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Pirateria online: 250 mila posti di lavoro a rischio. La ricerca Fapav-Ipsos svela i danni per cinema e pubblico

Italia


La pirateria online di film e opere audiovisive, più in generale multimediale, è un fenomeno che preoccupa per dimensioni e giro di affari, tanto da spingere in modo sempre più forte i governi di tutta Europa nella ricerca di quelle soluzioni il più possibile condivisibili e dagli effetti immediati. Anche nel nostro Paese i dati parlano chiaro: la criminalità multimediale ha registrato un fatturato nel 2008 pari a 332 milioni di euro. Cifre enormi che non lasciano spazio a dubbi o ad analisi superficiali, soprattutto se si riflette che il rischio non è solo di natura economica, con la sottrazione all’industria cinematografica di ben 530 milioni di euro, perché investe direttamente il mondo del lavoro con 250 mila posti a rischio in pochi anni.

 

Un panorama critico che è stato dettagliatamente mostrato dalla prima ricerca dell’Industria audiovisiva sulla pirateria cinematografica in Italia, presentata ieri alla Casa del Cinema di Roma dalla FAPAV ( la Federazione Antipirateria Audiovisiva ) in collaborazione con IPSOS ASI, dal titolo “La mia libert@ finisce dove inizia quella degli altri“, che è anche un monito per tutti quegli utenti del web che vedono nelle pratiche illecite dello scambio di file e quindi di film, un comportamento non sanzionabile in nome della libertà di accesso ad un determinato bene e al suo libero consumo. Scopo dell’indagine è stato quello di aprire un tavolo di discussione parallelo a quello delle Istituzioni, giudicate da molti lente e poco incisive nella risoluzione del problema: “…Con questa ricerca – ha affermato il Presidente di FAPAV, Filippo Roviglioni – abbiamo voluto dare un contributo concreto alla lotta contro la pirateria cinematografica, a partire da dati obiettivi che rendono in modo inequivocabile il livello di incisività di queste pratiche criminali sul mercato cinematografico“.

 

In tutta Europa, ma in modo particolare in Italia come visto, il download di contenuti illeciti altrimenti protetti da copyright è una consuetudine condivisa e accettata dalla maggioranza degli utenti della rete, on-line e off-line. Il 32% del campione intervistato ha fruito di copie pirata durante l’ultimo anno e per ogni individuo si contano 21 titoli consumati in modo illecito, per un totale di 355 milioni di visioni. Ovviamente a tale risultato hanno contribuito diversi fattori, tra cui una legislazione evidentemente troppo debole, una maggiore disponibilità di dispostivi elettronici multimediali, la diffusione progressiva della banda larga e dei software per il Peer-to-Peer (P2P). Questi sono solo alcuni dei fattori che hanno incentivato comportamenti illeciti soprattutto tra i ragazzi e gli adulti (fasce di età comprese tra i 15-24 e 25-35 anni) e sui quali si chiede un intervento concreto da parte delle Istituzioni a tutela dell’intera industria dell’audiovisivo.

 

In Italia esiste una legge disattesa per la quale il download illegale è un crimine, penalmente sanzionabile“, ha continuato Roviglioni. “Oggi non abbiamo più a che fare con gli street vendor, o più comunemente conosciuti come ‘Vù cumprà’, fisicamente individuabili e perseguibili, bensì con persone che si muovono in rete, nascoste tra le mille pieghe del web, quasi impossibili da raggiungere e che le leggi sulla privacy garantiscono da ogni tipo di intervento punitivo“. “E’ per questo – ha concluso Roviglioni – che anche gli Internet Service Provider e le telecom devono dare il loro contributo, partecipando in prima persona alle future strategie di intervento sulla criminalità audiovisiva, proprio a partire dal tavolo tecnico istituito dal Governo sulla pirateria cinematografica e digitale, un primo segnale positivo di volontà effettiva di intervenire concretamente su un tema davvero delicato e che, come abbiamo visto, ha già seriamente danneggiato l’intera filiera“.

 

I numeri dell’indagine

 

Ad illustrare i numeri del mercato illegale dell’audiovisivo è intervenuto Nando Pagnoncelli di IPSOS, partendo dalla metodologia utilizzata nella determinazione del fenomeno che ha visto due distinte fasi di indagine: una quantitativa e un’altra di natura qualitativa. La prima, relativa alla strutturazione del campione, composto da 2031 individui adulti da 15 anni in su, ha permesso di studiare la pirateria in base alla distinzione in pirateria fisica (DVD acquisitati e contraffatti da privati), digitale (frutto di attività di download, streaming, P2P, e digital copy) e indiretta (prestito di DVD o visione di copie non ufficiali). Ciò che è emerso con chiarezza è che il 32% del campione intervistato negli ultimi 12 mesi è entrato in contatto con una di queste forme di pirateria: quella fisica per il 17% dei casi, la digitale per il 21% e per il 24% con quella indiretta.

Rispetto all’ultimo anno – ha spiegato Pagnoncelli – si è registrato una forte diminuzione dell’acquisto di DVD pirata del 23% circa e parimenti un incremento della fruizione illegale via streaming del 7%. Mediamente la forma di pirateria che va per la maggiore è il P2P, nel senso che genera il maggior numero di titoli piratati, con un 12,6%“.

 

Un danno davvero enorme che, considerando il numero medio di copie e il numero di pirati sul totale della popolazione di riferimento, arriva alla cifra incredibile di 355 milioni di titoli piratati. Le conseguenze dirette sulla filiera dell’industria dell’audiovisivo sono riscontrabili in una perdita netta di biglietti al cinema pari a 28,8 milioni di spettatori, mentre per l’home-video si calcolano 52 milioni di copie perse, per un mancato incasso complessivo di 537 milioni di euro.

 

Ma chi sono i pirati?

 

Cercare di capire chi è il pirata medio non è semplice, perché individui che più o meno assiduamente scaricano dalla rete materiale illegale si rintracciano in diverse fasce di età e classi sociali. Un dato accomuna tutti gli intervistati però: il 60% è consapevole che la pirateria è un reato penale e il 70% di essi sarebbe anche disposto, se gli si presentasse un’offerta  accessibile, a fruire di contenuti in modo legale. La confusione legislativa, la penetrazione unita all’alta disponibilità di dispositivi tecnologici avanzati e la diffusione della pratica dello scarico, ormai vista come consuetudine accettata da ‘tutti’, sono il terreno su cui fermenta l’illegalità digitale, ormai senza sostanziali differenze di sesso, di residenza geografica o di classe sociale. Unica discriminante di una certa consistenza è la variabile dell’età, con una maggiore incidenza della pirateria tra i giovanissimi e i giovani tra i 15 e i 35 anni. Come ha affermato Federico Galimberti di IPSOS ASI: “…Ciò che è balzato alla nostra attenzione è una diffusa percezione della pirateria, da parte del campione, come fenomeno semplicemente de-criminalizzato, proprio perché condiviso nella pratica e nelle finalità di intrattenimento da una grossa fetta degli utenti della rete. Fatto sconcertante questo, da cui ne consegue una trasformazione culturale in senso consumistico, su cui bisogna riflettere in modo approfondito, dove il film tende a perdere il suo valore simbolico e la sala cinematografica la sua funzione rituale, a favore invece di un consumo quantitativo, individuale e privo di giudizio critico“.

 

Nessun però, durante la presentazione della ricerca, si è chiesto perché la pirateria sta dilagando sulla rete e tramite i canali off-line della criminalità digitale indiretta. Una domanda tutt’altro che ingiustificata, visto il danno che tali pratiche causano all’intera filiera dell’industria cinematografica. Gran parte degli interventi hanno centrato l’attenzione sul ruolo delle nuove tecnologie e sulle conseguenze a breve termine che la fruizione illegale dei prodotti cinematografici e più in generale audiovisivi determinerà a livello economico, sociale e soprattutto culturale. L’industria culturale deve rappresentare per il nostro Paese un’opportunità irrinunciabile e per questo va protetta con tutti gli strumenti del caso, ma allora bisogna anche dare ascolto alle tante voci di critica e di dissenso che da diverse parti, compreso il web, si alzano contro prodotti di consumo di bassa o bassissima qualità che il circuito cinematografico vede sfornare ogni anno. L’illegalità è reato, la pirateria cinematografica genera consumismo e distrugge cultura, ma gli stessi film da ‘botteghino‘, anche detti ‘blockbuster‘, non si possono certo considerare un ottimo esempio di produzione culturale o esempi di ‘cinema di qualità’. La distribuzione mainstream nelle sale e una scarsa diversificazione dei titoli cinematografici sono in molti casi motivo di download dalla rete di tanti film, che poi spesso vengono anche acquistati on-line dopo la visione pirata. Cosa dovrebbe fare un ragazzo che abita in provincia e che nel cinema più vicino a casa sua vede metà delle sale disponibili occupate da film di scarsa qualità? Anche questa domanda merita una risposta.

 

Le proposte del Governo

 

Proprio sulla totale mancanza di percezione del crimine e della gravità della sua reiterazione è intervenuto a nome del Governo Paolo Romani, sottosegretario allo Sviluppo Economico con delega alle Comunicazioni: “…In Italia abbiamo una banda larga che è al 18% e una diffusione del Pc che si attesta al 45% circa. Questo vuol dire che se, com’è nelle intenzioni del Governo, tali numeri saranno destinati a crescere e anche velocemente per contrastare il digital divide, saremo costretti a fare i conti con un fenomeno pirateria sempre più difficilmente controllabile e dalle gravi conseguenze. È per questo che già da oggi siamo alla ricerca di quegli strumenti e di quelle pratiche che in qualche modo siano in grado di arginare il fenomeno criminale. Anche in sede Europea ci si sta muovendo, in una ricerca di larghe intese atte alla realizzazione di una direttiva sulla criminalità audiovisiva da tutti condivisa“. “Il diritto di accesso a Internet – ha concluso Romani – deve essere garantito certamente, ma rimane il fatto che il download illegale è un crimine e non esiste nessuna giustificazione o cavillo legale che ne assecondi la pratica. I numeri della ricerca condotta da FAPAV e IPSOS ASI ne testimoniano la gravità, mostrandone gli enormi danni su tutta la filiera. Anche in Europa ci stiamo dando da fare, grazie a una Viviane Reding molto impegnata sul fronte della pirateria digitale, guardando con particolare attenzione al Parlamento francese che ha in discussione il meccanismo del warning, cioè dell’avviso che appare sul pc con cui si evidenzia che si sta commettendo un illecito, a cui poi potrebbe seguire anche la successiva disconnessione forzata“.

 

Non solo un intervento legislativo è necessario però, ha sottolineato Gaetano Blandini, Direttore Generale Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ma anche e soprattutto una strategia mirata alla persuasione e che implichi un cambio di rotta dal punto di vista dei comportamenti e delle abitudini consolidate in famiglia, sul lavoro e in società. A riguardo Blandini ha annunciato che presto chiederà alla Presidenza del Consiglio e al Dipartimento della Funzione pubblica una direttiva che obblighi tutte le amministrazioni pubbliche a inserire filtri che impediscano ai propri dipendenti di scaricare i film durante l’orario di lavoro “…Una delle realtà davvero sbalorditive che emerge da questa, come da altre indagini, è che le pratiche e le attività di scarico illegali sono diffusissime non solo sui pc degli adolescenti, ma anche all’interno delle strutture pubbliche, tra persone adulte. Sono gli stessi dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni centrali e locali, infatti, a fare il download di contenuti audiovideo, dagli uffici stessi in cui prestano servizio al cittadino e durante l’orario di lavoro“. Blandini ha quindi proposto tre possibili obiettivi da perseguire, suggerendo al comitato tecnico contro la pirateria digitale, insediato presso la Presidenza del Consiglio lo scorso anno, di: “… Pianificare interventi mirati a realizzare piani educativi a livello scolastico e familiare, attraverso campagne ad hoc a cui prendano parte rappresentanti del Governo, ma anche attori, registi e personaggi del mondo dello spettacolo; utilizzare l’arma del warning educativo, senza negare il diritto di accesso alla rete; pensare a soluzioni e sanzioni anche repressive, ma solo per i casi più estremi e come ultima razio, cercando sempre l’equilibrio tra diritti e doveri del cittadino, che oggi è anche utente di contenuti e servizi sul web“.

 

I dubbi dal mondo del cinema

 

Per il mondo del cinema non sono mancati gli interventi dei protagonisti del grande schermo e un gran numero di registi e produttori presenti in sala hanno voluto dare un loro contributo alla discussione sulla sfida della pirateria. Un problema che pone effettivamente degli interrogativi seri, tra cui quello delle sanzioni penali o della possibile strada repressiva da alcuni non invocata direttamente, ma sicuramente auspicata. Per il regista Paolo Virzì, ad esempio, che ha chiamato in causa gli Internet Provider Telecom, Infostrada e Fastweb, non è possibile pensare di ‘arrestare‘ un ragazzo di 16 o 18 anni, anche se colto nell’atto di scaricare illegalmente un film dalla rete. Virzì ha infatti affermato che: “… Internet è il futuro del mercato dell’audiovisivo e le pratiche di download ne sono parte integrante. Ciò che si può fare è contrapporre alla pirateria e alle sue dinamiche di illegalità e criminalità diffuse un’offerta di pari impatto ma totalmente legale. È solo così che si batte il criminale, offrendo un’alternativa altrettanto accattivante, a prezzi contenuti, di alta qualità e che inviti l’utente ad abbandonare l’illegalità. Su questo punto invito seriamente i produttori e i distributori a trovare un’intesa e una strategia comune, anche assieme agli ISP, a coloro che in definitiva gestiscono la rete da cui questo universo di illegalità trae i maggiori benefici. Perché è su queste entrate che nasce il dilemma e sono questi benefici che andrebbero recuperati e condivisi tra tutti i soggetti, permettendoci così anche di trovare ulteriori risorse da investire nel settore“.

 

In qualche modo è sembrato d’accordo anche Riccardo Tozzi dell’ANICA, quando ha affermato che: “…Il web è evidentemente il mercato del terzo millennio e i beni protetti da copyright ne sono le merci più importanti. Parlare di pirati e criminali è giusto, ma bisogna anche guardare a queste persone come a degli utenti che sbagliano, potenzialmente recuperabili e su cui il mercato deve poter contare. In ultima analisi ciò che serve è la certezza delle regole, come anche in altri settori, perché solo così si può pensare di riuscire a dominare il fenomeno pirateria e di riappropriarsi di tutte quelle risorse che abbiamo visto essere state sottratte illegalmente“. Una sottrazione che non è solo quantificabile in denari, ha giustamente sottolineato Davide Rossi di Univideo, ma che va considerata assolutamente anche in termini di perdita di creatività e di cultura cinematografica: “… Risorse intellettuali di cui il nostro Paese ha da sempre fatto sfoggio e che ora vede indebolirsi a causa di un comportamento da troppo tempo lasciato impunito e non considerato nella sua giusta dimensione di illegalità“.

 

Un’ultima battuta, proprio nella fasi finali dell’appuntamento organizzato da FAPAV e IPSOS ASI, è stata lasciata al popolare regista Enrico Vanzina, per il quale: “…Il tempo di sfruttamento di un prodotto cinematografico è ormai troppo lungo e le riflessioni di cui oggi abbiamo fatto tesoro ci indicano una sola strada da percorrere e cioè la riduzione progressiva delle finestre tra una piattaforma di fruizione e le altre. I passaggi tra le prime visioni al cinema e i canali dell’home video, delle Pay TV, della televisione generalista e del web devono ridursi nei tempo di attesa. Si deve sostanzialmente dare la possibilità, pagando, di fruire il prodotto come meglio si crede. Solo così si può contrastare efficacemente e nell’immediato la criminalità audiovisiva  e le tante, troppe forme di illegalità che proliferano in rete“.

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