Italia
Sta riprendendo a correre. La convergenza, è già entrata in fase di vistosa pre-accelerazione. È successo perché, in uno scenario di radicale metamorfosi del consumatore, rivoluzionato dall’esperienza Web 2.0, sta per piombarci addosso nuova tecnologia. Non piattaforme software, parlo di hardware. Senza salti evolutivi nell’hardware non si va mai troppo avanti. Hulu non basta, Google non basta, Facebook non basta, servono i device. Bene, i device della convergenza stanno arrivando. Gli ultimi fuochi erano stati quelli della guerra delle console di settima generazione. Ora passiamo dai “giochi” (le virgolette non sono casuali) alle cose serie. Apple la attendono tutti al varco con un annuncio di portata sismica magnitudine iPod durante l’estate, tra Widget TV e Android TV faremo indigestione di modelli e specifiche assai presto, il nuovo Kindle DX se costasse 100 euro invece di 400 (ed è solo questione di tempo) alzi la mano chi non lo acquisterebbe all’istante. E ci scommetto che da Natale in avanti sbucheranno fuori anche i cloni cinesi e i low price unbranded.
I dati presentati da Jeff Bezos alla conferenza Amazon per il lancio di DX mercoledì scorso sono clamorosi, nonché sconvolgenti per l’industria dell’editoria. In 8 settimane dal lancio del già antiquato Kindle 2 le vendite in formato e-reader su Amazon, per i titoli ovviamente disponibili in digitale, sono passate dal 13 al 35% del totale. Significa che 35 libri su 100 sono acquistati per Kindle 1 e 2, e non più in cartaceo. Ma Kindle DX, con il suo ampio schermo per leggere giornali o testi scolastici, e il supporto nativo ai pdf, sarà quello il game-changer, finché non verrà sorpassato dal tablet multimediale delle meraviglie di Apple.
Nuovo hardware, nuovo mondo, nuova convergenza. Dalle carrozze a cavallo alla Ford T.
Lo so, in Italia non è cambiato niente e se non vivessimo nell’era della globalizzazione sembrerebbero favolette di qualche fantasioso aedo. Del resto, noi siamo quelli che non avvertiamo la crisi per il semplice fatto che siamo già in crisi nera da anni e anni. Non molto tempo fa, un deputato della coalizione governativa, mente brillante, ci conosciamo dall’università, mi diceva: “esiste il tempo delle tartarughe e quello delle lepri; questo è il tempo di essere lepri”. Peccato sia passato un po’, e… beh, se le vedete le lepri fatemi un fischio, mi metto subito in scia anch’io…
Nel frattempo, mentre attendiamo Godot e lentamente alteriamo la nostra percezione dell’ecosistema dei media, per una settimana dedico NewTV al tema “leggero” della web fantascienza. Cosa c’entra con l’incipit di quest’articolo? Poco e niente in teoria. Enormemente, però, se pensiamo che lettori di quotidiani stile Kindle campeggiavano nel Minority Report di Spielberg e che la serie TV originale di Star Trek ha per la prima volta popolarizzato sullo schermo i pc, i tablet, gli hard disk esterni, gli auricolari wireless, i PDA, il GPS, gli schermi da 60 pollici e soprattutto i cellulari (se non credete a quest’elenco, cliccate qui per vedere tutte le foto con approfondito commento). Star Trek è del 1966-1968, uno splendido quarantenne. Se tanto ci da tanto, per visualizzare i media del 2049, forse è saggia idea gettare uno sguardo sui suoi nipotini, i più sagaci dei quali oziano nella calda piscina dei webserial.
Dico calda perché molti ci si scottano a immergersi nelle acque della produzione di online video originale. Altri invece iniziano ad ambientarsi, stile rettili anfibi emersi dagli oceani durante il periodo Devoniano. Revision3, di cui ho parlato qui, nel 2008 ha segnato un +140% nelle views (46 milioni in totale), con incassi di 8 milioni di dollari in pubblicità. Segreto del successo la capacità di attrarre sponsor attraverso un’efficace integrazione del brand durante gli show (i conduttori sono stati istruiti nell’arte del product placement mascherato). Alla formula va aggiunta l’offerta di un mix di pagamenti in classico CPM, costo per migliaia di impression, e più aggiornato CPA, cost-per-action, ovvero si paga quando il navigatore agisce (cliccando su un banner, compilando una form, iscrivendosi a un gruppo Facebook, quello che volete). Paradossalmente, Revision3 ha avuto meno difficoltà a convincere i grandi inserzionisti consultati direttamente, vedi Netflix, GoDaddy e Virgin America, che le agenzie di raccolta. Per le agenzie, abituate al lavoro facile della TV e delle sontuose fee per gli spot da 30 secondi in prima serata, sbattersi sulle ben più modeste cifre dei webserial è fatica fastidiosa. Ma con la frammentazione sempre più accelerata degli ascolti – quantomeno nelle nazioni dove le rilevazioni dell’audience televisiva sono attendibili – non c’è via di scampo, neppure per le agenzie…
Revision3, pur avendo geek e nerd come target primario per via dei suoi talk a tematica hi-tech come Diggnation, in realtà non finanzia web fiction. Il modello di business non cambia però spostandosi alle serie sceneggiate, comiche o drammatiche, e in particolare a quelle di fantascienza (che sposano in via naturale il profilo medio tradizionale dell’internauta maschio, sotto i 35 anni e smanettone). Abbiamo quindi un ritorno dell’investimento legato all’abilità nell’acquisizione di sponsor tout court o sponsor co-finanziatori, nella chiusura di accordi di product placement, in via ancora molto limitata nella vendita di spot pre-roll e/o post-roll, nonché nel licensing dei diritti d’antenna OldTV del prodotto finito o del concept per remake.
Piazzare il web show ai cari, vecchi network TV sta diventando uno sport sempre meno d’elite. Nessun interlocutore, dalla giovanilistica MTV alla generalista NBC, è indifferente al fascino di un serial con un suo pubblico Internet sviluppato e regolare. Il problema è quello della transizione crossmediale. Di recente abbiamo assistito al fallimento di In The Motherhood, stravolto durante l’adattamento a format televisivo analogico, e il 2008 ci regalò il flop di Quarterlife. I canadesi e il genere fantasy ci offrono invece la case history di successo di Sanctuary, creato da Damian Kindler.
Sanctuary nasce come webserie di 8 puntate da 15 minuti a inizi 2007, scaricabili a pagamento (l’epoca del free streaming universale era ancora lontana). Ogni due settimane un nuovo episodio. La protagonista, Helen Magnus, scienziata di 157 anni e fondatrice del Santuario, un’organizzazione alla perenne ricerca di creature non-umane intelligenti – gli Anormali – è interpreta da Amanda Tapping, già protagonista di Stargate SG-1 e Stargate Atlantis. Sempre dal team di Stargate vengono sia Kindler che il suo co-autore Martin Wood. Non parliamo quindi di un’autoproduzione vietnamita. Ci sono i mezzi, e i contatti giusti.
Prodotta da Stage 3 Media e girata interamente su green back, quindi profusione di computer grafica e scenografie stile Sin City, l’opera raccoglie responsi critici lusinghieri ed evidentemente anche un nutrito drappello di downloaders, tanto da tornare nell’autunno del 2008 stavolta sui teleschermi di Sci Fi Channel, guarda caso l’emittente di Stargate; sempre a pagamento, ma via cavo. Su Sci Fi Sanctuary debutta con una run di 13 puntate (in parte un remake dei webisodes), sfonda con 3 milioni di spettatori all’esordio e una media di 2,36 milioni nel prosieguo un po’ di record del canale, ed è stata confermata per una seconda stagione. Il ricco sito ufficiale, gestito minuziosamente sia nell’interazione tra squadra creativa e fan che nell’offerta di intrattenimento interattivo (inclusa l’autorizzazione a caricare su YouTube e parenti rielaborazioni amatoriali dei video ufficiali), è sintomatico del successo. È un assioma ormai assodato: prodotto vincente = soldi per il sito e aggiornamenti continui, sito scadente sin dalla nascita o abbandonato con il tempo = produzione idiota oppure allertata di prossimo siluramento.
Sanctuary, con i suoi divi di nicchia e gli evidenti investimenti di post-produzione, rappresenta idealmente un modello: quello delle produzioni di medio budget, con alle spalle talenti affermati e diversi network alla finestra, sperimentate online perché non ritenute all’altezza da subito di tentare la costosa via dell’etere, neppure su un canale tematico premium come Sci Fi. Concetto semplice, scarsamente rivoluzionario, ma pragmatico.
All’estremità opposta sulla bilancia delle sperimentazioni troviamo Afterworld, serie animata 3D scritta da Brent V. Friedman con il regista Michael DeCourcey. Afterworld ha debuttato su YouTube e Bud.tv il February 28 2007, prima ancora che fosse up un sito ufficiale. L’esplosione si è avuta da Agosto 2007, con le “repliche” su MySpace, dove è diventata la serie drammatica #1, seguite da altre “repliche” su Crackle.com della Sony, da un’edizione per cellulari, dal videogame e in Italia addirittura dal passaggio in versione doppiata su AXN (canale Sony dentro il bouquet Sky).
Ora, a differenza del blando fantasy di Sanctuary adatto a scolaretti e mammine, la premessa narrativa post-apocalittica di Afterworld è decisamente più nelle mie corde. Adoro gli scenari “dopo la fine del mondo”. In Afterworld Russell Shoemaker si sveglia una mattina a New York, sotto un diluvio biblico, e scopre l’improvviso black out di ogni meccanismo elettronico, mentre il 99% della razza umana è svanito nel nulla. Determinato a indagare e al tempo stesso tornare a Seattle dalla sua famiglia – un viaggetto a piedi di 4.800 km – Russell è un’intrigante variazione intellettualoide sull’abusato archetipo dell’eroe macho vagabondo nell’America post-catastrofe. È un personaggio che la fauna maschile di Internet deve per forza adorare. L’unico problema è far sapere alla fauna della sua esistenza…
La soluzione, per Electric Farm Entertainment e Brent Friedman, è stata di presentare su GoogleTube la bellezza di 130 puntate da 4-5 minuti, a cadenza quotidiana, dal lunedì al venerdì, per 6 mesi. Prima massa critica di prodotto adatta anche a potenziali riproposizioni in TV (raggruppando ogni settimana web in una puntata TV di canonici 25 minuti), poi incrociare le dita e sperare nel passaparola.
È andata bene. Mentre Afterworld ha trovato i finanziamenti per una seconda serie, la Electric Farm ha potuto lanciare il suo primo webserial con attori in carne e ossa. O meglio con la carne di un’attrice in particolare, la sensuale Rosario Dawson di Clerksiana e Tarantiniana fama.
La serie si intitola Gemini Division, 50 episodi da 7 minuti, soggetto e sceneggiatura sempre di Brent Friedman. Si tratta di un thriller tecno-fantascientifico con ingenti dosi di teoria della cospirazione in stile Robert Ludlum. La Dawson, detective newyorchese, nell’investigare l’omicidio del fidanzato scoperchia un complotto mondiale per disseminare ovunque forme di vita artificiali chiamate SiMS. In pratica dei cyborg. La Gemini Division è l’unica realtà, ovviamente clandestina e segretissima, che si oppone al piano malefico. Trama dal sapore di deja vu, ma resa trasformando la Dawson in una sorta di vlogger molto, molto reminiscente di LonelyGirl15 e infarcendo il canovaccio principale con storie parallele ipertestuali sviluppate sul sito e su Twitter.
Gemini Division è online da Agosto 2008 gratis in esclusiva per i siti del gruppo NBC/Universal, ovvero NBC.com, Hulu e Scifi.com, e a pagamento in download su Amazon Unbox, iTunes, Xbox Marketplace e altre piattaforme di video-on-demand. La Sony, quella di Crackle.com, gestisce i diritti esteri. In attesa dell’inevitabile e preannunciato streaming su YouTube, l’allenza con NBC e Sony ha consentito di attrarre product placement da inserzionisti del calibro di Intel, Cisco, Microsoft, Acura e UPS.
I soldi. Quelli veri. Pescati strada facendo, stavolta.
La stessa logica di business, sebbene al momento con risultati non altrettanto stellari, ha ispirato la New Renaissance Pictures per il suo The Black Dawn, lanciato il 31 Gennaio su WebSerials.com e su YouTube a cadenza settimanale. L’incidente scatenante: cosa fareste se una nuvola nera avvolgesse Los Angeles, dove naturalmente vivete, uccidendo tutti?
Co-sceneggiato da Brian Walton e Abraham Sherman per la regia di William Hellmuth, The Black Dawn è arrivato mentre scrivo al tredicesimo episodio su 24 totali. Il serial è integrato da contenuti supplementari di più agile produzione, come i video blog dei personaggi (Before The Black Dawn), l’inevitabile diario del regista e un fumetto online che ripresenta la stessa vicenda ma da prospettive differenti. E se non volete attendere troppo le nuove puntate, per 1 dollaro e mezzo si possono scaricare i “capitoli” della saga (un montaggio di 6 episodi insieme) in qualità HD. Non è finita. Per chi è arrivato tardi, da poco è stato anche lanciato un prequel di 4 segmenti: Catalyst. Giocando sulle fascinazioni cospiratorie di tutti i fan del genere, sottoscritto incluso si intende, Catalyst segue i passi del Dr. Steven Wilkins, un personaggio ucciso nei primi secondi di The Black Dawn, ma che via via con le puntate si è rivelato la chiave di volta del mistero (nel suo ufficio c’era infatti una lista con tutti i nomi dei sopravvissuti). Neanche a dirlo, anche Catalyst avrà la sua graphic novel online.
Siamo ancora nel primo semestre di distribuzione, in fondo Afterworld ha impiegato più di 6 mesi prima di imporsi all’attenzione degli internauti e un anno prima di chiudere affari con NBC e Sony. In mancanza di media partner tradizionali, sembrano solo 2 le fonti di revenues potenziali: la vendita dei dvd, rivelatasi vincente nel 2008 per The Guild e il Dr. Horrible di Joss Whedon, oppure un’esplosione di contratti pubblicitari con aziende interessate a investire nello streaming, araba fenice per chiunque lavori oggi nell’online video.
Le cose cambierebbero se un Black Dawn o un Afterworld potessero arrivare dritti sparati sulle NewTV dotate di router e chip per decodare i widget in Flash. Le favolose NewTV in arrivo sul mercato nei prossimi mesi. Dalla scrivania al divano, il passo sarebbe enorme, e senza dover cedere nulla della torta a intermediari distributivi, le chance di un ritorno dell’investimento si moltiplicherebbero di colpo. A quel punto il lavoro preparatorio di costruzione dell’audience sull’odierno web, beh, non devo dirvelo io, sarebbe da considerarsi quantomeno previdente.
Altro giro, altro modello: i webserial derivati da serie televisive pre-esistenti. Poiché parliamo di fantascienza, leader assoluto è ancora una volta la citata Sci Fi , nella sua veste di destinazione digitale. A Sci Fi si deve la prima proposta di long-form inedito in streaming, ben 10 anni fa; una puntata di Lexx eliminata dal palinsesto e piazzata su web per accontentare gli appassionati. Venne seguita da alcune migliaia di navigatori, una miseria oggigiorno persino per le clip dei dibattiti politici italiani…
Fast forward al 2009. Accanto all’archivio on-demand degli show in onda (Sci Fi Rewind), sono arrivate le estensioni originali solo-per-Internet. Si è partiti con l’ammiraglia del canale, il mitico remake di Battlestar Galactica, uno dei maggiori capolavori di sempre a prescindere dal genere. I tre cicli di webisodes di Battlestar Galactica hanno generato, nell’ordine:
The Resistance (2006) – 4.8 milioni di stream
Razor Flashbacks (2007) – 1.7 milioni di stream
Face of the Enemy (Dicembre 2008) – 2.9 milioni di stream
Niente male, considerando che il finale TV dell’epico telefilm non ha superato i 2 milioni e mezzo di spettatori questa primavera. Non a caso per l’autunno sono previsti webisodes di Stargate e di Warehouse 13 (previsto per Luglio, dovrebbe essere un X-Files ironico e con sottotesto romantico).
Più interessante, però, è il modello dei fan movies. Un modello ai limiti della legalità, consentito dai titolari dei diritti – non sempre per giunta – solo perché non intacca il loro flusso di cassa. Un modello edificato sull’entusiasmo e la buona volontà, senza fini di lucro in teoria, e povero di risorse. Eppure anche un modello così simbiotico con il Web 2.0 e così slegato dalla casistica analogica da renderlo di default “adorabile” per ogni studioso di comunicazione degno di tal epiteto. È una realtà di cui parlano quotidianamente blogger e forum italiani, per cui non c’è alcun bisogno di entrare nel dettaglio. Mi limiterò quindi a citare tre recenti ed eclatanti casi di studio.
Per i tolkeniani il premio Oscar dei fan movies va sicuramente a The Hunt for Gollum, 40 minuti di godimento fantasy costati, stando alle cronache, meno di 4.000 euro in spese vive al regista/sceneggiatore Chris Bouchard. Chiaro, nei 4.000 euro non sono comprese le infinite ore di lavoro di Bouchard stesso e del suo cast di 160 volontari. Sulla falsariga di quanto già stabilito 2 anni fa da George Lucas per Guerre Stellari, anche la Tolkien Enterprise ha deciso di chiudere entrambi gli occhi sulle produzioni amatoriali, purchè sia manifesto l’intento non commerciale. La domanda è: chiudo gli occhi per benevolenza, o perché un mediometraggio come Hunt for Gollum mi vale pubblicità gratuita per milioni di dollari? Non serve risposta…
Per gli aficionados della videoludica il fenomeno del 2009, con 2.5 milioni di views su YouTube da Febbraio, è Escape from City 17. Ambientato nell’universo di Half-Life 2, è un action movie senza esclusione di effetti speciali, esplosioni e sparatorie, con due soldati ribelli in fuga da una metropoli distopica e totalitaria. Budget dichiarato: 300 euro. Budget reale per i fratelli David e Ian Purchase di Toronto, autori di Escape: 300 euro più i macchinari più il software, più la manodopera. Consideriamolo un eccezionale biglietto da visita per i due filmmaker, in procinto di debuttare al cinema, e un gran regalo alla community dei giocatori di Half-Life. La Valve, la casa di produzione del gioco, ha contribuito alla promozione del film reclamizzandolo pesantemente sui canali web ufficiali.
Per i trekkies, categoria a cui orgogliosamente appartengo, uno dei punti storici di riferimento è Star Trek: Phase II , Star Trek Phase II, anche noto come New Voyages, 4 episodi prodotti dal 2003 a oggi, l’ultimo online da Dicembre 2008, è la continuazione apocrifa dei viaggi dell’Enterprise originale. Cronologicamente i film di Phase II si collocano nel quarto anno della “missione quinquennale” di Kirk e Spock.
Autorizzata da CBS e Paramount Pictures sulla scorta della consueta clausola “purchè non vi siano fini commerciali”, Phase II ha cambiato la carriera di Cawley. Il nostro è infatti appena riuscito ad assicurarsi i diritti, reali, pagati in contanti, sfruttabili economicamente, del leggendario Buck Rogers, e progetta di rilanciarlo insieme con il romanziere Flint Dille, erede del John Dille che acquistò nel 1929 il copyright sul personaggio (nato in un romanzo) per realizzarne strisce a fumetti, in una webserie di 20 episodi da 40 minuti. Avete letto bene, 40 minuti, format standard per i drammatici TV.
Ci vorrà tempo, il debutto è previsto per l’autunno 2010. Forse nel frattempo si saprà di più sul fantomatico lungometraggio di Buck Rogers vagheggiato da Frank Miller. O forse nel frattempo i web serial in streaming saranno supportati dalla pubblicità delle aziende avide dei primi acquirenti di NewTelevisori. In ogni caso, in bocca al lupo a Cawley…
D’altro canto, gli annunci di serie Net-originali fantascientifiche ormai si rincorrono. Solo negli ultimi mesi abbiamo letto di:
* Fusion, prodotto da Strike.TV, con un episodio pilota già online da Gennaio, creato da Richard Manning (tra i cui credits figurano Farscape e Star Trek: The Next Generation). A metà tra l’horror supernatural tipo Lupo Mannaro Americano a Londra (i protagonisti si trasformano all’occorrenza in lucertoloni) e l’indagine poliziesca, Fusion è costato il solito “zero teorico”. Nel senso che la crew e gli attori hanno accettato di lavorare sul pilota in cambio di cibo e affetto, nella speranza di poter convincere i boss di Hollywood a finanziare una serie.
* IQ-145, figlio del premiato regista Billy Dickson (One Tree Hill, in Italia la trasmette la RAI) e del producer Chad Cooperman, è un serial di 12 puntate girato durante una pausa da OTH di Dickson. Nel cast volti noti di One Tree Hill e un certo Thomas Dekker, ovvero John Conner in Terminator: The Sarah Connor Chronicles. Alla run iniziale, distribuita online tra Maggio e Agosto 2008 e disponibile in streaming HD sul sito ufficiale, nonché a breve destinata a un rilancio in Inghilterra sul social network Bebo, non ha fatto seguito però l’auspicata continuità produttiva. Il parere dei critici? Notevoli gli effetti, ma la storia è moscia. L’eroe, Nate Palmer, un uomo con quoziente intellettivo 145, pensa solo a menare le mani. Vale il vecchio adagio “il contenuto è Re”, non c’è piattaforma distributiva che tenga di fronte a una sceneggiatura debole…
* H+, diretta da Bryan Singer (Superman Returns, Valkyrie, I Soliti Sospetti) e prodotta da Warner Premiere, neonato braccio digitale della Warner Bros., alla ribalta prima di Pasqua per la sua edizione “in motion” dei fumetti di Watchmen. Un attacco cyberterroristico decima l’umanità, o almeno quella parte di umanità che aveva scelto di connettersi il cervello a Internet. Uno scopiazzone plateale di Ghost In The Shell. Concepito come esclusiva per TheWB.com, H+ dovrebbe far parte di un pacchetto di venti produzioni live action originali per il web finanziate da Warner Premiere.
* Ark: The Series, prodotta dalla 60Frames e dall’editore di graphic novel d’autore Oni Press (un’etichetta semi-sconosciuta in Europa, ma di altissima qualità e copiosamente presente nella mia personale collezione di comics USA). 10 episodi, ambientazione spaziale, come protagonista un volto noto di Xena, basata su un soggetto del fumettista Robbie Thompson, Ark sarebbe già stata girata, ma è priva per ora di partner distributivi.
* E per dimostrarvi che non di soli States parliamo, da Hong Kong è in arrivo il web thriller in 10 puntate Lumina, con presunte grandi star cantonesi come Miss Chinatown USA 2009 e Michael Chan (il protagonista della spassosissima viral hit Wall Street Fighter IV). I due reciteranno nei panni della malinconica Lumina Wong e del suo principe proveniente da una dimensione alternativa. Su tutti i monitor da quest’estate…
Scrivere di anticipazioni e rumors ci porta alla naturale conclusione di questo excursus nella science fiction internettiana. Una conclusione che ci riporta a inizio articolo, alla specialità di Revision3, ergo i talk show tematici per nerd. Ora, non esiste nulla di più irresistibile per un maniaco della fantascienza che sentir parlare, speculare, polemizzare e rielaborare vicende e personaggi delle saghe preferite. Lo sa bene Milo Ventimiglia, Peter Petrelli in Heroes (tra parentesi, Heroes è arrivato un mesetto fa alla quarta serie di webisodes: Going Postal, Destiny, The Recruit e Nowhere Man) e famigerato geek. In collaborazione con gli Agility Studios, Ventimiglia produrrà un talk sui tragici dilemmi della fantascienza. Epocali dibattiti come “Meglio Star Wars o Il Signore degli Anelli” e ancora “Chi vincerebbe in uno scontro tra Harry Potter e Gandolf?”. Intitolato Ultradome, lo show promette alti livelli di demenzialità e ancor più elevati livelli di addittività.
In fondo, pochi generi sono proni alla parodia quanto la fantascienza. Come dimostrano i tipi di StoryForge con il loro Zerks Log, 18 puntate bisettimanali (ogni lunedì e giovedì) da 4 minuti, delirante presa per i fondelli del Diario di Bordo del Capitano Kirk. Ovviamente low low budget: un solo set, un solo attore.
Se il futuro dei contenuti web-originali ci riserva altre invenzioni come l’inetto Capitano Zerks Ganymedewski della Venturi 553 e i suoi video blog dalla galassia, allora possiamo con tranquillità sederci davanti al pc e attendere le evoluzioni. Sembra esserci un’ottima speranza di divertirsi.
Coming up next: NewTelevisore delle mie brame (indiscrezioni sugli apparecchi in gestazione).
NewTV. Non è più troppo presto, non è ancora troppo tardi.