Vigilanza Rai: Garimberti e Masi assicurano che su Sky ‘non ci sono posizioni preconcette’. Oggi in Cda i criteri per le nomine

di Raffaella Natale |

Italia


Rai sede

Sui rapporti Rai-Sky bisogna sgombrare il campo dallo “scontro di civiltà” e dalle “valutazioni di carattere ideologico”, come emerge “dalla lettura dei giornali”: lo ha sottolineato il presidente della tv pubblica, Paolo Garimberti, ascoltato oggi in commissione di Vigilanza con il direttore generale Mauro Masi.

“Non posso dire qual è la mia opinione, perché sarebbe lesivo degli altri consiglieri, visto che la questione approda giovedì in Cda”, ha spiegato Garimberti.

“…Dopodomani inizieremo ad affrontare il tema, ognuno dirà la sua, ma non credo che decideremo in quella riunione del consiglio. Dobbiamo valutare tutti i pro e i contro, facendo un’analisi approfondita nell’interesse dell’azienda. Si sta esaminando il rapporto costi-benefici dell’operazione – ha concluso Garimberti – come farebbe qualsiasi azienda sana in questa situazione”.

 

“…Non ci sono posizioni preconcette – ha aggiunto Masi – stiamo facendo un’analisi costi-benefici nell’immediato ma anche di prospettiva. Poi vedremo l’evoluzione del mercato…”.

Il dibattito riguarda la convenzione in scadenza che lega l’azienda di Viale Mazzini a Sky, ovvero la presenza di canali Rai nel bouquet satellitare.

Un argomento per il quale si terrà un apposito Cda Rai, già fissato per dopodomani. Masi, rispondendo a Paolo Gentiloni (Pd) che aveva sollevato la questione, ha parlato di analisi dettagliata, “la Rai considera questo un tema molto importante, tanto da dedicargli uno specifico Cda, un tema su cui non ci sono posizioni preconcette”.

 

Masi ha aggiunto che intanto, “…non c’è alcun accordo” con altri operatori, in primis Mediaset, “non ci sono accordi se prima non facciamo e ultimiamo un’analisi dettagliata”. Nel suo intervento in precedenza Gentiloni aveva sottolineato che Sky vuole una risposta dalla Rai entro il 21 maggio circa la continuazione a essere sulla piattaforma satellitare. Finora l’accordo Rai-Sky prevedeva il versamento da parte di viale Mazzini di 66 mln di euro l’anno, e Gentiloni ha chiesto ai vertici Rai come vengano calcolate le conseguenze economiche di un’eventuale abbandono della piattaforma Sky, ovvero ha chiesto se la Rai ci guadagni o perda, ricordando anche che l’articolo 26 del contratto di servizio impone alla Rai di essere su tutte le piattaforme “fatti salvi specifici accordi commerciali”.

Gentiloni ha chiesto “se sono valutabili inoltre le conseguenze sul piano giuridico ed anche per quanto riguarda gli abbonati Sky che potrebbero ritrovarsi senza i canali Rai sul satellite”.

 

Giovedì sarà su questo che si concentreranno le riflessioni del Cda: si aprirà, infatti, l’istruttoria che porterà i vertici aziendali, coadiuvati da un gruppo di lavoro guidato dal dg a “vagliare costi e benefici dell’operazione“.

Di certo, sono state accolte con un certo fastidio e hanno provocato “stupore” le indiscrezioni apparse su alcuni organi di stampa che, si fa notare negli ambienti Rai, “…rappresentano una posizione parziale se non personale, e comunque non dell’azienda Rai”.

 

Polemiche a parte, il Cda comincerà a discutere del merito della trattativa: l’urgenza è data dal fatto che a luglio scadrà il contratto che lega viale Mazzini alla piattaforma del tycoon Rupert Murdoch che dovrebbe sborsare, per assicurarsi i programmi del bouquet Raisat, quasi 475 milioni di euro spalmati su 7 anni.

Di cui 75 mln di euro sono per l’accordo di “output dial” relativi ai prodotti cinematografici di RaiCinema e altri 7 mln per i ricavi pubblicitari.

Una cifra enorme (pari quasi al doppio del capitale sociale dell’azienda che è di circa 242 milioni 518 mila euro), quasi cinque volte superiore al buco pubblicitario stimato la settimana scorsa dal neo direttore generale della Rai, Mauro Masi durante l’audizione in Vigilanza.

 

L’offerta Sky per il nuovo settennato non cambierebbe di molto: da qui le perplessità del vertice Rai, forte del successo di share assicurato a Murdoch e anche in vista del via, a giugno, della piattaforma Tivù Sat, messa in piedi insieme a Mediaset e Telecom.

 

Nella sua offerta Sky, oltre a rimpinguare le casse Rai, rinuncia anche al diritto di esclusiva. Perché allora in Viale Mazzini l’orientamento è far cadere la proposta e impegnare risorse sul digitale terrestre? I dubbi non mancano visto che a rischiare di più sembra essere la Tv di Stato che peraltro potrebbe rischiare la beffa di un eventuale ricorso al Tar per interruzione di pubblico servizio visto che la legge impone che i suoi programmi sia fruibile su tutte le piattaforme.

 

Molti ritengono che l’orientamento sia quello di far cadere l’offerta e impegnare risorse nel digitale, con conseguenze pesanti per i bilanci della tv pubblica e il non troppo celato interesse di Mediaset di indebolire l’avanzata di Sky.

 

La strategia, nel caso in cui la Rai lasciasse la piattaforma Sky , sarebbe quella di riconvertire Raisat in una factory produttiva capace di ottimizzare le risorse produttive trasferendo da una parte i programmi sul digitale terrestre – tra 9 e 12 le nuove frequenze disponibili – e dall’altro fornendo prodotti anche sull’analogico.

 

Altro nodo, quello delle nomine. “Cosa sta ritardando le nomine, e in particolare alla direzione del principale telegiornale italiano?”. E’ la domanda con cui il presidente della commissione di Vigilanza Rai, Sergio Zavoli, s’é rivolto ai vertici di Viale Mazzini.

 

Giusto pensare ai criteri delle nomine, ma solo a patto di calarli in una riflessione più ampia che veda una riorganizzazione dell’intero modello aziendale. E’ l’opinione del Dg che, di fronte ai commissari della Vigilanza, ha ammesso che esistono alcune “urgenze e cogenze che riguardano precise figure aziendali”. “E’ importante individuare criteri di nomine, ma il discorso  rischia di mostrare uno iato logico se non è inserito in quel ripensamento del modello organizzativo che, attualmente, è fortemente discutibile e che va rivisto e ripensato”. Insomma, la valutazione dei criteri di nomine va calata “in un ambito di riflessione generale”. Naturalmente, ha precisato Masi, “esistono delle urgenze e delle cogenze, perché questa è un’impresa che sta sul mercato, una Spa e non una società di mutuo soccorso”.

 

Si faranno in Cda – ha assicurato nuovamente Garimberti  – i criteri sono stabiliti nel Cda, ne parleremo domani“. “Valuteremo“, ha replicato ai commissari che gli chiedevano quali sono i criteri di nomina. “Ho visto quelli che sono stati utilizzati quando io sono stato fatto direttore del Tg2, nel ’93, sono validi ancora ora, parlano di pluralismo e libertà dell’informazione”, ha spiegato ancora il presidente della Tv di Stato.

 

Ma probabilmente la riunione si chiuderà con un niente di fatto. Secondo indiscrezioni ci sarà un nuovo rinvio alla prossima settimana quando, ambienti di Viale Mazzini, giurano che arriverà la svolta.

I tasselli più importanti rimangono Tg1 e Raiuno, ma pesano su questi i veti incrociati e la mancanza di un’intesa all’interno del Pdl, anche se qualcuno fa notare che l’accordo è stato raggiunto e “manca solo qualche dettaglio”.

 

I problemi sono tutti interni al Pdl: An spinge affinché l’attuale direttore del Tg2, Mauro Mazza , venga promosso alla rete ammiraglia. Peserebbe però il veto di Berlusconi nella sua corsa al Tg1, poltrona per la quale pare invece favorito Augusto Minzolini, inviato e notista politico della Stampa.

Per Mazza si aprirebbero dunque le porte della guida di Raiuno, ma il cerchio non è ancora stato chiuso. Come in un mosaico dove tutto si tiene, la caduta di un tassello fa vacillare l’intero impianto: così si blocca ancora la nomina dei vice che affiancheranno Masi. Due hanno già la promozione in tasca: si tratta di Antonio Marano, direttore uscente di Raidue in quota Lega, e di Lorenza Lei. Ad affiancarli, potrebbero arrivare anche Giancarlo Leone (già vice dg con Cappon, avrebbe tra i suoi sostenitori Gianni Letta) e Gianfranco Comanducci, in quota Fi. Una moltiplicazione delle poltrone che non piacerebbe ai due ‘titolari’ Marano e Lei, né ad An che, su quattro poltrone, resterebbe a bocca asciutta.

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