Italia
Facebook è rientrato in possesso del dominio facebook.it, registrato abusivamente dal cybersquatter John Michael Preston il 6 marzo 2006.
Lo ha deciso il Centro risoluzione dispute domìni (Crdd) – l’ente accreditato dal Registro dei domini italiani per la gestione delle procedure di riassegnazione dei nomi a dominio – ritenendo fondate le motivazioni che hanno spinto la società titolare del popolare social network a fare ricorso.
Entro un mese, dunque, gli utenti italiani potranno accedere al sito digitando l’indirizzo http://www.facebook.it, dal quale finora si giungeva ad un sito web, contenente link che reindirizzavano ad altri siti che svolgono attività in diretta concorrenza con Facebook.
Il Crrd ha accolto il ricorso dal momento che non vi sono dubbi sul fatto che il nome a dominio contestato (facebook.it) sia identico al marchio originariamente registrato a nome della società Sephora e successivamente ceduto alla Facebook, Inc., che lo ha poi concesso in licenza alla Facebook UK Ltd.
E’ evidente – spiega quindi il Crrd – sia “la confondibilità del nome a dominio contestato con l’omonimo marchio” che l’illegittimo uso commerciale di un marchio registrato, in quanto il dominio acquisito in malafede (appare inverosimile che Preston non fosse a conoscenza dell’esistenza di Facebook al momento della registrazione) veniva utilizzato per promuove siti su cui è svolta attività simile a quella di Facebook.
La registrazione e il mantenimento del dominio facebook.it, rientra dunque, secondo il Crrd “in un più ampio disegno accaparratorio, volto a catturare utenti di Internet che digitino nomi di siti corrispondenti a marchi famosi nella convinzione di trovarsi nel sito ufficiale dei legittimi titolari del marchio, inducendoli dunque ad errore”.
“In particolare, considerando che Facebook è tradotto in moltissime lingue, tra le quali anche l’italiano, il rischio di confusione è assai elevato soprattutto per l’utente italiano, in quanto sarà più facilmente indotto a digitare l’indirizzo www.facebook.it, piuttosto che www.facebook.com“, conclude il Crrd.
Preston, tra l’altro, non è nuovo a simili ‘accaparramenti’: in Italia il cyber squatter avrebbe registrato abusivamente anche altri domini identici a marchi famosi, come l’americana Graco Baby, (arredamento per l’infanzia), o Leapfrog (giocattoli elettronici).
Facebook è stato fondato nel 2004 dal 19enne studente di Harvard Mark Zuckerberg.
In pochi anni, il sito – attraverso cui gli utenti hanno la possibilità di creare profili, contenenti foto e liste di interessi personali, di scambiare messaggi privati o pubblici e di far parte di gruppi di amici – ha conosciuto un successo straordinario e fornisce ora i propri servizi a più di 200 milioni di utenti attivi in tutto il mondo in 35 lingue.
Il fenomeno del cybersquatting – che consiste nel registrare nomi a dominio corrispondenti a nomi o marchi famosi non ancora registrati dai rispettivi aventi diritto, ai quali poi vengono venduti per somme altissime – è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni.
La corte di arbitraggio e mediazione dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (OMPI), ha ricevuto lo scorso anno un numero record di 2.329 segnalazioni relative a pratiche di cybersquatting, pari a un incremento dell’8% rispetto all’anno precedente.
A cadere nelle maglie dei cyberpredoni di marchi, società come l’Arsenal football club e la Nestle, VIP come Scarlett Johansson, ma anche la BBC, l’Università di Yale e le maggiori web company, da eBay a Google.
Dal 1999 – anno in cui è stata lanciata la Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy (UDRP) – i reclami sono stati oltre 14 mila, a copertura di 22 mila nomi di dominio e hanno interessato 100 Paesi – Francia Stati Uniti e Gran Bretagna in particolare.
Le categorie più bersagliate dai cybersquatters sono – non a sorpresa – le case farmaceutiche, le banche, l’intrattenimento e l’IT, le aziende alimentari e i ristoranti.
Il pool di consulenti del Crrd, costituito da avvocati, professori universitari ed esperti del settore ha risolto in sei anni il 56% delle procedure di rassegnazione. Tra i contenziosi che verranno discussi a breve, quelli relativi a marchi quali missitalia.it e igoogle.it.