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Dopo aver impedito ai media stranieri di documentare le manifestazioni di piazza seguite alla riconferma di Mahmoud Ahmadinejad alla guida dell’Iran e aver bloccato l’accesso ai social network e ai siti vicini all’opposizione, ora nel mirino delle autorità iraniane sono finiti i blog, accusati di essere “tecnicamente e finanziariamente sostenuti da Usa e dal Canada”.
I Guardiani della rivoluzione (pasdaran) – il corpo militare che risponde direttamente all’ayatollah Khamenei – nella prima dichiarazione pubblica seguita alle proteste, ha infatti intimato ai blogger di rimuovere da internet “qualsiasi materiale che possa creare tensione” se vogliono evitare ripercussioni legali.
“Coloro che fanno propaganda per provocare disordini, diffondere maldicenze e intimorire la gente – si legge in un comunicato citato dall’agenzia Fars – devono sapere che verranno prese misure legali molto pesanti nei loro confronti”.
Internet e i social network si sono rivelati nei giorni scorsi uno strumento prezioso per far sapere al mondo quanto stava avvenendo nelle strade del Paese.
Siti come Facebook e Twitter hanno infatti consentito di aggirare le strettissime maglie della censura messa in atto da Teheran e di diffondere video e testimonianze della violenta repressione messa in atto dai pasdaran, tanto che il governo degli Stati Uniti avrebbe chiesto ai gestori di Twitter di posticipare i lavori di manutenzione del sito per evitare di spegnere l’unica voce dell’opposizione iraniana.
Lo ha reso noto il Washington Post, secondo cui un funzionario del Dipartimento di Stato avrebbe scritto direttamente a uno dei fondatori di Twitter, Jack Dorsey, di rinviare la prevista manutenzione per consentire agli utenti dell’Iran di continuare a informare i loro amici nel mondo di quanto stava avvenendo nel Paese.
I manifestanti contestano il risultato delle elezioni e hanno fatto ricorso a Twitter per mobilitare la resistenza e diffondere video e aggiornamenti sui violenti scontri con i pasdaran.
Il ministero americano degli affari esteri – che fa capo a Hillary Clinton – è stato molto attento nelle ore immediatamente successive al voto del 12 giugno, a non interferire con le vicende di politica interna del Paese, ma a tre giorni dall’inizio dei disordini e delle proteste ha ritenuto indispensabile intervenire, essendo Twitter uno dei pochi siti ancora funzionanti, dopo che le autorità hanno chiuso diversi siti di informazione e giornali vicini all’opposizione e impedito alla stampa estera di documentare gli scontri di piazza, che hanno fin qui provocato 7 morti.
I responsabili di Twitter hanno accettato la richiesta del Dipartimento di Stato, e rinviato le attività di manutenzione, a conferma di come molti equilibri internazionali si giochino anche sul fronte di internet, strumento che fornisce un forte potere a chi si oppone ai regimi totalitari, che manipolano i media a loro piacimento e si sentono perciò minacciati dal libero flusso delle informazioni garantito dalla rete.