Italia
Riportiamo di seguito la replica di Enzo Mazza , presidente di FIMI, a quanto dichiarato da Giandomenico Celata nell’intervista rilasciata a Key4biz (Pirateria: la musica non è affatto in crisi, bisogna però colmare il gap della banda larga. Intervista a Giandomenico Celata). Intendiamo così facendo dar voce alle parti coinvolte nel dibattito aperto dal Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale coordinato da Mauro Masi.
Discutere e decidere i giusti provvedimenti per arginare questo drammatico fenomeno, non è un’impresa da poco. Troviamo giusto che ci sia il contributo di tutti e daremo spazio a chiunque intenda apportare la propria esperienza a questo confronto.
Nell’analisi del recente intervento di FIMI nel corso dell’audizione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Professore Giandomenico Celata evidenzierebbe alcune incongruenze se non addirittura macroscopici errori matematici nelle statistiche portate a supporto dalla federazione.
Ritengo tuttavia che il Professor Celata sia incorso in un equivoco relativo alle fonti utilizzate per quantificare il livello di pirateria digitale da parte di FIMI.
Secondo Celata nella relazione di FIMI: “c’è qualcosa nei numeri che non quadra”. E più avanti : “Intanto il numero di chi utilizza il p2p. Se le famiglie italiane con larga banda sono circa 5,5 milioni e di queste la FIMI stima che il 25% usa il p2p il risultato fa 1,3 milioni di famiglie e non 6 milioni come scrive la FIMI.”
I dati di FIMI nella realtà, e come ben evidenziato nella relazione e nelle slide, non si riferiscono al campione famiglie broadband, ma all’intero universo degli utilizzatori di internet basati su dati 2007 (fonte:AC Nielsen, Osservatorio Contenuti Digitali) che sono stati quantificati in 26,6 milioni, dei quali il 23% utilizza sistemi p2p: ovvero sei milioni come puntualmente evidenziato da FIMI.
Il professor Celata cita invece il totale delle famiglie italiane con broadband (fonte Eurostat) che sarebbero 5,5 milioni attribuendo a FIMI un errore di calcolo che in realtà come si è visto non è avvenuto in quanto l’universo campionario utilizzato e di tutt’altra rilevanza. FIMI cita il dato famiglie con BB solo per evidenziare il digital divide che ritarderebbe l’affermarsi del mercato dell’eContent in Italia.
Per quanto riguarda il valore del mercato illegale FIMI ha utilizzato anche altri dati incrociandoli con il numero di utilizzatori di internet che hanno poi portato all’individuazione di un potenziale “black market” di dimensioni colossali, che tuttavia FIMI ha ridotto cautelativamente a livelli più contenuti con una serie di abbattimenti basati su studi internazionali.
L’attività di ricerca svolta ha dunque considerato:
a) il numero di utilizzatori dei sistemi p2p: i sei milioni citati
b) il numero di brani medi scaricati su ogni pc (escluso quindi quelli provenienti da fonti come il ripping dei propri cd, o altre forme di “copia privata” legali): dato rilevato dalle interviste campionarie (sempre Osservatorio Digitale) e dalla media dei file musicali illegali condivisi in media sul p2p degli utilizzatori dei servizi: 1300 per ogni pc di utente p2p (fonte FPM, federazione contro la pirateria musicale 2007)
c) il prezzo del file basato sulla media online (quindi non prendendo in esame il costo medio del cd che sarebbe ovviamente più elevato) e considerato il fatto che se non vi fosse l’accesso free generato dal p2p probabilmente ogni consumatore avrebbe acquistato legalmente circa il 10 % dei famosi 1300 file detenuti (stima prudenziale). Non abbiamo quindi considerato ogni file illegale presente sul pc una mancata vendita questo è ovvio ma solo un 10 % di essi
Poste quindi tutte le tare elencate il valore del “digital black market” in Italia, solo nel 2007, è stato di 300 milioni di euro (valore al retail) che confrontato con il dato di mercato IFPI sempre al retail di 266 milioni di euro (per tutto il mercato legale) fotografa in maniera abbastanza vicina alla realtà lo stato del fenomeno che supererebbe l’intero mercato legale (cd+digital). E come detto si tratta di stime prudenziali.
Se lo confrontiamo poi alla pirateria tradizionale dove abbiamo sempre fornito un dato di mancato fatturato intorno al 20% del mercato si scopre che la portata del fenomeno online è di nove volte tanto.
Scorrendo le osservazioni del professor Celata vi sono altre questioni alle quali è necessario fornire una risposta.
Secondo l’accademico la musica non sarebbe affatto in crisi e lo dimostrerebbero i dati SIAE dal 2004 al 2006. Mi permetto tuttavia di evidenziare che il totale dei dati citati riguarda in gran parte proventi dal ballo, pubbliche esecuzioni e concerti. In ogni caso i dati musica tra il 2007 e il 2008 di SIAE (fonte bilancio preventivo) mostrerebbero un calo nell’area dei proventi da musica registrata del – 8,8, con l’unico incremento (che porterebbe ad un dato positivo del 3,8% tutto il segmento) generato dagli arretrati di diritti da parte della radio emittenza (con infatti una previsione per il 2009 del solo 1,1 % di crescita).
Tutta questa musica in salute non la vedo, soprattutto se pensiamo a come andrà il 2009 sul fronte concerti live vista la crisi economica in corso a livello mondiale e il costante declino delle vendite di dischi a livello mondiale in corso dal 2000.
Il confronto fatto poi dal professor Celata con altri settori che accuserebbero segmenti contigui o innovazioni tecnologiche per lamentare cali di mercato non regge perché tutti i settori citati hanno di fronte competitor legittimi.
I piccoli dettaglianti i supermercati, la televisione i canali tematici, ecc. Nessuno si trova di fronte ad una pirateria devastante come l’industria musicale, e ciò nonostante quest’ultima abbia ormai da tempo abbracciato l’offerta digitale e il mercato della diffusione online di brani musicali con svariati modelli di business, tra i più innovativi oggi sul mercato dell’e-content. Nelle considerazioni del professor Celata sembra emergere qualcosa di ormai ampiamente superato nella stessa industria, ovvero che questo mondo si basi solo ed esclusivamente sul compact disc e che entrato in crisi questo si eviti in ogni modo il confronto con le tecnologia e le nuove frontiere del digitale.
Sicuramente l’industria discografica ha scontato un colpevole ritardo (e da come si comportano atri settori dei media, mi sembra che gli errori forse si ripeteranno) ma oggi ha in funzione decine di modelli di offerta di contenuti musicali che raggiungono i consumatori ovunque, in qualsiasi istante e con esattamente il prodotto richiesto. FIMI lo cita nella relazione (ma si può approfondire leggendo il Digital Report 2009 scaricabile dal sito IFPI o FIMI), oggi, oltre all’offerta di brani musicali su decine di piattaforme, abbiamo contenuti gratuiti pagati dalla pubblicità, video legali in streaming su youtube e similari, musica su mobile con licenze flessibili ad abbonamento, il social networking, e altro. Tutte realtà che generano proventi ma che tutt’ora non sono in grado di compensare il calo del prodotto fisico (che rappresenta ancora più dell’80% ) del mercato. Anche i proventi dai cosiddetti diritti connessi, ovvero l’uso di musica in pubblici esercizi, discoteche e radio è in crescita e costituisce un nuovo ricavo per le case discografiche ma siamo sempre in una fase di sviluppo.
Fare business nell’era del free non è facile, l’industria musicale è stato il topo dal laboratorio per l’evoluzione dei contenuti digitali in rete, ora lo tsunami digitale colpirà cinema, TV, giornali ed infine editoria. Ma un conto è dover competere, come scritto sopra, con un’evoluzione naturale che modifica i vecchi scenari e un conto è confrontarsi con milioni di brani musicali immessi in rete senza autorizzazione o oggi con migliaia di film. Quando una banda di truffatori informatici riesce a manipolare i codici delle carte di credito e svuota i conti correnti o rapina una bancomat si chiama la polizia. Non ho visto nessun giornalista o accademico dire alla banca: suvvia, è l’evoluzione tecnologica bellezza, di che ti lamenti, adattati alla realtà!