ICT: l’inclusione digitale nell’ottica del servizio universale, ovvero abbattere i digital divides di natura geografica ma anche sociale

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di Luigi Prinzi 

Italia


ICT

Il presente articolo intende svolgere alcune considerazioni in merito all’evidenza, sulla base del significato e del contenuto dinamico che da sempre si è attribuito al concetto di servizio universale, ma anche all’opportunità in termini di vantaggi sociali ed economici, che siano ricomprese sotto l’egida del servizio universale le problematiche dell’inclusione digitale.

 

La politica da vari anni seguita in Europa sulla spinta dei governi e delle Autorità nazionali di regolamentazione per una costruzione di una società dell’informazione che si avvalga dei servizi a rete che l’ICT è in grado di fornire e che sono fondamentali per promuoverne la crescita economica, culturale ed occupazionale, riposa sul principio imperativo del soddisfacimento di esigenze della collettività e quindi di ogni cittadino di accesso alla rete, al di là di logiche di business, senza che sia, peraltro, disconosciuto il contributo di forze benefiche di mercato al conseguimento di obiettivi ambiziosi e sfidanti, ad esempio quelli enunciati nella Conferenza ministeriale di Riga del 2006.

Tali esigenze si configurano come un diritto preliminare del cittadino, il cui riconoscimento è condizione imprescindibile per la fruizione di ogni altro diritto fondamentale, e più precisamente come diritto di servizio universale, in considerazione del fatto che i servizi ICT nell’impostazione politica di cui sopra sono per definizione servizi essenziali e di massa, di talché coloro che non ne potessero fruire per le ragioni più varie, soffrirebbero di marginalizzazione sociale.

 

L’inclusione digitale si deve tradurre, non solo nell’accessibilità ai servizi della società dell’informazione, ma anche nell’abbattimento di tutte le barriere che ne costituiscono un oggettivo primario impedimento, ossia i cosiddetti Digital Divides, che non solo di natura geografica, ma anche sociale, come ad esempio quello determinato dall’invecchiamento demografico che consiste nel fenomeno di allargamento della fascia di anziani a basso reddito.

 

I Digital Divides sono quelle criticità che, da sempre, hanno originato l’imposizione per via governativa o regolamentare di obbligo di fornitura di servizio universale (USO, ossia Universal Service Obligation) in capo tipicamente all’operatore incumbent, a cominciare dall’accesso alla rete telefonica da postazione fissa.

Il perpetuarsi delle suddette barriere di separazione tra cittadini che accedono alla rete ed altri che ne sono esclusi nel contesto odierno d’offerta di servizi molto più avanzati di prima, impone, pertanto, che anche per questi ultimi scattino, secondo criteri e modalità che possono coincidere o no con quelli fissati per la rete telefonica, obblighi di fornitura universalistica di un paniere prefissato di servizi a prezzi abbordabili.

Si rileva, per contro, che la regolamentazione attuale delle reti e servizi di comunicazione elettronica non prevede alcuna tutela per l’utente, in ottica servizio universale, di fornitura di servizi on-line, del tipo ad esempio eGovernment, servizi di sanità elettronica, di eLearning, di commercio elettronico, di tGovernment e della messa a disposizione della connettività di rete necessaria.

Vi sono certo iniziative politiche che affrontano i problemi dell’inclusione digitale, come la i2010 che si pone come priorità a livello di Governo quella di colmare il divario digitale, ma si sa che in questi casi, trattandosi di adozione di misure intrinsecamente poco coese e scarsamente coordinate, i benefici per gli utenti tarderebbero a prodursi. 

Ciò significa l’indisponibilità di un quadro normativo forte ed incisivo, dal carattere impositivo circa l’erogazione di servizi essenziali, a prezzi sostenibili per l’utenza, in un futuro imminente in cui è grande il rischio, che, per effetto della diffusione crescente dell’accesso a Internet in banda larga e del numero delle transazioni sociali ed economiche on-line, si verifichi di fatto e sia pesantemente avvertita da strati della popolazione “l’esclusione dalle informazioni”.

 

Il fatto che ci si trovi in una grave situazione di vuoto normativo in questo settore, lo dimostra il fatto che il quadro normativo dell’USO (Universal Service Obligation) in campo europeo e nazionale è sostanzialmente ancorato al tradizionale POTS (Plain Old Telephone System), anche se il termine “accesso da postazione fissa” nella Direttiva comunitaria 2002/22/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 7 marzo 2002 (Direttiva servizio universale) tuttora vigente, lascerebbe aperto il campo alla fornitura del servizio telefonico su rete mobile o wireless (ad esempio con tecnica WLL), che, peraltro, di fatto, laddove è stata messa in atto, mai è stata assoggettata al regime dell’USO.

Perfino immutato è il set minimo di servizi previsto dalla Direttiva, tra cui un’unica connessione efficace a banda stretta ad Internet, al massimo a 56 kb/s (addirittura non oltre 28 kb/s nella regolamentazione britannica), men che meno una connessione ISDN, -con l’argomentazione che tale connessione si traduce in due collegamenti a 64 kb/s-,  che gli operatori notificati come erogatori del servizio universale sono tenuti a fornire all’utente.   

Ora l’attributo “efficace” per la connessione ad Internet utilizzato dalla Direttiva suddetta, mentre prima, in un contesto generalizzato di connessioni dial-up significava una cosa, in un ambiente di banda larga che tende a soppiantare oggi quello preesistente ne significa un’altra, in termini di bidirezionalità e di banda disponibile di almeno 1 o 2 Mb/s dalla centrale verso la sede d’utente per un accesso sufficientemente veloce ad Internet. 

Se tutti gli utenti chiedessero una nuova connessione “efficace” ad Internet a 56 kb/s o decidessero di mantenerla ancora per molto altro tempo, oltre che rischiare in prospettiva un’emarginazione sociale per l’esclusione da gran parte di servizi on-line fondamentali per la partecipazione alla vita culturale e civile dell’odierna civiltà, creerebbero delle criticità, sia all’evoluzione tecnologica di rete, che al mercato dei servizi su di essa, tenuto conto che tecnologia e mercato evolvono verso la larga banda e con le NGN verso la banda ultra-larga.

Non solo il tipo di connettività, ma anche gli altri servizi del set minimo di prestazioni da fornire ad ogni utente a prezzi abbordabili in base all’USO, appaiono, o datati, oppure insufficienti a coprire le esigenze ineludibili, tra cui ad esempio la mobilità, in fatto di comunicazione elettronica del cittadino.

Vero è comunque che l’art. 15 prevede che la Commissione proceda periodicamente (la prima volta ogni 2 anni e successivamente a cadenza triennale) al riesame del contenuto del servizio universale, al fine di modificarne o ridefinirne la portata, alla luce degli sviluppi sociali, economici e tecnologici, tenendo conto, tra l’altro, della mobilità e della velocità dei dati alla luce delle tecnologie prevalenti adottate dalla maggioranza degli abbonati, ma la procedura all’uopo predisposta appare assai conservativa in relazione all’assetto normativo dell’USO.

Secondo la suddetta procedura, fissata nell’allegato V  della direttiva “servizio universale”, condizione necessaria per la modifica della portata del servizio universale è che servizi che diventano accessibili alla grande maggioranza della popolazione, comportino il rischio dell’esclusione sociale di coloro che non possono permettersi di fruire di tali servizi.

Il secondo criterio si riferisce a condizioni generali di inadeguatezza del mercato che giustificherebbero l’intervento pubblico per l’imposizione della fornitura del servizio universale, nel caso in cui  la disponibilità e l’uso di determinati servizi implica per l’insieme dei consumatori un vantaggio generale netto tale da giustificare un intervento dell’amministrazione pubblica qualora tali servizi non siano forniti al pubblico secondo normali condizioni commerciali, e quindi forniti secondo prezzi non sostenibili per l’utente.

Quanto sopra dimostra che nell’articolato e nei consideranda della direttiva “servizio universale” esistono i germi di una linea evolutiva del concetto e dell’ambito del servizio universale.

 

Purtroppo essi non sono stati presi in considerazione dalla Commissione, visto che, né nella Review approvata il 13 novembre 2007 di cui alla comunicazione COM(2007) 698 def., né negli emendamenti della Review 2007 apportati dalla Commissione, l’assetto normativo dell’USO ed in particolare la rete di riferimento, che rimane ancora la RTG (Rete Telefonica Generale), la portata del servizio universale con il suo paniere minimo di servizi, e last but not least i suoi criteri di revisione di cui all’allegato V sono stati minimamente modificati.

Nel documento, infatti, COM(2007) 698, che riporta una proposta di modifiche della Commissione alla direttiva “servizio universale”, l’articolo 4 revisionato apporta una modifica tecnica alla formulazione del Servizio Universale, separando l’accesso dalla fornitura di servizi di comunicazione elettronica, ma ciò non pregiudica la portata del servizio universale, né la sua fornitura ai consumatori ed agli utenti finali.

Inoltre, a conferma del quadro normativo preesistente, si dice espressamente nella relazione introduttiva che la proposta non modifica il campo di applicazione o l’attuale nozione di Servizio Universale nell’Unione europea, che saranno oggetto di una consultazione specifica nel 2008. Ciò ai fini di un secondo riesame della portata dell’obbligo di servizio universale (USO).

Il primo riesame dell’USO nel 2005-2006 aveva concluso che non era necessario modificare  il contenuto dell’USO, in particolare riguardo ai servizi di banda larga e di telefonia mobile.

 

La comunicazione COM (2008) 572 def. del 25 settembre 2008 , svolge un secondo riesame nel solco di una verità assiomatica e cioè che la garanzia di un livello adeguato di fornitura del servizio universale è essenziale per realizzare una società dell’informazione aperta a tutti, come è proclamato nel testo d’introduzione del documento COM(2007) 698, ma il risultato è il medesimo del primo, come si dettaglia nel seguito.

Nel corso dell’analisi delle condizioni di sviluppo del mercato e della tecnologia basata sulla conduzione dei due test previsti dall’allegato V della direttiva “servizio universale” viene esaminata la possibilità di estendere l’ambito del SU ai servizi mobili ed alla larga banda (fissa e mobile), in relazione alla quale viene riconosciuto che il meccanismo del servizio universale può dare un contributo decisivo all’attuazione di una politica sistematica e razionale di messa a disposizione di tutti di una connessione alla rete di velocità corrispondentemente elevata. 

I servizi di comunicazione mobile, in base al 1° test dovrebbero essere inclusi nel SU, in quanto la diffusione di detti servizi presso l’utenza è ormai universale, con effetti di sostituzione della postazione fissa con il cellulare sempre più massicci, ma ad escluderli da tale ambito sarebbe, secondo la Commissione, il risultato del 2° test, secondo il quale il consumatore europeo può acquistare, in media, un paniere di servizi mobili di base ad un prezzo inferiore (13,69 ) rispetto al costo dell’abbonamento mensile ad una linea fissa (14,90 ).

Per inciso si rileva in questo articolo che il risultato del confronto sopra tra prezzi fisso e mobile è sorprendente e che in ogni caso non deriverebbe da una conduzione convincente del test, che richiede, invece, il confronto tra i benefici derivanti all’utenza dall’erogazione di uno stesso servizio in presenza o meno di un USO.

Nella Comunicazione viene dimostrato soltanto che, fissato un determinato paniere di prestazioni mobili basilari, irrinunciabili per il consumatore, che non vengono però indicati, la loro fruizione avviene a prezzi più bassi che non quella di altrettanto essenziali servizi su rete fissa.

Peraltro si deve convenire che si tratta di un criterio di non facile applicazione, data anche la sua formulazione involuta, che andrebbe perciò cambiata. 

Stessa sorte di esclusione per i servizi a larga banda, sebbene le percentuali medie di recente rilevazione variabili dal 36% al 42% dei nuclei familiari dotati di accesso alla banda larga fissa, a seconda che venga esclusa o meno dalla statistica la popolazione oltre 75 anni, in netta crescita rispetto agli anni precedenti, al contrario delle connessioni in banda stretta progressivamente in calo, dimostrino che ci si avvicina rapidamente al momento in cui la penetrazione della larga banda interesserà la maggioranza delle famiglie. 

Nella comunicazione in esame si ammette, conseguentemente, che a breve termine la banda stretta non risponderà più all’esigenza di consentire un accesso efficace ad Internet, come previsto dall’art. 4, paragrafo 2, della direttiva.

Si valuta ivi anche che la definizione di accesso efficace dovrebbe avere un’interpretazione più dinamica e neutrale sotto il profilo tecnologico, se non addirittura richiedere una modificazione della legislazione esistente, e che la stessa nozione di accesso dovrebbe comprendere la connettività dell’utente a reti Wi-Fi.

Il fatto è che, nonostante i rilievi espressi sull’inadeguatezza dell’impianto normativo attuale dell’USO e le risultanze dei test proiettate nell’immediato futuro, che indurrebbero ad estendere l’ambito dell’US ai servizi mobili ed alla larga banda ed in ogni caso ad apportare modifiche al suo concetto, alla sua portata ed al meccanismo della loro revisione, la Commissione ne rinvia la revisione, decidendo di sottoporre a pubblico dibattito il suo documento e di pubblicare a metà 2009 una Comunicazione che costituirà una sintesi dei contributi ricevuti. 

Infine, tornando alla revisione in atto del quadro normativo comunitario, nel passo successivo dell’iter procedurale che precede l’approvazione del nuovo pacchetto, -prevista per il periodo 21-24 aprile 2009-, quello in cui il Parlamento europeo si è pronunciato sugli emendamenti apportati dalla Commissione stessa alla proposta della direttiva “servizio universale” e della direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali, come riportato nella Comunicazione COM(2008)723  del 6 novembre 2008, la situazione è rimasta pressocché immutata per quanto riguarda la disciplina del servizio universale.

Pertanto sarà decretata la sopravvivenza di vetuste norme del servizio universale, al momento dell’entrata in vigore del nuovo pacchetto (2010), per tutto il suo periodo di validità, di durata pari presumibilmente ad un bel numero di anni, a meno che, secondo quanto previsto dal documento summenzionato COM(2008) 572 def. del 25 settembre 2008,  nel 2010, a seguito della consultazione pubblica, non vengano avanzate proposte concrete, se non necessarie, per aggiornare la direttiva “servizio universale”, come recita il testo.

Le uniche modifiche quindi alla direttiva “servizio universale” nella parte che regolamenta l’USO, che saranno riportate nel suo testo definitivamente approvato, riguardano essenzialmente i diritti degli utenti disabili per i quali, ad esempio, un emendamento nella revisione del Parlamento, stabilisce il nuovo obbligo che incombe sugli Stati membri, ovvero “favorire la disponibilità di adeguate apparecchiature terminali”, introdotto dall’articolo 7, paragrafo 2, che si traduce nel considerando 4 ter (nuovo) della nuova direttiva:

È opportuno che gli Stati membri introducano misure per far sì che gli utenti finali disabili possano scegliere tra la gamma di imprese e fornitori di servizi a disposizione della maggior parte degli utenti finali e per favorire la disponibilità di adeguate apparecchiature terminali. Tali misure possono includere, ad esempio un riferimento a norme europee, introducendo criteri in materia di accessibilità elettronica (eAccessibility) nelle procedure per gli appalti pubblici e nei bandi di gara relativi alla prestazione di servizi e dando attuazione alla legislazione a tutela dei diritti delle persone disabili.

Un altro emendamento volto a garantire un accesso equivalente agli utenti disabili si traduce nell’art. 31 bis (nuovo) della direttiva 2002/22/CE, ossia:

Gli Stati membri provvedono affinché le autorità nazionali di regolamentazione possano imporre alle imprese che forniscono servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico idonei obblighi per far sì che, in modo organico e sostenibile, gli utenti finali disabili:

a) abbiano accesso e servizi di comunicazione elettronica equivalenti a quelli di cui dispongono la maggioranza degli utenti finali; e b) possano usufruire della scelta di imprese e servizi a disposizione della maggior parte degli utenti finali.

 

Passando all’esperienza britannica in tema di servizio universale, c’è da dire subito che anche nel Regno Unito, il Regolatore, ossia Ofcom, non se l’è sentita di cambiare il vecchio impianto normativo nel suo più recente statement sull’USO, che è del 2006 e tuttora in vigore, salvo procedere in questo documento ad una rimodulazione od innovazione di schemi tariffari del tipo LUS (Low User Scheme).

In sostanza Ofcom è rimasto fedele alla sua concezione di servizio universale quale safety net for vulnerable consumers, che è da considerare piuttosto riduttiva, per il fatto, ad esempio, di non comprendere il Digital Divide nel campo dell’accesso alla rete telefonica da postazione fissa, il cui superamento resta a carico dell’operatore notificato come erogatore del servizio universale (BT), in tutti i casi in cui la richiesta di un utente qualsiasi, -ovviamente anche se, per sua fortuna, non vulnerable- di connessione  alla rete sia ragionevole5 (reasonable request)6.

Il concetto di servizio universale è  ribadito nel suo documento deliberativo Strategic Review of Telecommunications del settembre 2005, la cui prossima revisione avrà luogo non prima dei successivi 5 anni.

Nel suddetto documento, Ofcom, premesso che per quanto riguarda l’aggiornamento dell’ambito del servizio universale, sussistono due vincoli alla sua azione:

  • è il Segretario di Stato competente a pronunciarsi in merito ad esso.

  • la Direttiva comunitario costituisce il quadro di riferimento, considera che non sia ancora convincente il caso di estendere l’USO al broadband, non essendosi ancora il mercato relativo, sviluppato presso l’utenza in maniera così elevata, da garantire che all’inclusione del broadband nel servizio universale si accompagni efficienza economica ed equità.

 

Per quanto riguarda la copertura, fa presente che già nel 2005 sarebbe stato raggiunta la percentuale di connessioni DSL del 99,4% dell’intera popolazione ad opera di BT e che nelle zone di Digital Divide a colmare tale divario ci avrebbero pensato i programmi infrastrutturali messi in atto dal settore pubblico.

Tutto ciò premesso, conclude con forza il Regolatore, sebbene molti utenti a basso reddito abbiano difficoltà a permettersi servizi a larga banda, tale situazione non genera, allo stato attuale, un’esclusione sociale di livello tale da richiedere l’introduzione di misure di servizio universale atte ad affrontare una problematica che riguarda l’abbordabilità. 

Anche per quel che riguarda i servizi mobili la conclusione di Ofcom circa la loro possibile inclusione nell’ambito dell’USO è decisamente negativa, dal momento che, in termini di abbordabilità, sul mercato del mobile nel Regno Unito sarebbero già da tempo disponibili per il prepagato schemi tariffari rivolti ad utenti a basso reddito.

 

La realizzazione della società dell’informazione, ossia di un modello di società in cui l’accesso alle informazioni sia un diritto garantito a tutti i cittadini, attraverso la loro integrazione al mondo dell’ICT, senza che perdurino sperequazioni, quale che ne sia la causa, vede il proliferare di iniziative nel settore pubblico e privato volte al raggiungimento di obiettivi ambiziosi ma anche sfidanti, prive per loro natura del necessario coordinamento, e quindi frammentate, non sinergiche, mancando una cornice normativa unitaria.

C’è anche da considerare il problema della sostenibilità economica per gli utenti dei servizi ICT, la cui fornitura richiede investimenti infrastrutturali ed in ogni caso l’impegno di risorse economiche ingenti.

Tutte queste problematiche possono essere affrontate in modo unitario ed efficace introducendo nella misura più ampia possibile nell’intero settore delle comunicazioni elettroniche l’istituto dell’USO, ossia dell’obbligo di fornitura di servizi ICT essenziali a prezzi abbordabili, ma che non producano effetti distorsivi sul mercato, in capo ad operatori designati.

La nozione di Servizio universale ben si presta per l’estensione della sua portata, avendo nel suo DNA, fin dalla sua istituzione, il potenziale per una sua evoluzione.

C’è da registrare, tuttavia, che questo suo contenuto dinamico non ha finora avuto modo di sprigionarsi, essendo la legislazione vigente in ambito comunitario e quindi anche nazionale rimasta ancorata ai servizi in banda stretta del POTS.

Un ulteriore freno all’adeguamento della nozione del servizio universale alle nuove tecnologie e relativi servizi del nostro tempo, è il suo meccanismo di revisione stabilito il 7 marzo 2002 dalla Commissione, che è stato esaminato più sopra, e che, per un verso o l’altro, in sede di applicazione nega ogni apertura a detta nozione.

Basti sottolineare a tale proposito come sia ragionevole pensare che in un contesto certamente concorrenziale di messa a disposizione sul mercato di connettività a larga banda, fissa o mobile e di comunicazioni mobili, ad una sempre maggiore diffusione dei corrispondenti servizi presso l’utenza si accompagnino condizioni economiche che tendono ad essere sostenibili dal singolo utente, ossia “normali”, secondo il termine adoperato nell’allegato V alla direttiva “servizio universale”.

E’ evidente allora che servizi tra quelli citati sopra di cui fruisca la maggioranza dei nuclei familiari supererebbero il primo test, ma non il secondo previsto nell’allegato V.

Viceversa altri servizi con tassi di penetrazione non elevati e quindi ancora troppo costosi per l’utente, non supererebbero il primo test, ma non il secondo test, se potessero essere sottoposti ad esso.   

Sarebbe quindi opportuno cambiare il meccanismo di revisione della portata del servizio universale.

Inoltre un’altra criticità del meccanismo attuale, è nella sua applicazione in sede di valutazione se includere o meno un servizio tra quelli assoggettati al regime di servizio universale. 

Infatti il primo test viene condotto dalla Commissione con la tecnica del bilancino, giocando sul significato numerico di maggioranza, trascurando il fatto che occorrerebbe non solo basarsi su statistiche di penetrazione di un servizio, quale ad esempio la larga banda fissa, necessariamente cristallizzate e non completamente affidabili,  ma anticipare nell’analisi gli effetti di rischio di esclusione sociali del trend piuttosto sostenuto della diffusione presso l’utenza.

Il secondo test è di difficile applicazione, risultando tra l’altro la sua formulazione piuttosto involuta e non individuabile il discrimine tra normali condizioni commerciali e pratiche tariffarie insostenibili per l’utenza.

Sarebbe il caso che la Commissione almeno provveda ad emanare una Raccomandazione che fornisca i necessari strumenti di orientamento nella conduzione della revisione da parte di ogni Autorità nazionale di regolamentazione. Ma non ci sono indicazioni che questo possa avvenire.         

Ancora più scoraggiante e ben più grave è il dato di fatto che il trend evolutivo della normativa del servizio universale dimostri che ancora per molti anni, tenuto conto del necessariamente suo lungo processo implementativo, l’aggiornamento della portata del servizio universale e del suo contenuto sia destinato a rimanere lettera morta. 

 

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