Unione Europea
Il pluralismo dei media può essere misurato? Questa la principale domanda alla base di uno studio indipendente elaborato da un panel internazionale formato (prevalentemente) da accademici, su incarico della Direzione Generale Società dell’informazione e media della Commissione Europea. I risultati della ricerca sono stati presentati (nella loro versione preliminare) a Bruxelles lo scorso 8 giugno. Lo studio, risultato di diciotto mesi di lavoro coordinati dalla Prof.ssa Peggy Valcke dell’ICRI (Interdisciplinary Centre for Law & ICT) della Katholieke Universiteit di Leuven (Belgio), e condotto anche dalla Central European University – CMCS, dalla Jönköping International Business School – MMTC e da Ernst & Young Consultancy Belgium, è il secondo dei tre passaggi della strategia lanciata dallo stesso Ufficio della Commissione nel gennaio del 2007 attraverso la pubblicazione di uno staff working paper proprio sul pluralismo dei media: una strategia orientata a concludersi con una Comunicazione della stessa Commissione sul tema, auspicabilmente accompagnata da un’ampia consultazione pubblica al riguardo.
L’imponente studio presentato a Bruxelles nasce (così come la strategia in tre tempi nel quale è inserito) dall’esigenza, avvertita durante i lavori della conferenza di Liverpool nel 2005 sull’audiovisivo in Europa, di approntare un sistema per monitorare il pluralismo dei media negli Stati membri e dare impulso al ruolo dell’UE in tale ambito: anche in base a quanto da ultimo sancito dall’articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione. Come il documento di lavoro della Commissione del 2007, così anche lo studio presentato muove dall’assunto che garantire il pluralismo dei media è precondizione essenziale per assicurare il fondamentale diritto alla libertà d’informazione e a quella d’espressione. Come corollario di quest’assunto, lo studio richiama una nozione di pluralismo più ampia di quella di proprietà dei mezzi di comunicazione: in esso si legge, infatti, che l’ambito della nozione di pluralismo si estende alla possibilità che diverse opinioni, valori ed orientamenti sociali, politici e culturali trovino spazio nei media.
Sulla base di tale definizione, lo studio si propone l’obiettivo di approntare un meccanismo di monitoraggio per valutare il livello di pluralismo dei media nei vari Stati e, soprattutto, identificarne le minacce. Costruito, infatti, entro un modello di risk-based framework, lo studio elabora un sistema di 166 indicatori raggruppati in tre macro-aree in grado di coprire l’ampio ambito d’estensione della nozione: si tratta, in particolare, dell’area giuridica, di quella economica e di quella socio-demografica. Fanno parte dell’area giuridica quegli indicatori tesi a valutare la disponibilità e l’efficacia di politiche e strumenti giuridici in senso ampio (ossia, ad esempio, tanto norme di legge o regolamentari, quanto codici di autodisciplina) in grado di supportare il pluralismo dei mezzi di comunicazione in un dato Paese. Vengono raggruppati nell’area economica, invece, quegli indicatori ritenuti capaci di misurare l’ampiezza, la diversità e la performance economica dei media dal lato dell’offerta, in base, ad esempio, al numero di operatori attivi, al livello di concentrazione nel mercato e alle profitability ratios. Infine, sono considerati indicatori socio-demografici quelli in grado di misurare la gamma dei media accessibili ai cittadini dei diversi Stati membri sulla base di fattori quali la collocazione geografica, l’estrazione sociale, l’età, il sesso, e così via. Tutti gli indicatori, poi, vengono resi operativi mediante la creazione di un programma, il c.d. Media Pluralism Monitor (MPM) – disponibile, come prototipo, come foglio Excel – la ratio ed il funzionamento del quale sono discussi nel dettaglio in una User Guide (di 360 pagine) affiancata al Preliminary Draft Final Report (di 155 pagine) sugli obiettivi, il contesto tecnologico ed economico, il contenuto e la metodologia dello studio in oggetto. Il MPM è, dunque, modellato come uno strumento di cui ogni stakeholder può avvalersi per verificare lo stato di salute del pluralismo nel proprio sistema dei mezzi di comunicazione di massa. Per ottenere ciò occorre raccogliere gli opportuni dati e fornire le risposte ai vari quesiti formulati rispetto ai suddetti indicatori acquisendo, così, come risultante della combinazione delle stesse, una diagnosi finale sui rischi che corre il pluralismo mediatico nel sistema in cui il MPM viene applicato.
Come è emerso, infatti, chiaramente durante la presentazione del MPM – alla quale ha partecipato l’intero study team insieme a più di 150 addetti ai lavori, rappresentanti istituzionali e dell’industria mediatica provenienti dai vari Paesi dell’Unione -, tale strumento non si prefigge di misurare il pluralismo dei media: né, tanto meno, di prescrivere specifici rimedi o azioni da intraprendere nel segno di un’armonizzazione comunitaria delle politiche in quest’ambito. Esso aspira piuttosto, attraverso il ricorso ad un sistema di monitoraggio il più neutrale ed oggettivo possibile, a fornire ai suoi utilizzatori una mappa delle minacce (laddove riscontrate come presenti) che il pluralismo corre nelle sei relative aree di rischio individuate dallo studio: ossia, oltre ad un’area di base coincidente con la libertà d’espressione, l’area del pluralismo culturale, quella del pluralismo politico, quella del pluralismo geografico/locale, quella del pluralismo e della proprietà/controllo dei media, quella delle tipologie/generi dei mezzi di comunicazione. Il MPM sembra configurarsi, inoltre, come strumento innovativo. Da un lato, infatti, in esso si abbandona un approccio, per così dire, statico, fondato cioè sull’analisi del pluralismo informativo sulla base, eminentemente, della considerazione delle soglie di concentrazione e della disciplina della proprietà dei mezzi di diffusione del pensiero, a favore di un approccio più dinamico – più adatto al panorama caratterizzato da una corrente ed incisiva trasformazione tecnologica ed economica – capace di tenere in conto gli altri aspetti che sostanziano il pluralismo.
Dall’altro lato, con il MPM, più prospettive per guardare allo stato del pluralismo informativo in un dato contesto vengono portate insieme in un unico strumento che privilegia un approccio olistico: l’analisi degli aspetti giuridici si combina con quella degli elementi economici e delle variabili socio-demografiche per offrire una visione d’insieme quanto più accurata e completa. Tutto sotto l’auspicio del motto del MPM enfatizzato nel corso della presentazione: ossia quello di realizzare un meccanismo di monitoraggio “as simple as possible, but as sophisticated as necessary“. Ciò a dire che il MPM intende essere uno strumento pratico ed user friendly, facilmente utilizzabile da tutti gli interessati, siano essi anche accademici che intendano avvalersene per fini di ricerca: senza però nascondere che i destinatari privilegiati, a sentire il project leader, sono in realtà le Autorità di regolamentazione di settore.
Tra i partecipanti al workshop di presentazione si sono riscontrate posizioni critiche (o scettiche) sull’efficacia e anche la necessità di tale strumento. In particolare, i rappresentanti dei broadcasters privati hanno sollevato perplessità sull’esito dello studio presentato, argomentando sia per l’intrinseca arbitrarietà e parziarietà di un meccanismo di monitoraggio a livello europeo di un aspetto essenzialmente politico e nazionale, quale di fondo sarebbe il pluralismo dei media, sia per la difficoltà di riconciliare lo stesso MPM con le specificità delle realtà locali e dei nuovi mezzi di comunicazione, più in generale. Ancora più critiche le osservazioni dei rappresentanti della carta stampata che non hanno mancato di puntare l’indice sui pericoli di effrazione nel sacro recinto della libertà di stampa attraverso il monitoraggio dei contenuti per mezzo dell’applicazione del MPM: un nuovo “monster”, a detta loro. Ricorrente anche il timore da più parti manifestato circa il rischio che dall’applicazione del MPM, soprattutto se ad opera delle Autorità di regolamentazione, derivino, in caso di riscontro di pericoli per il pluralismo, risposte univocamente di segno regolatorio.
Non sono mancati, tuttavia, interventi d’apprezzamento per la bontà del lavoro svolto e di riconoscimento dell’utilità pratica del MPM. Alcuni dei rappresentanti istituzionali, in particolar modo, hanno evidenziato come punto di forza del MPM la sua capacità di rappresentare un sistema di monitoraggio flessibile tanto perché aggiornabile nel tempo mediante la sostituzione/rimozione di alcuni indicatori, quanto perché adattabile ai diversi contesti nazionali; e, contemporaneamente, l’attitudine dello stesso ad essere strumento tendente ad una misurazione oggettiva ed universale (ossia suscettibile di applicazione allo stesso modo in tutti gli Stati membri), con la conseguente facile comparazione dei dati ottenuti. E – perché no? – di conseguenza, quello di apparire come uno strumento in grado di generare un circolo virtuoso, capace di spingere i Paesi che segnano risultati negativi, a dotarsi di idonei accorgimenti per rafforzare la garanzia del pluralismo informativo nei loro ordinamenti.
Al workshop di presentazione dello studio, la Commissione, seppur sollecitata a più riprese, è cautamente intervenuta a conclusione dei lavori salutando con favore l’esito dello studio commissionato e limitandosi a rimandare, pare, almeno al 2010, una volta insediatosi il nuovo esecutivo europeo, un’eventuale propria formale iniziativa al riguardo. Secondo il progetto originario questa potrebbe consistere in una Comunicazione che incorpori gli indicatori elaborati nello studio.
È, invece, prevista per la fine di luglio la pubblicazione definitiva dello studio e del MPM – così come dei 27 country reports, fonti dei dati per l’elaborazione del progetto, e non, quindi, già l’applicazione operativa dello stesso – aggiornati alla luce dei commenti sollevati durante (e dopo) il workshop.
Ma quale sarà il destino del MPM in quanto tale?
A chi verrà affidata e da chi verrà concretamente intrapresa la sua applicazione?
Potrebbe la Commissione incoraggiare, per così dire, perlomeno le Autorità nazionali di regolamentazione dei media ad utilizzare lo strumento di monitoraggio una volta definitivamente licenziato?
E con quali effetti?
L’importante è che il grande tema del pluralismo rimanga, nonostante perplessità e dubbi, all’ordine del giorno dell’agenda europea.
Consulta il profilo Who is Who di Fabrizio Barzanti