NewTv: da leggere dopo le 23… XXX, vietato ai minori-tube

di di Andrea Materia |

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RedTube

Secondo gli Avenue Q The Internet Is For Porn. Forse un tempo. Oggi è più il regno di Twitter e dei gatti acrobati. Nondimeno, c’è un business nel sex video, ed è un business considerato “a prova di recessione”. Non, però, a prova di YouTube…

 

Gli YouTube del porno si chiamano YouPorn, RedTube e Pornhub. Un anno fa, Aprile 2008, YouPorn ha conquistato la vetta con 3 milioni di visitatori unici americani al mese (una miseria se paragonati ai 100 del “vero” YouTube, ma +1300% sul 2007). Ad Aprile 2009, secondo l’istituto di ricerca Compete, YouPorn è ulteriormente cresciuto dell’86%, balzando a 5.7 milioni di unici al mese. Non siamo molto distanti dai numeri di Hulu nella contestata stima di Nielsen.

 

Pornhub incalza da vicinissimo, con 5.6 milioni di spettatori mensili, seguito da RedTube con 4.6 milioni (nel 2008 RedTube era a 2.6 milioni, anche qui un altro semiraddoppio, dopo l’esplosivo +7600% nel 2007). Un terzetto al comando dunque, mentre effimere glorie come Megarotic e l’ex-leader PornoTube attraggono poche centinaia di migliaia di guardoni, con trend in drastica discesa, e Xtube, tematizzato sull’eros casalingo, si mantiene stabile sugli 1.5 milioni di voyeur.

 

Alexa di Amazon, discusso quanto abusato sito di misurazione del traffico web, nelle scorse settimane ha classificato YouPorn al 35° posto nella sua classifica generale globale, e RedTube al 49°. Pensate che CNN.com è solo cinquantesimo e Apple.com settantaduesimo.

 

L’offerta di queste piattaforme è un mix di upload assolutamente illegali (spezzoni da pellicole VM18 delle “major” di settore, di solito intorno ai 3 minuti), di trailer delle prossime uscite in dvd postate dagli stessi distributori che lamentano infrazioni dei diritti d’autore, e clip user-generate amatoriali, a volte superiori alla mezz’ora di durata. La massa degli user-generati è definito “gonzo clip”, filmati privi di qualsivoglia sceneggiatura o montaggio, con l’operatore di camera che spesso e volentieri si unisce al divertimento a metà riprese.

 

Tutto alla luce del sole, nessun obbligo di login, niente carta di credito, rigorosamente free di base; ti regalano anche qualcosa… diverse tonnellate di cookies!

 

Il modello di business non differisce, mutatis mutandis, da quello del capostipite youtubico: contenuti gratis in cambio di pubblicità (in gran parte siti di dating spinto e live webcam). Non basta per coprire il mastodontico spreco di banda: solo YouPorn ne succhia 3 terabyte. Per questo si inizia a spostarsi verso tattiche di monetizzazione dell’utenza tramite servizi da social network – a proposito, a quando Pornobook? – con lo sviluppo di community di nicchia interessate al valore aggiunto di un network di anime affini nell’era del Porn 2.0 (non serve un genio per immaginarsi dove e quale sia questo valore aggiunto). Ci vorrà tempo per capire se gli ibridi mezzo video sharing, mezzo social media, tutto vietato ai minori restituiranno un ritorno dell’investimento.

 

Per il momento l’unica certezza è l’assalto alla diligenza delle etichette tradizionali. Produttori e distributori hollywoodiani di porno, già in sofferenza per il crollo delle vendite di dvd (-22% nel 2008 in base ai calcoli di Hustler, un drop assai più marcato di quello dei film “normali”) temono di perdere pubblico per i loro siti a pagamento. E senza peli sulla lingua, perdonate i doppi sensi, attribuiscono ogni colpa del ridimensionamento alle violazioni di copyright. Come alibi è noto, antico e semplicistico, anche se, va riconosciuto, poggia nello specifico su basi logiche. Si fa fatica a credere che una clip di 3 minuti abusiva su GoogleTube tratta da Angeli e Demoni soddisfi la curiosità del cinefilo, mentre una clip di 3 minuti abusiva su RedTube tratta da Angiolette e Demionette, se estratta da una scena clou, basta e avanza per le esigenze del pischello masturbatore compulsivo.

 

Il nodo da sciogliere è se il consumatore di sesso a sbafo da YouPorn sia effettivamente un cliente perso per i content provider ufficiali. Stephen Yagielowicz, caporedattore di Xbiz, ha scritto “è tutta gente che non avrebbe pagato a prescindere, Internet o meno, fatevene una ragione e cercate altrove le cause della debacle attuale”. I magnati del porn biz, persone concrete abituate a masticare denaro e immuni al fascino della propaganda – del resto nessuno al governo si impietosirebbe a sentirla dalle loro innocenti labbra – hanno fatto di calcolo e dopo un’iniziale esplosione di cause e spese legali si stanno orientando su una politica di diversificazione dell’offerta rispetto al nuovo concorrente free-driven. L’inversione di tendenza si è palesata a Ottobre 2008, quando Vivid ha rinunciato all’assai strombazzata causa intentata a fine 2007 contro PornoTube; si mormora in cambio dell’implementazione di software di rimozione automatica di clip di titolarità della Vivid e un pacchetto di scambi commerciali nel pay-per-view, area in cui gli azionisti di PornoTube sono una potenza.

 

Vivid Entertainment è l’equivalente di Paramount e Warner Bros. insieme per gli XXX-rated. Steve Hirsch, che fondò il gruppo nel 1984, ha basato la sua fortuna sulla clonazione dei contratti di esclusiva della Hollywood anteguerra. Mettendo sotto contratto a lungo termine le migliori attrici (Jenna Jameson in primis) e puntando sulla creazione di uno star system del porno, trasformò in breve la Vivid nel maggior produttore mondiale di video per adulti. Negli anni ’80 la tecnologia, o meglio la nascita del mercato VHS, fu suo stretto alleato. Più tardi, nella seconda metà degli anni ’90, il Web 1.0 continuò a supportare la sua rincorsa. Anonimato negli acquisti via e-commerce e videoportali solo per abbonati = dollari. Tanti.

 

Oggi, per la prima volta, la tecnologia si rivolta contro Hirsch. Il Web 2.0 con il modello freemium di PornoTube e Megarotic (freemium da “free”, qui migliaia di video accessibili a chiunque + “premium”, ovvero opzione di abbonamento a immensi archivi pregiati) è di sicuro antagonista pesante di Vivid.com e del suo salato costo di iscrizione. Il Web 2.0 con il modello tuttogratis di YouPorn è più che antagonista. È un potenziale assassino kamikaze, pronto a uccidere lo status quo senza preoccuparsi di sopravvivergli.

 

Vivid è l’opposto di YouPorn. Lo era agli esordi, imitando gli studios, lo è oggi con i suoi set elaborati, i divi, il packaging lussuoso di ogni produzione. In media un loro film (ne realizzano 60 l’anno) costa dai 50.000 ai 300.000 dollari, a cui vanno aggiunte spese promozionali sui 20.000 dollari. Budget da sceicchi per gli standard dell’industria pornografica, dove 10.000 dollari a lungometraggio bastano e avanzano in media (stime di Adult Video News). Fino al 2004 Vivid si autofinanziava per i quattro quinti con le vendite home video. Ora i dvd rappresentano meno di un terzo degli introiti annuali, e i conti si quadrano con Vivid.com, le royalties di canali pay-per-view TV e i loro gemelli on-demand in streaming (siti come Adult Entertainment Broadcast Network e Hotmovies.com), merchandising e qualche sperimentazione nel mobile video con rimontaggi di clip da 4/6 minuti.

 

La variabile YouPorn , andando a minare l’equilibrio fragile raggiunto per frenare l’emorragia da crisi dei dvd, può risultare mortale. Non a caso, una delle trattative più famose nell’ambiente è stata proprio quella tra Hirsch di Vivid e i proprietari di YouPorn, in cerca di soci finanziatori. L’accordo è sfumato perché, a dispetto della sua forza su scala planetaria (solo il 12% dei navigatori youporcelli proviene dagli States) e delle opportunità in prospettiva (espansione nel campo del dating, gaming, contenuti per telefonia mobile, le webcam, eventualmente anche tentativi sul pay-per-view), YouPorn è stato ritenuto troppo rischio di sequestri giudiziari. E questo indipendentemente dagli esborsi in server e connettività, tuttora non compensati dal modesto afflusso di inserzionisti con ampia liquidità. Il problema è: come proteggersi da errori, nel caso vengano caricati su YouPorn video con protagonisti minorenni? A monte, come verificare l’età degli spettatori? La risposta: di fatto è impossibile.

 

Per fare un esempio, significa camminare perennemente su un campo minato entro i confini tedeschi. In Germania infatti la normativa sull’hardcore online impone il blocco immediato dei siti privi di un meccanismo efficace di verifica dell’età dei visitatori. Google.de ha eliminato YouPorn dai suoi risultati e ci sono provider teutonici come Arcor che, sollecitati da aziende locali, hanno per brevi periodi impedito ai loro clienti l’accesso al dominio YouPorn.com a livello di routing, salvo tornare precipitosamente sui loro passi sull’onda delle proteste.

 

Ma soprattutto gli 1.5, forse nel 2009 2 o 3 milioni di dollari di introiti annui di YouPorn non valgono la candela. E dire che il sito era stato messo in vendita a “prezzo modico”. Più o meno 20 milioni di dollari. Briciole se paragonate con gli 1.65 miliardi di dollari pagati da Google per YouTube, i 580 milioni sborsati da Murdoch per MySpace e il recente rifiuto di Facebook a una valutazione delle sue azioni intorno agli 8 miliardi di dollari. E tuttavia, Vivid con il suo portale rigorosamente privée, 40.000 membri paganti a 30 dollari al mese, seppure invisibile nei ranking di Alexa genera 15 milioni di dollari l’anno. Cifre analoghe le raccoglie Digital Playground, altro player fedele agli schemi del Web 1.0: “entra dentro” solo chi paga. Paradossalmente, si assiste anche a un revival d’interesse per le produzioni patinate. Pirates, remake per adulti della saga Disneyana con Johnny Depp, girato in alta definizione, addirittura colonna sonora originale e persino avvincenti battaglie sui mari, è costato alla Adam & Eve 3 milioni di dollari, ma con l’exploit di vendite dall’edizione in 3 dischi da solo ha risollevato le loro sorti da un quinquennio di scivoloni e vacche magre.

 

Sintetizzando all’osso: Vivid e compari, library di contenuti prestige riversata su destinazioni .com con poco traffico, modello premium, incassi poco appariscenti ma robusti. YouPorn, catalogo perlopiù in palese violazione dei copyright, unico fiore all’occhiello legale le performance di esibizionisti, pervertiti, fidanzati/e cornuti assetati di vendetta e aspiranti divette/filmmakers senza troppe inibizioni, traffico stellare, modello free reclamizzato ovunque, eppure soldi in tasca zero o quasi. E in più rogne pericolosissime legate alla questione minorenni.

 

Sfida persa in partenza per il Porn 2.0?

 

Non è così scontato. La Adult Entertainment Broadcast Network, i padroni di PornoTube, considerano la loro creatura un costo sotto la voce marketing. Nato nel Luglio 2006 all’interno di Xpeeps.com, il social network VM18 di AEBN, PornoTube era stato concepito per fornire ai membri di Xpeeps un metodo web-based di scambio video. Quando le views generate da PornoTube hanno obnupilato quelle di Xpeeps, AEBN l’ha trasformato in un sito a sé stante, monetizzandolo con accordi di revenue sharing (i produttori di porno pubblicizzano i nuovi film e spartiscono con AEBN in proporzione al traffico canalizzato verso i siti ufficiali). Seppure a stento, ma PornoTube pareggia i conti e assolve alla sua funzione di traino commerciale verso il network di destinazioni online a pagamento della AEBN e dei partner.

 

YouPorn invece ha dichiarato di voler emulare il “modello Skype”, citando uno dei fondatori di Skype nel paradigma: se raggiungiamo 100 milioni di visitatori, e anche solo l’1% accetta di sborsare 10 dollari al mese per contenuti premium, incameriamo 120 milioni di dollari l’anno. Modello Skype o modello freemium, è una scommessa non testata, e tuttavia con premesse teoriche affascinanti.

 

Non a caso si stanno accostando al porno anche realtà del Web 2.0 il cui core business non includeva fino a ieri contenuti a luci rosse. Parlo di Vuze, creatori di uno dei più popolari client BitTorrent di sempre e titolari di una piattaforma di condivisione video P2P da 11 milioni di visitatori unici al mese (statistiche Quantcast). Una piattaforma utilizzata da BBC, Showtime, National Geographic e parecchi altri nomi di razza anglosassoni. Nonostante i VIP in portfolio e il loro pedigree, nel 2009 Vuze ha lanciato un servizio P2P di contenuti per adulti: Studio HD. Pagando 25 dollari al mese si possono scaricare dal portale Vuze centinaia di film porno in HD; non c’è limite al numero di download e non ci sono protezioni DRM. Senza alcun sorpresa, gli abbonati sono in prevalenza maschi tra i 18 e i 44 anni. Se considerate che uno studio di NPD Group aveva stimato il peso del porno nel 60% del traffico totale P2P, l’incursione di Vuze nel mercato del vietato ai minori non fa una piega. D’altro canto, è quello che fanno gli operatori di TV satellitare e via cavo da sempre, ai quattro angoli del globo.

 

E se alla fine ogni sforzo di redditivizzare il Porn 2.0 dovesse fallire, ci si potrà sempre consolare con le parodie Porn 2.0. Il web serial PG Porn, diretto da James Gunn, sta macinando record su Spike.com. La prima puntata, Nailing Your Wife, con Nathan Fillion (interprete di Desperate Housewives e del vincitore degli Streamy Awards 2009, il cultissimo Dr. Horrible’s Sing-A-Long Blog) e soprattutto con la pornostar Aria Giovanni , è vicina ai 2.5 milioni di spettatori con decine di migliaia di commenti su Twitter. PG Porn è una satira delirante delle convenzioni del cinema erotico, e giustamente negli slogan è consigliato “a quelli che amano tutto nel porno… fuorchè il sesso”.

 

A ciascuno il suo.

 

 

Coming up next: Bob Marley disse “il bello della musica è che quando ti colpisce non provi dolore”. Sperando sia presto archiviata l’epoca del conflitto tra label discografiche e appassionati internauti, sono quasi al debutto diverse iniziative di video streaming concepite per colpire al cuore i navigatori.

 

NewTV. Non è più troppo presto, non è ancora troppo tardi.

 

 

 

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