la tesi, perché dovrebbe arrendersi alle bocciature dei quindicenni?