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Riportiamo di seguito la replica di Giandomenico Celata, docente di Economia dei Media e Direttore Scientifico del Multimedia Lab-Cattid dell’Università La Sapienza di Roma, a quanto dichiarato da Enzo Mazza, presidente Fimi, nell’articolo pubblicato da Key4biz: Pirateria: dibattito aperto. Enzo Mazza (Fimi) replica a Giandomenico Celata , ‘I nostri numeri precisi su fonti attendibili’.
Sulla pirateria fisica: la replica fraudolenta di musica su supporti fisici, spesso appoggiata su racket e sullo sfruttamento di una catena distributiva illegale, è un reato gravissimo e va pesantemente colpito. Ovviamente rivela una asimmetria tra prezzi di mercato e ciò che certe fasce di reddito e sociali pensano che sia giusta spendere. Ma questo è un altro discorso che riguarda l’approccio al mercato dell’industria discografica, la capillarità della sua struttura distributiva e la dimensione dei costi a cominciare da quella dei diritti e del loro periodo di valenza. La mia opinione è che il diritto d’autore, degli interpreti e degli esecutori è sacrosanto e alla base dell’industria dei contenuti e della creatività; ma quanto più tende a diventare una rendita di posizione, un latifondo, che pagano l’industria e i consumatori, tanto meno verrà considerato accettabile.
Sul p2p: ipotizzare che chi non ha BB, e nella percentuale del 25%, scarichi 1300 file/PC è molto coraggioso, quasi impavido. Si converrà che la fonte (FPM, federazione contro la pirateria musicale 2007) è perlomeno sospetta anche se in buona fede come tutti i fondamentalisti. Difatti, il risultato che ne viene fuori è stratosferico: ipotizzare che senza il cosiddetto black digital market il valore del mercato sell in più che raddoppierebbe è fuori della realtà del mercato della musica, dei media in genere, dei consumi della famiglia italiana secondo la composizione del paniere ISTAT e del ciclo economico italiano. A quanto mi risulta neppure la Recording Industry Association of America, organizzazione più che agguerrita (anzi quasi armata) contro la pirateria, ha osato queste percentuali.
Tutto ciò detto non posso che confermare tutti i miei numeri che, ripeto, non considerano l’effetto promozione del p2p, valutato e misurato da modelli econometrici molti accurati che, secondo alcuni autori (Boorstin e Liebowitz), pareggia l’effetto sostituzione. Se si assumessero questi contributi scientifici, la Commissione antipirateria per la parte on line potrebbe anche non iniziare i propri lavori.
Aggiungo che secondo osservazioni verificabili il consumo di Internet si sta stabilizzando se non diminuendo (ho letto da qualche parte, credo su Screen Digest, che negli USA sta già avvenendo) e si sta decisamente spostando dal p2p ai social network. Quindi, la bolla del p2p si sta sgonfiando così come si è sgonfiata quella dei CD (sia legali che illegali) creata dalla sostituzione delle library in cassetta (ormai completata), dai collaterali di giornali e periodici (in caduta libera) e della saturazione degli spazi nelle case. Tutti elementi, assieme alla nuove modalità di consumo MP3, che FIMI non può non considerare in una stima di mercato. Si è in presenza di un fenomeno complesso e in evoluzione rapidissima. Qualche grande impresa ha già preso decisioni nette al riguardo.
Condivido con il dr.
La prima: il mercato on line ad oggi non è in grado di compensare il calo del prodotto fisico. Verissimo, ma del fatturato sell in alla casa discografica arriva solo il 30%. Sul rimanente 70% la quota distribuzione (circa il 25%) viene abbattuta dall’on line e sul cospicuo resto (45% che si distribuisce tra produttore industriale, produttore dell’artista, compositore ed editore musicale, artista) ci sarebbe molto da lavorare, come FIMI sa molto meglio di un semplice prof universitario.
La seconda: la musica anticipa e precorre i cambiamenti che investiranno tutto il settore media. Verissimo, lo ripeto ossessivamente nel mio corso, per quel che conta. Iniziò tutto con Mozart che inventò la commercializzazione della musica facendo distribuire i suoi spartiti da un editore parigino. Meno vero che gli altri media non abbiano competitori devastanti: basta chiedere agli editori di giornali e periodici in preda ad una violenta crisi di vendite e della pubblicità e alla Televisione Commerciale e alle Telcoms costrette a cambiare in corsa modello di business.
Infine una curiosità. Perché se IULM afferma in una pregevolissima e attenta ricerca, probabilmente sponsorizzata da FIMI e comunque pubblicata sul suo sito, che “quello della musica è oggi in Italia un mercato molto vivo e in evoluzione” va bene, se lo dice un prof di Sapienza Università di Roma è inesatto?
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