Italia
Riportiamo di seguito l’intervento di Luigi Bobbio, Capo di Gabinetto del Ministero della Gioventù e membro del Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale, al Convegno Altroconsumo su “Internet, diritto d’autore e libertà di informazione in Rete” che si è tenuto il 23 aprile a Roma.
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INTERNET è la più grande frattura generazionale di tutti i tempi.
Chi ha inventato internet appartiene ad una generazione che oggi non è più giovane e difficilmente avrebbe potuto immaginare fino a dove sarebbe potuta arrivare la sua creatura.
Oggi parliamo di web 2.0 e qualcuno già parla di web n. 0…..ma siamo davvero sicuri di comprendere fino in fondo di cosa stiamo parlando?
Enormi, infatti, sono la complessità, la reale portata e la mutevolezza della rete.
A questa stregua abbiamo bisogno di ripensare alcune cose: privacy, diritti civili, relazioni sociali, politica, noi stessi.
Quando evoluzione tecnologica, economie industriali, relazioni sociali e una infrastruttura rivoluzionaria quale è la rete, tutti contemporaneamente convergono, ha inizio una profonda crisi dei ruoli e delle rendite di posizione che sono state considerate immutabili dal secolo scorso.
Per l’industria italiana dei media e per la sua competitività sul mercato globale, paradossalmente, il più grande ostacolo all’introduzione di nuovi modelli nel mercato dei contenuti digitali è il ritardo nella diffusione della banda larga e la scarsa alfabetizzazione informatica delle generazioni meno giovani. Questi aspetti sono preponderanti su fenomeni più eclatanti come la stessa pirateria di tipo “filesharing“. La frattura generazionale nelle capacità e abitudini di consumo dei nuovi contenuti digitali e dell’uso di internet, particolarmente accentuata in Italia, ha reso fino ad oggi poco attraente qualsiasi investimento in nuovi modelli di offerta e distribuzione “online” che sono invece diffusi con ampia concorrenza e con grande riduzione nei costi distributivi in altri paesi dove la pirateria diminuisce.
La situazione italiana è solo in parte simile al vecchio problema del vuoto di offerta nel mercato audiovisivo delle prime radio e televisioni private e “pirate”: allora a fronte di un mercato immaturo e chiuso gli utenti erano disposti ad ascoltare anche chi diffondeva illegalmente contenuti audio-visivi. Oggi però la domanda potenziale di contenuti diffusi via internet non include (come invece la diffusione delle radio e televisioni permetteva allora) l’intera popolazione italiana. La mancata diffusione degli accessi a internet (l’Italia è agli ultimi posti nelle classifiche mondiali) penalizza così ulteriormente il posizionamento competitivo delle nuove generazioni nel nuovo scenario internazionale dei media digitali.
E’ necessario porsi il problema della strategia, evitando battaglie di retroguardia, che ci farebbero perdere la guerra, puntando, come pure alcuni vorrebbero, al puro contenimento repressivo della rete e dei suoi utenti con un percorso costituzionalmente tortuoso e tecnicamente inattuabile o perlomeno inutile. Probabilmente occorre, invece, puntare su una strategia in positivo fondata sulla concorrenza, aprendo il mercato piuttosto che restringerlo.
La parola chiave potrebbe quindi essere: “contenuti” .
In una visione di sistema non dovremmo, però, dimenticare, come Nazione, che la nostra condizione attuale di semplici “consumatori” di internet non può più durare. È durata anche troppo.
Dobbiamo puntare risolutamente, anche se tardivamente, a divenire titolari di un know-how infrastrutturale e infologistico sia a livello nazionale che imprenditoriale.
Occorre quindi investire nell’infrastruttura immateriale della banda larga di rete anche per accendere l’industria nazionale e rimuovere ogni facile tentazione autolesionista di status-quo, oltre che promuovere l’alfabetizzazione digitale delle famiglie e la consapevolezza nell’uso responsabile delle giovani generazioni.
Occorre però anche aumentare la produzione dei contenuti per internet
Ancora oggi rischiamo di lasciare la pirateria come problema dominante. Esiste invece un problema più ampio che lo contiene e che riguarda l’ampliamento di contenuti che dovrebbero essere portati ad un livello tale da rendere la pirateria un fenomeno marginale in uno scenari di offerte contenutistiche molto più ampio.
A questo fine si potrebbero avviare la fruibilità e l’accessibilità di tutti gli odierni contenuti TV, cinematografici, letterari e musicali per internet. Fruibilità e accessibilità intese come capacità di veicolare questi contenuti con le tecniche ed il linguaggio del nuovo medium, internet.
Nel ‘700 inglese gli autori non avevano alcun diritto sulle proprie opere: erano gli stampatori a detenere il diritto di copiare le opere che comperavano dagli autori, per un tempo indefinito. Non esisteva concorrenza, i prezzi erano arbitrariamente alti e la Corona poteva direttamente vietare la stampa delle opere meno gradite. Il parlamento inglese decise di intervenire nel 1710 ponendo le basi del moderno “copyright” a tutela dei diritti degli autori e di quelli della società, con un titolo molto esplicito: “An Act for the Encouragement of Learning”. Oggi i binari paralleli al diritto d’autore, ampiamente diffusi con internet, sembrano andare nella stessa direzione riproponendo in chiave moderna l’antico obiettivo del diritto d’autore: è il caso ad esempio dei modelli legali del “free software”, del “copyleft”, del “share-alike”, del “creative commons” il cui successo mondiale sta costringendo a una profonda rivisitazione dei tradizionali schemi editoriali e distributivi ancorati al “copyright”.
La nostra P.A ., che oggi bandisce gare multimilionarie per l’informatica che tagliano le gambe alle tante piccole imprese informatiche dei giovani italiani, dovrebbe guardare meno ai software proprietari dei ben noti big-players ed un po’ di più allo straordinario mondo popolato dalle giovani generazioni nell’open source, garantendosi in questo modo maggiori competenze tecniche e migliore qualità di prodotto.
Il rischio da evitare, a mio giudizio, è quello di trovarsi in una sorta di autarchia mediatica inseguendo solo opzioni repressive nel condizionamento generato dal pur gravissimo problema della pirateria. Internet non è una merce che si blocca alla frontiera.
Internet ha bisogno di regole base, che in buona parte già ha, indispensabili al suo funzionamento e alla sua più ampia possibile fruibilità: d’altronde internet è anche la denominazione del protocollo tecnico che ne permette l’esistenza come infrastruttura, ovvero una serie di regole a tutela della più ampia accessibilità, progettate in ambito militare per condizioni limite come quelle di un conflitto mondiale. Gli utenti di internet, specie i più giovani, hanno bisogno di essere protetti e tutelati. Questa necessità è identica a quella garantita da qualsiasi legge e ordinamento di uno stato moderno. Quindi non esiste un bisogno di leggi speciali, ma semplicemente l’esigenza di sapersi dotare di capacità organizzativa e tecnologica atta a contrastare adeguatamente fenomeni pre-esistenti che oggi utilizzano anche le nuove tecnologie. In Italia questa capacità di indirizzo è molto poco diffusa. Gli organi preposti all’osservanza delle norme cogenti hanno scarse risorse quando si parla di “information compliance”. L’Italia è l’unico paese G8 a non essere dotato di un organo/autorità centrale di supervisione, controllo e garanzia sulle politiche, i diritti e le libertà fondamentali della rete.
La raccomandazione “bipartisan” del Parlamento europeo destinata al Consiglio sul rafforzamento della sicurezza e delle liberta fondamentali su Internet (Lambridinis) dimostra come questo tema sia di stretta attualità nell’agenda politica di molti paesi. Inoltre è in corso di approvazione presso lo stesso Parlamento europeo il c.d. “pacchetto telecom” ovvero una direttiva che avrà un impatto rilevante su qualsiasi soluzione tecnica o normativa nazionale. Il rischio è dover adeguare alla futura direttiva scelte tecniche troppo affrettate. Il Rapporto Medina Ortega sul Diritto d’Autore voleva raccomandare all’UE l’adozione esplicita della risposta graduata (“3-strikes-and-you’re-out”) mutuando de-facto la c.d. “dottrina Sarkozy”: il Parlamento Europeo lo ha messo da parte.
Il Senato ha approvato l’Ordine del Giorno (n. G3.174 al DDL n. 1209) per consentire la nascita di altre società di intermediazione, raccolta e ripartizione dei compensi del diritto d’autore, impegnando il Governo affinché, tra l’altro, si modifichi l’assetto della SIAE, si garantisca una pluralità di operatori e una maggiore efficienza nella gestione dei diritti d’autore e si favorisca l’ampliamento del mercato delle società di gestione collettiva dei diritti d’autore.
In un mondo dove con internet si lavora, si accede ai servizi sanitari, si vive socialmente, si comunica e si esercitano le libertà civili, può diventare una pericolosa acrobazia giuridica adottare la “dottrina Sarkozy”: non a caso nella stessa patria del suo inventore, la semplice proposta iniziale dei “tre avvertimenti e sei fuori” è stata ampliamente rimarginata con una serie di garanzie costituzionalmente ineludibili. Così è stata istituita la “alta autorità per i diritti internet” assieme ai diritti di ricorso, all’immunità dei servizi internet primari. In altri termini l’efficacia della Dottrina S. è ancora tutta da dimostrare sul piano procedurale-giudiziario. Sul piano tecnico i dubbi sono ancora più ampi, essendo molto aleatorio il meccanismo di biunivocità delle assegnazioni degli indirizzi IP dinamici delle normali utenze adsl, che invece normalmente corrispondono a più utenti nell’ambito familiare o addirittura condominiale. Per non parlare delle tecniche di navigazione “stealth” come, a semplice titolo di esempio, il “onion routing” (es. TOR) o il “off-shore proxy”. Queste permettono tra l’altro il “p2p” completamente anonimo, e sono oggi utilizzate perlopiù dai dissidenti politici nei regimi in cui vige l’internet di stato. Domani forse lo saranno da moltitudini di ragazzini che avranno velocemente adottato le “contromisure” di moda, per la gioia delle organizzazioni criminali che potranno contare anche sull’effetto folla per rendere ancor più difficile il lavoro delle Forze di Polizia.
Non sarebbe infine sorprendente scoprire che un’amplissima parte del traffico “p2p” è generato negli uffici e spesso quelli meno dotati di personale tecnico addetto alla sicurezza internet e software adeguato, e quindi ad essere immaginariamente “tagliate fuori” potrebbero essere proprio le amministrazioni che tanto hanno speso per la connettività…
Il vero rischio in Italia è l’effetto di marginalizzazione del sistema paese digitale. Già oggi gli investimenti esteri nel mondo internet e nell’industria nazionale informatica e dei media digitali sono a zero. La giurisdizione italiana su internet è limitata, e non esiste server di stato che possa essere schierato alla frontiera. Qualsiasi tentativo repressivo basato su leggi speciali per internet sopprimerebbe definitivamente l’asfittica industria italiana in cui operano prevalentemente le giovani generazioni, esponendo definitivamente il paese alle vere leggi che funzionano su internet: quelle dei “big media” esteri che hanno l’innovazione, le risorse finanziarie, umane, tecnologiche e il supporto dei rispettivi sistemi-paese.
I termini “pirateria digitale” e “pirateria multimediale” utilizzati nel Decreto istitutivo del “Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale” (CPDM) denotano un limite di partenza nell’affrontare i veri temi in ballo: quali i veri settori coinvolti? Quali i veri comportamenti a rischio? Quali le future conseguenze per le giovani generazioni? Come ricordato di recente sul Corriere della Sera: “storicamente il riferimento normativo a cui si sono appellati i produttori di tecnologie utilizzate per copie non autorizzate era il caso Betamax. Quando la Sony nel 1975 lanciò il videoregistratore, le case cinematografiche, in particolare Universal e Disney chiesero di vietarne la vendita. Il caso arrivò nel 1984 alla Corte suprema la quale stabilì che una società non poteva essere ritenuta responsabile per aver creato una tecnologia. Nel sistema anglosassone basato sui precedenti questa decisione ha consentito a molte altre tecnologie, tra cui personal computer, masterizzatori e fotocopiatrici, di resistere agli attacchi dei proprietari dei contenuti”.
Dall’accezione comune potrebbero risultare ambiti molto eterogenei e difficilmente raccordabili in termini di previsioni normative, quali a titolo d’esempio:
a. la produzione e commercializzazione di materiale editoriale e audiovisivo contraffatto;
b. la diffusione attraverso il sistema del c.d. digitale terrestre DVB-T (a breve l’intera televisione nazionale) di contenuti in violazione delle norme sul diritto d’autore;
c. lo scambio tra privati di software o file in violazione dei termini contrattuali d’uso.
In tutti i casi applicabili, la rete Internet (con le sue specifiche piattaforme di protocollo come il “p2p” o “filesharing”) è semplicemente strumentale all’esercizio dell’attività illecita (“pirateria” nel lessico del legislatore) e talvolta non risulta nemmeno accessoria: infatti nel caso d’esempio del sistema DVB-T, per la stessa natura tecnica del mezzo, non è prevista nessuna integrazione neanche futura con la rete Internet , a fronte della possibile sussistenza dell’illecito utilizzo/diffusione di materiale che risulta comunque digitale e multimediale.
Uno dei principi irrinunciabili della rete che va sancito in via normativa ( e il Parlamento Europeo se ne è occupato) è quindi quello della neutralità della rete anche affinché l’opzione, da alcuni sostenuta, dell’intervento repressivo diretto sulla rete non sia la dannosa scorciatoia alternativa a rimedi più congrui e, magari, più di sistema.
È necessario affrontare distintamente ma in modo coordinato tematiche differenti quali:
a) la protezione del diritto d’autore e i limiti alla diffusione della cultura digitale che viene prodotta (soprattutto dalle nuove generazioni di autori) ;
b) i crescenti conflitti d’interesse tra autori ed editori a fronte di un contesto distributivo-editoriale internazionale sempre più concorrenziale ed il ruolo della SIAE, ancora principalmente improntato a modelli classici antecedenti l’era digitale;
c) la governance di Internet nel rispetto dei principi fondamentali della rete, che ne delimitano la funzione stessa di servizio universale, ancora non sufficientemente riconosciuta nell’ordinamento italiano e le sue nuove grandi evoluzioni che impattano/impatteranno profondamente sulla società, l’economia e la politica, quali ad esempio:
1. Il “Social networking” ( convergenza media/tv) con la connessa necessità di nuove politiche dei media (specialmente RAI) per esempio guardando già oltre il digitale terrestre, tecnologia ponte, già vecchia, in termini generazionali destinata per lo più alle generazioni più avanti con l’età.
Occorre ragionare subito e solo su contenuti per internet facendo in modo che in prospettiva RAI diventi un medium-internet, attuando lo switch-off verso internet cui sarebbe già oggi tenuta, in ragione del denaro pubblico che riceve.
Se sono stati investiti fiumi di denaro per la tecnologia-ponte perché non ci si decide ad investire per le nuove e future generazioni che già – come ci rivelano le statistiche – non guardano più la TV?
2. Il “Behavioural advertising” (Pubblicità basata sul comportamento degli utenti), punta dell’iceberg di tecnologie molto più pervasive (spionaggio/profilazione) su cui c’è poco controllo e su cui i governi hanno le armi spuntate (per esempio, il Garante per la Privacy non ha giurisdizione su internet).
Chi controlla? Iniziamo ad occuparcene in Italia, e perché no, in occasione del prossimo G8, in vista del quale il Governo potrebbe dar vita ad una commissione ad hoc composta ai più alti livelli tecnologici e scientifici per gettare le basi di un presidio di garanzia dei diritti fondamentali di internet di cui iniziare ad elaborare, come primo passo, una “carta” con rango di legge.
3. L’Internet delle cose (smart chips/RFID): cioè dall’ante-litteram dei telefonini tracciabili alla sorveglianza pervasiva e ubiqua, considerando che, tra pochi anni, tutti i nostri oggetti saranno collegati ad internet e saranno controllati da internet.
Lo svolgimento di attività illegali a mezzo delle rete internet è un fenomeno direttamente proporzionale alla diffusione e capillarità della stessa, ma non è certo rapportabile con un nesso di causa-effetto. La violazione del diritto d’autore su internet è una parte dell’illegalità digitale, assieme a tante altre fattispecie di illecito amministrativo o reato penale.
Qualsiasi azione di tutela legittima degli interessi e diritti degli autori ed editori, sconfina oggigiorno ampiamente nelle problematiche della “governance” (principi fondamentali della rete).
Come già avviene nelle altre nazioni del G8 e dei paesi più sviluppati, diviene fondamentale anche per l’Italia affrontare senza scorciatoie e nei modi opportuni i grandi temi legati alla società dell’informazione, della nuova cultura digitale e della rete internet.
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