Italia
Se questa rubrica ha un mantra, è la mia solita chiosa “ma tanto presto tutto lo streaming ce lo vediamo in salotto“. Un ritornello che diventerà realtà, non ci vuole un genio per prevederlo. Con tutto quello che ne consegue in termini di migrazione degli occhi da un tipo di contenuti e distribuzione a un altro diversissimo ambiente (con palinsesti personalizzati su library on-demand immense, canali taglia-e-incolla embeddabili, atomizzazione degli ascolti e social network onnipresenti).
Il problema è quando.
Prima frenava la tecnologia: un po’ l’hardware, un po’ il sistema operativo per gestire i dati, e molto la scarsità di banda. Ora con i chip dovremmo esserci, il software pure, e nei sistemi economici evoluti c’è anche la banda. È solo questione di volontà “politica” dei costruttori di televisori e dei loro media partner. Ora, le major USA ancora tentennano, hanno giustamente paura di cannibalizzare gli introiti della TV via cavo tematica, più che minare la raccolta pubblicitaria delle 4/5 emittenti generaliste gratis per chiunque. Ma ormai sembrano aver deciso. E poiché nel mondo dei media, a ragione e con diritto, comandano gli americani, la strada è segnata.
Secondo una ricerca di In-Stat, nel 2013 24 milioni di case americane su 110 totali dotate di tele avrà una NewTV con funzionalità Web-to-TV. Già oggi il 30% dei 25/34enni, dicono, userebbe le console videoludiche per streammarsi YouTube sul 43 pollici . Mi sembra un dato esagerato persino per la lepre nordamericana e con tutto il rispetto per la meravigliosa griglia di canali customizzabili del Wii, ma se aggiungiamo anche i maniaci dei set-top box, e consideriamo la spaventosa offerta di contenuti in streaming per il consumatore di lingua inglese (dalle decine di migliaia di film accessibili per lo streaming agli abbonati Netflix o Amazon Video all’immenso catalogo di seriali TV disponibile su Hulu e parenti, passando per l’infinita congerie di sport e webfiction e talk show originali) sicuramente ci arriviamo e sorpassiamo.
Keith Nissen di In-Stat sostiene che il 2011 sarà l’anno della svolta. Esplosione della curva d’adozione dai giovani adulti a tutte le fasce demografiche, facile reperibilità di device idonei al transcoding, effetto-domino “è figo, voglio averlo anch’io”. Molteplici le cause scatenanti. Altrettanto molteplici le incognite sulla soluzione finale alle angosce da monetizzazione. Spostare in massa gli inserzionisti dal vecchio al nuovo modello non si sta rivelando una passeggiata. Da escludere un tuttogratis universale.
L’alternativa complementare? Spingere sui provider per far pagare in aggiunta alla connessione un forfeit (mensile flat, a-la-carte, freemium scalabile) per la programmazione in streaming. Negli States è più semplice, passa tutto attraverso il cavo, si tratta di rimodulare le tariffe mantenendo uguali i soggetti che spartiscono la torta (vedi Fancast). Oggi la spartiscono offrendo 100 canali via cavo, domani la spartiranno offrendo 5 o 6 miliardi di video in streaming via cavo. In Italia se si andasse verso un premium da pagare ad Alice o Fastweb sarebbero con ogni probabilità soldi che spariscono dalle casse di Sky e che non entreranno mai in quelle delle piattaforme dell’arcano oggetto noto come digitale terrestre.
Qualsiasi siano gli sviluppi futuri, l’equilibrio attuale salterà. Qualcuno vincerà, qualcuno perderà. Non è scontato chi. Una delle variabili fondamentali è la reazione del mercato alle differenti tipologie di apparecchi NewTV.
Anzitutto, tracciamo subito una linea di confine tra NewTV in grado di connettere in maniera libera e svincolata al web e Widget TV, capaci di farti accedere a un “giardino chiuso” di siti abilitati dai widget che l’elettrodomestico in questione si ritrova pre-installati (o aggiunti via via tramite modifiche ufficiali del firmware; un procedimento molto simile a quando vengono aggiornati gli Skybox).
I colossi, è intuitivo, premono verso le Widget TV. Un walled garden incantevole, colorato dai mille colori di Hulu, integrato con Facebook, Twitter, Flickr, Yahoo e ogni sorta di passatempo virtuale, fantastico ma controllato alla fonte dalle major e non meno orwelliano dell’assetto attuale. Negando il browsing indipendente si elimina il rischio dei siti cinesi o russi non autorizzati, ha un senso. Ma al tempo stesso si limita l’accesso a possibili concorrenti “legali” e occidentali, dal banale competitor sull’intrattenimento al più pernicioso videoportale di news non filtrate.
Il mezzo annunciato, mezzo smentito antagonista delle Widget TV è un aggeggio che i blogger definiscono Android TV. Attualmente di sicuro c’è solo la presentazione di diversi set-top box basati su Android in autunno al CEATEC. Il Sacro Graal di cui tutti mormorano è però un televisore con Android OEM, quindi supportato dal sistema operativo per mobile di Google, con capacità di libera navigazione, e dunque anche libero streaming, da qualsiasi sito, americano o mozambichiano che sia, e interconnesso con tutti i device supportati da Android [cellulari in primis]. Concettualmente un altro mondo.
Prendiamo per buone le previsioni di In-Stat e spostiamoci ad Aprile 2011. Sto stravaccato sul divano davanti al mio NewTV. Immaginiamo abbia acquistato una Widget TV. Mi guardo il calcio sul widget di RAI.tv, in un angolo consulto le statistiche sui giocatori, chatto in Facebook con due amici della squadra avversaria, invio un Tweet per inveire contro l’arbitro e giocando tra tag e search engine leggo tutti gli altri Tweet “gemelli” contro la povera mamma dell’arbitro in questione; ah, ovviamente nel frattempo archivio nel mio photo album i fotogrammi del rigore inventato all’ultimo minuto. Cosa volere di più dalla vita, a parte il famoso amaro? Visto che sono confinato dentro un giardino chiuso, presumibilmente non potrei usare il motore di ricerca di Google per setacciare siti sconosciuti e mettere in playlist altre 45 partite con profili coincidenti, la clip porno della fidanzata viados di quel cornuto dell’allenatore che mi sbaglia le sostituzioni nel secondo tempo, e un classico di Lino Banfi sulla Longobarda per addolcire la triste giornata. Poco male? Chissenefrega? Già. E tuttavia ho fatto un esempio innocuo e superficiale apposta. Togliamo il calcio e mettiamoci un dibattito sull’ultimo scandalo parlamentare e le implicazioni reali in termini di libertà le immaginate senza bisogno del mio commento. La presenza di una filosofia alternativa, come quella dei televisori Android.powered, se non significa automaticamente free browsing sulla TV, ci va di certo più vicino della Widget TV.
Naturalmente, nessuno da niente per niente. Google ha un interesse specifico a piazzare Android nelle NewTV, e non è la difesa del Bene Cosmico né puntare sulla convergenza con gli smartphone G1. Il punto è replicare televisivamente la sua piattaforma di gestione pubblicitaria. Metti gli AdSense in TV e attendi che tintinnino fiumi di monetine…
A chi non fa gola allungare le mani sulle inserzioni nella NewTV (overlay testuali, billboard, sponsorizzazioni, spot in testa, coda e in-video, co-marketing legato alle abitudini dello spettatore, campagne gestite in cost-per-action… l’elenco è sterminato e sconvolgerà il lavoro di agenzie e concessionarie)?
Prendiamo Facebook. Neanche troppo a sorpresa, sebbene sia del tutto estreaneo al suo core business, è quasi entrato nella Top 10 dei videoportali USA. A Marzo era undicesimo dietro il network dei siti Disney, con 12.5 milioni di spettatori secondo ComScore. E senza un briciolo di contenuti pregiati, solo clip user-generate raramente embeddabili (è a discrezione dell’uploader), per il 40% girate con una webcam. MySpace, che invece nella WebTV ha investito pesantemente finanziando anche parecchie produzioni originali, a Marzo ha attratto alla sua sezione streaming 55 milioni di navigatori americani. L’utente medio di Facebook ha visto 3 video durante Marzo, quello di MySpace 8. Eppure sappiamo tutti che Facebook ha un’utenza più che multipla rispetto a MySpace, e riceve 400.000 nuove clip al giorno contro appena 70.000 di MySpace. In soldoni, enorme potenziale ancora non valorizzato.
Ma una volta che i dispositivi Web-to-TV diverranno mainstream, ha logica per Facebook limitarsi a offrire un misero widget per gli aggiornamenti di stato nell’angolo destro del televisore 2.0? Forse ai giganti del social networking la Widget TV walled garden potrebbe convenire assai meno di una Android TV a briglie sciolte. O forse no. Ci sarà da negoziare. Noi rimaniamo alla finestra, è una discussione a porte chiuse per multinazionali anglosassoni.
Odiateli o amateli, ma senza l’imprenditoria americana la storia della comunicazione avanzerebbe in pietosa slow motion. Prendiamo i player. Sembrano un fattore minore dell’equazione, ma se YouTube e Hulu prosperano, mentre Joost è nato e morto nel disinteresse generale è perché il popolo web ha votato e ha votato con un plebiscito: streaming su player in Flash di Adobe Systems o morte. La scelta del buon senso: il 98% dei pc ha Flash, è sicuro, compatibile con il codec supremo (l’H264), non bisogna installare plug-in o robe strane che puzzano di spiate subdole, tutto funziona liscio e l’esperienza visiva è identica da qualunque computer mi colleghi.
Adobe, americano, posizione dominante, pronto a “embeddare” Flash nei prodotti di decine e decine di marche di televisori, insidiato da un’altra, trascurabile azienducola americana, tale Microsoft…
In quel di Redmond vogliono imporre Silverlight, nato per le applicazioni web interattive, come piattaforma di default per il video streaming. Compito arduo, a dispetto del sostegno di molti broadcast tradizionali (da NBC per le Olimpiadi di Pechino fino alla RAI sul suo rinnovato RAI.tv) e persino di Playboy. Solo il 25% dei pc pare abbia i plugin di Silverlight installati; e non è saggio provvedere a installazioni preventive dentro Vista o Windows 7, onde evitare spiacevoli accuse delle commissioni antitrust. Nondimeno, c’è chi giura: mai scommettere contro Microsoft in una guerra di formati sulla lunga distanza. Decideranno i programmatori di mezzo mondo, puntando sul cavallo più solido per accontentare il cliente fornitore di webcontenuti, e in ultima analisi gli internauti, puntando sul cavallo più facile da cavalcare e più veloce al galoppo.
Gira che ti rigira, know how e tecnologia muovono i burattini. Chi non ha investito a suo tempo in tecnologia proprietaria, né sembra intenzionato a farlo ora complessato dall’incolmabile ritardo, può solo adeguarsi alle valutazioni espresse dall’altro lato dell’Atlantico.
È mentalità. Joe Ambeualt, boss delle applicazioni interattive di Verizon (più o meno la Vodaphone americana), pochi giorni fa, mentre descriveva il servizio FiOS TV – con cui offre pacchetti abbonamento in larga banda accoppiati con un digital recorder / set-top box per fruire in TV di un 400-500 canali tradizionali più circa 7 milioni di clip di una serie di partner dall’universo del videosharing (inclusi Veoh e Blip.tv, esclusi ancora sia YouTube che Hulu) – ha dichiarato: “per noi è decisivo un aspetto culturale: accettiamo il fallimento. Non avrete mai innovazione se volete che tutto quello in cui investite divenga un prodotto di successo commerciale“.
Stasera sognerò un rotondo tavolo-riunioni di dirigenti dello Stivale che si convertono a questa visione. In fondo, saggio è chi riesce a vivere inventandosi le proprie illusioni, sosteneva Woody Allen…
Coming up next: di nuovo programmazione di nicchia. Dopo la fantascienza tocca alla pornografia. Avete letto bene, nessun refuso. Zozzerie e pornazzi su NewTV. Yuppie.
NewTV. Non è più troppo presto, non è ancora troppo tardi.
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