Quale futuro per le reti Tlc? Un patto per l’innovazione del Paese. La proposta di SLC-CGIL

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di Alessandro Genovesi

Italia


Alessandro Genovesi

Premessa

 

Le reti di telecomunicazione rappresentano una parte importante del sistema Paese, il loro destino influenzerà in maniera determinante lo sviluppo dei settori più innovativi e in generale le capacità  produttive di tutte le imprese e lo sviluppo delle nuove reti sociali.

Superare lo stesso digital divide nazionale e internazionale e al contempo affermare una nuova dimensione delle relazioni sociali sarà possibile solo garantendo connessioni  bidirezionali a velocità sempre crescente, garantendo cioè la qualità dell’attuale rete e soprattutto la trasmigrazione in pochi anni delle capacità trasmissive sulle reti di nuova generazione, tanto mobili quanto fissa.

Il dibattito in Europa del resto oggi verte proprio sulle capacità dei sistemi-paese (e in primo luogo delle grandi aziende di tlc) di dotarsi di una nuova rete ad alta velocità nel minor tempo possibile, garantendo da un lato una concorrenza sui nuovi mercati legati alla NGN, dall’altro investimenti ed interventi atti ad accelerare tanto la costituzione dell’offerta (la NGN appunto) quanto di una domanda diffusa, facilitando cosi lo sviluppo di un terziario avanzato fatto di contenuti, servizi amministrativi, sociali e per la produzione che integrerà sempre di più funzioni private e pubbliche (PA, telesanità, telemobilità, interventi ambientali, formazione a distanza, e-commerce, ecc.).

Purtroppo in Italia il confronto politico e sindacale sull’aumento o meno delle capacità produttive delle imprese non si sviluppa su questo terreno. Il confronto è incentrato (solo) sul contributo che può dare il fattore lavoro, quando invece tutti i principali studi dell’OCSE, della Banca Centrale Europea e del FMI ricordano che “le potenzialità dell’innovazione tecnologica, l’aumento di conoscenza diffusa, la stessa velocità e potenza trasmissiva delle nuove reti siano di gran lunga fattori più incidenti” (Rapporto Ocse 2008).

Discutere e decidere sul futuro delle reti di TLC è quindi un tutt’uno con la necessità che avvenga “un’esplosione di innovazione”. E’ una delle principali sfide, anche culturali e politiche, che abbiamo di fronte. E occorre prima di tutto che il tema acquisti nel nostro paese la centralità che merita.

 

 

Guardare in faccia i problemi

 

In Italia oggi i problemi sono fondamentalmente tre, tra loro legati (come costruire la NGN italiana in termini remunerativi per chi vi investe, come alimentare una domanda di nuovi servizi che ci “educhi” all’innovazione, come far uscire Telecom Italia dallo stallo in cui è). Senza dare una soluzione contestuale a queste questioni, il rischio è che continui l’attuale fase di paralisi del settore delle TLC e dell’ICT. Paralisi che non possiamo permetterci.

 

Occorre decidere non se, ma come, rispondiamo a queste 3 questioni:

 

1)     Quali risorse e quale remunerazione degli investimenti per creare la rete di nuova generazione, evoluzione naturale dell’attuale rete in rame e da integrare fortemente con le reti mobili di ultima generazione, in un momento di scarsità delle risorse pubbliche (quelle poche stanziate sono state già riassorbite in altri capitoli di spesa), di difficoltà della più grande azienda privata (Telecom Italia) e dei suoi principali concorrenti? All’interno di quale quadro regolatorio tenere insieme remunerazione degli investimenti, trasparenza e concorrenza, valorizzando le risorse di tutti?

2)     Quale percorso possibile per generare una iniziale domanda diffusa per la NGN, che ci educhi anche all’innovazione, a nuovi paradigmi e modi di fare e di essere cittadini, produttori e consumatori?

3)     Come superare l’empasse debitorio e proprietario in Telecom Italia, che da tempo condanna la principale azienda di TLC a non proporre un piano industriale in grado di rilanciare il mercato?

 

Partiamo da quello che – piaccia o no – non si può fare (per motivi industriali, tecnologici, economici, politici e sociali).

Non si può espropriare Telecom della sua rete (non avrebbe senso da un punto di vista industriale e metterebbe a rischio decine di migliaia di posti di lavoro; non garantirebbe economie integrate per sviluppare nuovi servizi; non vi sono oggi i 25-35 miliardi di risorse pubbliche necessarie tra rilevazione dell’asset e suo potenziamento).

Non si può concepire la rete di nuova generazione come esclusivamente subordinata all’evolversi del mercato televisivo, in quanto la rete è volano di più settori, più integrazioni, più convergenze. Non si può pensare al futuro della rete Telecom come risposta “truccata” alla sfida Mediaset-Rai-SKY o come mero strumento subordinato alle dinamiche del mercato pubblicitario.

Non si può pensare alla NGN come esclusivamente una rete tutta in fibra. Non si possono “dimenticare” gli investimenti fatti e le potenzialità ancora non esplorate legate alla telefonia mobile e (anche a seguito – se ci sarà – di una buona operazione sul dividendo digitale) agli spettri di frequenze che sono già (wimax) o saranno liberati.

Quindi passiamo a quello che non possiamo permetterci che accada. Non si può accettare il calo degli investimenti e dei ricavi in un settore strategico, motore principale dell’economia della conoscenza. Non si può accettare la paralisi del settore che sta trascinando in un baratro la già non eccelsa realtà dell’informatica italiana (o meglio di quello che vi rimane). Non possiamo perdere tempo prezioso rispetto ai paesi concorrenti dell’Italia che già sono avanti nella costruzione della NGN e che divengono sempre più competitivi e attrattivi di investimenti (soprattutto quando la crisi internazionale sarà finita).

E’ il momento del coraggio e delle soluzioni, per tutti i soggetti privati e pubblici interessati, per la politica e le istituzioni. Il fatto che il paese conosca una situazione di crisi deve essere un ulteriore incentivo per compiere scelte forti, in funzione anticiclica oggi, in funzione di essere più forti quando vi sarà la ripresa, domani.

Come SLC-CGIL riteniamo che il tempo degli studi e degli approfondimento sia infatti finito. Occorre un vero e proprio “Patto per il futuro del Paese”, un “Patto per le nuove TLC” che coinvolga tutti, ognuno per le proprie responsabilità e poteri.

Il Paese deve darsi una scadenza (un vero e proprio “switch off” per la banda ultra larga): entro il 2015  l’ 80% della popolazione italiana e delle imprese deve essere dotato di banda ultra larga e il restante 20% di banda larga, mandando in soffitta di fatto la tecnologia Xdsl.

Per fare questo Telecom Italia deve poter essere “messa in sicurezza” entro e non oltre il 2010/2011. Occorre cioè l’ambizione di intervenire in contemporanea su più tavoli, seguendo la filosofia che ha guidato il progetto “Industria 2015″ . Un grande sistema di azioni concertate e coordinate tra più soggetti con un obiettivo chiaro: lo sviluppo nel paese di una nuova grande infrastruttura pervasiva, che sia volano per la diffusione generalizzata di conoscenza e innovazione.

 

 

Meglio un’infrastruttura con tariffe all’inizio alte che continuare a discutere sull’aria fritta (costruiamo l’offerta).

 

Proponiamo al Governo e ad Agcom di rendere remunerativi gli investimenti sulle reti di nuova generazione, stabilendo già adesso un percorso di liberalizzazione graduale  delle tariffe all’ingrosso per la connessione alla NGN.

Una NGN da costruire possibilmente attraverso un investimento in consorzio da parte di più soggetti (pubblici – pensiamo agli enti locali – o privati) e al cui titolare (titolari) sia riconosciuta la possibilità di determinare i prezzi di accesso all’ingrosso, in proporzione alla quantità di servizi offerti dal mercato, nel tempo (maggiori servizi vengono offerti da tutte le diverse aziende o PA, minori saranno i costi di affitto), secondo specifiche “tabelle di remunerazione” che rendano noti i rapporti tra tariffe all’ingrosso e volumi di servizi “che passano” sulle nuove reti.

Un vincolo pubblico dovrebbe inoltre garantire da subito una “tariffa a prezzo simbolico/franchigia” a tutti i servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni, per le reti civiche, per i soggetti del privato sociale.

Tale principio di liberalizzazione dovrebbe essere riconosciuto a tutti i soggetti pubblici o privati che siano titolari della nuova rete, a condizione, infine, che si facciano garanti anche proquota di estendere la rete alle aree identificate da AGCOM come aree non di interesse di mercato.

In questo scenario, il ruolo di una Infratel dedicata specificatamente alle opere di scavo e posa dei cavi in fibra potrebbe contribuire per le aree all’inizio meno remunerative (come indicato tra le opzioni dallo stesso “rapporto Caio”).

Insomma liberalizzazione graduale in cambio della riduzione del digital divide, remunerazione degli investimenti con prezzi a liberalizzazione graduale (all’inizio più alti) a fronte di uno stimolo generalizzato all’aumento della domanda che faccia diminuire nel tempo le tariffe all’ingrosso.

Il tutto integrato da un potenziamento delle capacità trasmissive degli operatori mobili grazie all’utilizzo di maggiore ampiezza di banda (lo scambio potrebbe avvenire proprio in funzione di un impegno alla maggiore copertura per il trasferimento dati in mobilità nelle aree a minor impatto di mercato). Reti mobili quindi da integrare necessariamente con quella fissa sia in caso di utilizzo della fibra fino al palazzo (to Bulding; pensiamo all’uso in aree residenziali a media concentrazione) che in aree a scarsa densità di popolazione (fibra fino al ripetitore).

La NGN sarà nei fatti una rete basata sulla convergenza (del resto l’omogeneizzazione del protocollo IP segna già questa incontrovertibile direzione di marcia) anche perché sempre più l’utilizzo della banda ad alta velocità – a detta dei principali esperti – sarà everywhere e con utenti nomadi.

 

Come sede istituzionale dove poter concordare tali principi e declinazioni, indicare tempi e modalità, verificando in corso d’opera il loro realizzarsi, proponiamo il Comitato italiano per la NGN come istituito dalla delibera n. 718/08 dell’Agcom, in coerenza con gli stessi impegni di Telecom e accettati dall’AGCOM per la definizione di Linee guida per la migrazione verso le reti di nuova generazione.

In questo scenario, per la parte relativa a Telecom della NGN (l’ultimo miglio), questa andrebbe ricompresa comunque come area funzionale all’interno di Open Access, al fine di garantire comunque per gli eventuali nuovi operatori entranti trasparenza ed efficace rispetto delle limitazioni graduali decise da AGCOM.

Del resto solo mettendo in comune i diversi piani delle imprese (e relative risorse, a partire dai 3,5 miliardi previsti nei piani industriali di Wind, Vodafone, Fastweb, ecc, dai 5 miliardi di Telecom Italia e dai  3 miliardi di euro di nuovi investimenti annunciati recentemente da Siemens, Ericsson e ZTE il 12 febbraio scorso) per la costruzione della NGN (secondo lo spirito di cooperazione che vede già condividere la rete milanese a Telecom e Fastweb), e solo incentivando le diverse forme consortili tra aziende, realtà private e pubbliche amministrazioni locali (titolari già di più di 3000 km di fibra) si possono evitare sprechi e dispersione di energie. Sprechi che non possiamo permetterci.

Il Comitato italiano per la NGN deve quindi riunirsi presto, aprendosi alle rappresentanze degli Enti locali e di tutti i titolari di reti fisse e mobili, con tempi e scadenze certe entro cui operare le proprie scelte, svolgendo così la funzione di cabina di regia sul lato della costruzione della NGN (e quindi dell’offerta).

Nel nostro paese, del resto, la competizione è sempre stata e sempre di più sarà sulla quantità e qualità dei servizi, non sulle infrastrutture (essendo la rete difficilmente replicabile, non essendoci in Italia una rete diffusa di tv via cavo, essendo già stati fatti i principali investimenti sulle reti mobili).

Ma l’eventuale offerta di per sé non basta.

 

 

Coordiniamoci tutti per creare una buona domanda iniziale

(e per educarci all’innovazione)

 

Il “Patto per l’innovazione del Paese“, va declinato anche dal lato della domanda. Oggi essa è insufficiente per le capacità della NGN e la costante, ma lenta, diffusione della tv on demand non basta.

Serve anche qui una vera e propria “cabina di regia“, un “Comitato nazionale per lo sviluppo della domanda di nuovi servizi” che coordini in maniera efficiente quanto già esiste (o è in programma, a partire da quanto annunciato dal Ministero per la Funzione Pubblica e l’Innovazione e dal Ministero per le Attività produttive) e dia un impulso deciso a chi “è in ritardo”.

Pubbliche Amministrazioni, Enti locali, Sistema Sanitario, grandi imprese, consorzi di PMI e distretti, Banche, Università e centri di ricerca, privato sociale, enti e produttori culturali, grandi multyutilities, aree metropolitane (le famose città digitali), parti sociali, ecc..

Tutti devono darsi un piano per “digitalizzare” al massimo i propri servizi e le proprie funzioni, trasferendo sempre più le proprie attività sulla rete ad alta velocità. Noi lo proponiamo, per intentato, già alla nostra confederazione, alla CGIL, al suo sistema dei servizi. Per dare il buon esempio.

Uno switch off parallelo, se vogliamo semplificare, che già di per sé rappresenterebbe una rivoluzione culturale per il paese.

 

Tale “Comitato” dovrebbe assorbire e sfoltire la miriade di gruppi di lavoro, comitatini, tavoli ministeriali facendosi carico anche di coordinare tutte le azioni oggi disperse (pubbliche e private) a sostegno di:

*      maggior penetrazione dei PC nelle famiglie italiane;

*      alfabetizzazione informatica;

*      diffusione della moneta elettronica come ordinaria modalità di pagamento di beni e servizi.

 

La stessa Task-force nominata dal Viceministro Paolo Romani (a cui per l’ennesima volta chiediamo che partecipino anche le Organizzazioni Sindacali e le Associazioni datoriali) potrebbe essere parte di questo Comitato.

Infine, se per fare ciò occorre riappropriarsi per qualche anno – con limitazioni certe e ambiti ben definiti – di poteri oggi decentrati, riteniamo non si debba aver paura di avviare un confronto con la Conferenza Stato-Regioni sul punto. 

 

 

Affrontiamo il nodo-Telecom senza pregiudiziali

(e senza interessi non dichiarati)

 

Tutto quanto proposto può funzionare se si scioglie in contemporanea il nodo Telecom e se l’azienda verrà “messa in sicurezza” nei prossimi mesi così da dare il suo fondamentale e necessario contributo al “Patto per il futuro delle TLC”.

Se cioè la principale azienda del Paese (per numero di lavoratori, per professionalità possedute, per investimenti fatti e programmati) esce dallo stallo in cui è e torna ad essere “la lepre da inseguire”.

La situazione attuale non è più sostenibile. Occorre affrontare il tema del debito e di una ricapitalizzazione dell’azienda. Occorre sciogliere il nodo di Telefonica.

In relazione alla situazione debitoria di Telecom, riteniamo che l’unica strada, facilitata anche dalla proposta di remunerazione delle nuove reti, non possa che essere o una ricapitalizzazione da parte degli attuali soci o  l’emissione di uno specifico bond a garanzia pluriennale (10-15 miliardi) tale da mettere l’azienda nelle condizioni, per i prossimi anni, di raddoppiare gli investimenti sul mercato domestico ed internazionale.

Bond aperto a tutti i soggetti pubblici e privati che sarebbero garantiti oltre che dai notevoli flussi di cassa e dai beni patrimoniali anche dai ritorni dei nuovi investimenti sulla NGN.

Lo stesso Bond potrebbe essere coperto pro-quota per quella parte destinata specificatamente alla costruzione della rete di nuova generazione.

In questo scenario ed eventualmente forti dei punti sovra descritti, occorre quindi risolvere la questione degli assetti proprietari, attraverso la definizione di una proprietà forte, dalla chiara vocazione industriale che, in maniera univoca, decida di rilanciare Telecom con una presenza di governo dell’azienda a medio e lungo termine, scommettendo sullo sviluppo della NGN come principale volano di ricavi per gli anni futuri e come motore per una nuova integrazione con i servizi informatici e di cura del cliente “consumatore/produttore” di informazioni.

Occorre infatti che Telecom Italia abbia “maggiore libertà di iniziativa” per i prossimi anni, tanto sul mercato domestico quanto e soprattutto (in funzione di ricavi da reinvestire in Italia) nelle aree a forte vocazione di crescita. In Europa e nel mondo.

Se lasciata libera di operare nel medio termine su aree a forte remunerazione, con patti chiari di medio periodo, diviene infatti meno importante e delicata la discussione sul ruolo di Telefonica o di un altro grande operatore straniero dalla forte vocazione industriale: quello che infatti dovrebbe contare per il sistema Paese (e per i lavoratori di Telecom) è evitare che una paralisi permanente dell’azienda la porti ad essere – prima che poi – una facile preda per chi non ha interesse ad investire in Italia.

O peggio che Telecom venga spezzettata, magari secondo un modello già noto, in una “good company” (la rete) e una “bad company” (o una serie di bad company; customer, assistenza, commerciale, informatica, amministrazione e staff, ecc.).

 

Ovviamente tali processi dovrebbero essere accompagnati in Telecom Italia da una forte valorizzazione delle professionalità e dell’occupazione, spostando quote occupazionali verso la gestione, l’implementazione e l’accesso alle nuovi reti (oltre che per garantire il rispetto di SLA, funzioni pro concorrenziali, ecc.) e soprattutto verso i nuovi servizi, con nuove assunzioni in tutte le aree del paese per accompagnare la nuova domanda.

 

 

Una proposta aperta su cui SLC-CGIL e CGIL

avvieranno una consultazione pubblica

 

Su questa proposta già nelle prossime settimane SLC-CGIL e la CGIL avvieranno un confronto pubblico, una vera e propria consultazione anche on line aperta a tutti.

Vorremmo infatti coinvolgere su questi temi i nostri diversi interlocutori: le aziende di TLC e informatiche, le associazioni di categoria (a partire da Confindustria), le grandi Camere del Lavoro, Cisl, Uil, le istituzioni locali e nazionali, il Ministero per la P.A. e l’Innovazione, il Ministero delle Attività produttive, i principali partiti ed esperti del settore.

A partire da un primo appuntamento pubblico, nazionale, da tenersi già prima dell’estate, a cui parteciperà il segretario generale della CGIL Guglielmo Epifani

 

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