Mondo
Il lifecasting è lo streaming in diretta della vita di un individuo, più o meno senza interruzioni, di norma via webcam connessa al pc o al cellulare. Streaming da casa, dall’ufficio, dall’alcova, dal gabinetto o da qualsiasi angolo del globo ti consenta la tua connessione fissa o wireless. È una sottocategoria fai-da-te, solitaria, e con rari sussulti narrativi del reality show. È un reality noioso da morire, se preferite.
Si parla di lifecasting dal 1994, quando Steve Mann testa per primo il genere, seguito nel 1996 da JenniCam, mentre nel 1997/1999 prima l’angloscandinavo Expedition Robinson in TV (il format oggi meglio noto come Survivor e presto affiancato dall’olandese Big Brother), poi The Truman Show al cinema, imprimono nella coscienza collettiva il concetto di reality. E tuttavia il lifecasting diventa fenomeno di massa solo nel 2007. Lo diventa perché il Web 2.0 lo adotta come modus vivendi dell’autentico cittadino digitale, ma soprattutto lo diventa per un motivo prosaico: nascono piattaforme che consentono a chiunque, con il minimo sforzo, e gratuitamente, di lifecastarsi. Non devi più avere un tuo sito, saper smanettare con il codice e gli streaming server, pagarti da solo la banda. Ti offrono tutte le piattaforme, incluso un discreto pubblico di partenza. Nulla di particolarmente diverso dalle premesse teoriche di YouTube, solo che qui non uploadi 1 o 10 clip “pre-registrate”, qui uploadi la tua vita in diretta.
In termini di ecosistema della NewTV, i lifecaster non sono e non saranno mai, salve le inevitabili eccezioni, contenuti killer. Una finale olimpica in diretta streaming è un contenuto killer, un accorato discorso alla nazione del Presidente degli Stati Uniti è un contenuto killer, la routine quotidiana di un perfetto sconosciuto della Danimarca che beve birra in mutande davanti al suo pc no, a dispetto della fascinazione morbosa che il poter sbirciare nell’esistenza altrui genera nel navigatore medio.
Nondimeno, come nella OldTV convivono i filmissimi di prima serata e i più improbabili talk sportivi di quartiere condotti nella trattoria degli amici da giornalisti-macchietta, su emittenti locali diffuse in una manciata di comuni, allo stesso modo nella NewTV possono convivere i top show di Hulu e il canale di un lifecaster con 12 distratti spettatori nel momento di maggior gloria.
La differenza è che le OldTV regionali hanno un modello economico noto, basato sul rapporto con gli interlocutori territoriali, concittadini e aziende del luogo. Il contenuto è povero, ma ci si può rientrare. Le piattaforme di lifecasting della NewTV, sebbene globali e planetarie, devono ancora dimostrare di poter ricavare dal loro sforzo produttivo un ROI sufficiente con il loro contenuto “povero”. Questo non significa che non ci riusciranno, né tantomeno che non si possano individuare delle fortunate varianti di business. Anche perché di varianti rispetto allo schema tradizionale ne esistono a dozzine…
Ma per poter parlare di variabili dev’esserci uno standard, e l’attuale metro di paragone del lifecasting è Justin.tv, fondato da Justin Kan, californiano, a Marzo 2007 con un investimento iniziale di seed capital di 50,000 dollari. Per alcuni mesi il nostro emulo di Matthew “EdTV” McConaughey ha trasmesso online i suoi giorni 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con pause spesso legate al surriscaldamento del pc indossabile Sony Vaio (custodito in una sacca a tracolla) su cui gira la webcam, che invece è di solito ospitata sulla miriade di cappelli di Kan.
Nell’estate del 2007 Justin.tv, fino ad allora vetrina esclusiva dei flussi video del suo padre-padrone, apre le braccia ad aspiranti lifecaster selezionati, a cui vengono fornite apparecchiature simili a quelle usate da Kan. Debuttano 60 canali, ordinati per popolarità e sparpagliati tra l’Europa, le Americhe, l’Australia. Una manciata di settimane dopo la piattaforma si converte all’open network e consente a tutti di registrarsi e trasmettere via webcam, di qualsiasi modello e settaggio. Si può lifecastare dalla sala d’albergo dove tenete la riunione costitutiva del vostro circolo di pensionati così come dal ristorante mentre cenate con la nuova potenziale fidanzata (ammesso, si intenda, che il tuo mobile device abbia le caratteristiche tecniche per farlo). Si può lifecastare senza sosta tutto l’anno, o solo una manciata di ore a settimana. Il succo è che ognuno può crearsi la propria emittente di NewTV in diretta. Milioni di reality contemporanei. Anche se nella pratica 99 volte su 100 sono inquadrature fisse su banalissimi navigatori seduti alla scrivania davanti al computer.
Già ad Aprile 2008 i canali divengono 30.000, segmentati per interessi di riferimento del lifecaster (dallo sport alla musica, dal gaming agli animali, ai VIP di Internet) e dotati di un crescente numero di strumenti di community, a partire dai forum personalizzati. I Jonas Brothers, una band di esordienti, esplode come attrazione #1 di Justin, con un record di 14.000 spettatori simultanei e oltre 5 milioni di views cumulative. Curiosamente, lo stesso Justin Kan raramente supera i 300-400 “guardoni”, così come gran parte dei lifecaster a cui offre supporto tecnologico.
A Novembre 2008, però, un evento tragico fa esplodere la notorietà del sito. Un lifecaster, il diciannovenne Abraham K. Biggs, si suicida in diretta con un overdose di pillole per bodybuilding. Un incidente decisamente più serio delle contemporanee polemiche in Gran Bretagna per lo streaming abusivo delle partite di Premier League da parte di utenti di Justin, intenti a riprendere in webcam i canali TV calcistici a cui sono abbonati. A dispetto, o sull’onda delle polemiche, Justin.tv sfonda gli 8 milioni di visitatori unici al mese, 1 milioni di iscritti, oltre 90.000 canali.
La fama non equivale però a introiti proporzionali. Justin.tv ha costi operativi assai contenuti, circa 0.36 dollari per ora a utente collegato (impiegati per coprire la gestione degli streaming server in Flash, la banda e le risorse umane impiegate). Gli esperti sostengono invece che il costo si aggiri intorno agli 0.50 dollari a ora. In compenso c’è chi dichiara fino a 0.02 dollari per ora/utente, come Ustream. Quale che sia l’entità, a ogni modo c’è un costo. Justin tenta di ripargarselo con occasionali sponsorizzazioni ed eventi di live chat infarciti di pubblicità pre/post-roll. Poca roba. Un meccanismo più efficiente potrebbe invece rivelarsi la partnership con The Talk Market, società di e-commerce finanziata da Amazon. Lifecasting e home shopping insieme, ovvero tele(stream)vendite presentate su Justin.tv da una delle infinite nuove star di YouTube (Christine Gambito, in arte HappySlip) e promozione spinta sui 90.000 canali. In offerta gioielli, pupazzi di fabbricazione giapponese e prodotti biologici. Se “clicca e acquista da Justin” diventasse una formula vincente, il passo successivo sarebbe tramutare migliaia di lifecaster in consapevoli teleimbonitori internettiani. E allora, forse, in quel momento avremmo una vera mucca da mungere…
E come vedete, già entrano nell’equazione le varianti. Creata la piattaforma, imposto il brand, riplasmo il giocattolo per renderlo monetizzabile.
Subito dietro Justin.tv nel business del lifecasting troviamo Ustream.tv. Nel 2008 ha raccolto 11 milioni di dollari di venture capital. Ha 2.5 milioni di visitatori unici al mese, 300.000 utenti registrati, circa 100.000 spettatori al giorno spalmati su oltre 10.000 ore di “programmazione” quotidiana. In ogni istante di ogni giornata ci sono dalle 400 alle 600 dirette parallele streammate su Ustream. Il record di spettatori per un singolo streaming è 20.000, durante il discorso di Steve Jobs a Macworld 2008, che peraltro non era in esclusiva su Ustream.
Nel 2007 ho testato l’allora neonato Ustream per un paio di mesi. Subito dopo le dirette serali di Versione Beta su Radio 2 trasmettevamo una sorta di happening d’appendice dalla scalcinata redazione, con una webcam da 20 euro montata su un portatile. Il canale Ustream veniva embeddato sul nostro sito ufficiale, stile YouTube, e in media un 300-500 spettatori in continua alternanza (per circa un paio d’ore, dalle 22 a mezzanotte), proseguiva l’esperienza intrattenitiva del programma radiofonico. Nell’estensione via webcam dominavano i giochi a quiz, i sondaggi demenziali, e le domande fuori dalle righe, quelle che in diretta nazionale non puoi fare, agli ospiti della puntata (i quali a loro volta ovviamente erano “costretti” a trattenersi con noi, spostandosi dallo studio alla redazione). Diverse di quelle sperimentazioni preistoriche, rimontate in comode clip da 4 minuti, sono state caricate su GoogleTube; ma su Ustream c’è ancora, sotterrato e nascosto, l’archivio integrale.
In sintesi, Ustream ti regala l’infrastruttura web cotta e mangiata e la banda. Splendido per chi riceve il dono, va capito come fa a ripagarsi le spese il donatore. La strategia principale è di piazzare banner in sovraimpressione sulle dirette, che nel 2008 sono state infarcite all’inverosimile di comizi politici per le Presidenziali. Quella secondaria di offrirsi come fornitore di servizi B2B attraverso l’opzione Watershed; in pratica si paga 1 dollaro a spettatore per ogni ora di webcasting, con tariffe a scendere in proporzione al numero di spettatori, ma il tuo canale Ustream è privo di pubblicità (non c’è neppure il logo Ustream) e riccamente customizzabile. In pratica diventa un Web TV a gettone. Dentro ci puoi piazzare una telepromozione, la recita scolastica di tua figlia per i nonni lontani, il tuo film auto-prodotto con dentro gli spot. Non hai però bisogno di acquistare le licenze di uno streaming media server, programmarlo, debuggarlo, trovare un hosting economico, etc etc.
È lo stesso presupposto che ha convinto molti quotidiani americani e persino la CNN a servirsi di Qik, una piattaforma di lifecasting specializzata in streaming via telefonino, per supportare le riprese dei servizi giornalistici live destinati ai loro videoportali. Durante una delle più cruciali notti elettorali del 2008 un concorrente di Qik, Flexwagon, ha equipaggiato 20 giovanissimi reporter di MTV.com con Nokia abilitati allo streaming in diretta per creare una copertura quanto più realistica e “di strada” possibile dei risultati agli occhi dell’uomo comune. Tanto che Flexwagon ama parlare di community-casting, piuttosto che di lifecasting.
Ancora una volta, fissate le fondamenta architettoniche (il marchio Ustream, quello Qik, e le loro prestazioni leader nel settore del broadcasting online), le migliori possibilità di ritorno dell’investimento arrivano dalle varianti…
E la variante fontamentale è ribaltare la prospettiva di 180 gradi, allargando il desiderio di monetizzare dalla piattaforma al lifecaster. Prendete il negozietto di pesci e acquari che su Selfcast (www.selfcast.com/tropicalandmarines) trasmette in streaming la “vita” di un frammento di barriera corallina dentro un acquario di pochi centimetri. Di notte la videocamera utilizzata come webcam passa agli infrarossi, così da garantire la visione anche quando le luci del negozio sono spente. Tra gli spettatori si mischiano studiosi dei cambiamenti nel corallo, acquariofili che chattano sui pesci tropicali, o più banalmente gente che ama la sensazione di relax offerta dall’acquario. Tutto marketing per il commerciante/lifecaster, i cui affari si sono gonfiati a dismisura dopo la nascita del canale streaming e relativa community su Selfcast. Ora, neppure sul più scalognato dei canali OldTV locali un negozietto di acquari potrebbe permettersi spazi pubblicitari tali. Nella branca della NewTV nota come lifecasting sì, e questo comporta non solo un fenomeno sociale nell’aggregazione di internauti attratti da interessi comuni, ma un evidente movimento di fatturato.
Va capito in che modo il “modello dell’acquario” può espandersi dal microfatturato della bottega, quindi sviluppo verticale, a dimensioni più vaste, a partire da quella politica per arrivare ai mega brand dell’entertainment, o se preferite sviluppo orizzontale/trasversale.
L’integrazione del lifecasting nei social media consente non indifferenti trucchi per esportare il tuo messaggio nel web e propagarlo viralmente: i video sono embeddabili su blog e qualsiasi tipo di sito-fan tramite widget, sono taggabili, gli iscritti ai canali vengono notificati di nuovi eventi/dirette via eMail, Twitter, RSS, dal gruppo di sostenitori su Facebook e via dicendo, ci sono le chat (Justin.tv addirittura logga gli ultimi 45 giorni di conversazioni in chat), ci sono gli archivi on-demand dei video, in futuro, chi può escluderlo?, magari servizi di syndication degli stream su “n” portali generalisti. Non serve un mastodontico sforzo di immaginazione per intuire la forza eversiva potenziale dello strumento, se accoppiato con media partner già affermati in grado di comprenderlo e sfruttarlo.
Lo streaming non è più esclusiva dei giganti disposti a svenarsi in banda, come accadeva appena 4-5 anni fa. Tutti possono permetterselo ora. Lo streaming in differita stile YouTube, e adesso anche quello in diretta stile Justin, Ustream, Qik e via dicendo. Ora, ragiono a voce alta, ma… possiamo negare che la maturazione del blogging come modello editoriale stia mettendo in crisi la stampa tradizionale? Di certo no, è sotto gli occhi di tutti, cominciando dai giornalisti licenziati. Ebbene, la possibilità di realizzare streaming live e condividere la diretta ovunque via social media non è forse la più clamorosa ed esplosiva applicazione del blogging al video? Al di là della massa di lifecaster dilettanti egocentrico/esibizionisti interessati solo a web-proiettarsi per il gusto di, cugini stretti dei blogger che ti raccontano dei fagioli ingurgitati a cena e di come il terapista ha interpretato i loro sogni della notte scorsa, ci sono lifecaster semi-professionisti attenti e intenti a costruirsi già da oggi robuste community. Appunto come i blogger più popolari e autorevoli.
Sia gli uni che gli altri, in ogni caso, hanno e avranno sempre più bisogno di una piattaforma su cui “trasmettere”. Per interpretare questa sceneggiatura serve in definitiva la pregevole interpretazione di tanti attori. O, fuor di metafora, tra varianti e canoni, le prospettive di profittabilità della NewTV in salsa lifecasting passano attraverso la qualità dei canali, la loro continuità, l’appeal verso web-spettatori e inserzionisti, nonché la propensione dei big della OldTV a stringere alleanze invece di ostacolare. Poi, come abbiamo visto, c’è il corollario della vendita in service della tecnologia per usi corporate [vedi sopra Watershed], ma è un aspetto marginale e a latere rispetto alla nostra analisi di quel che si può definire NewTV.
Proviamo a fare due conti. Riprendiamo il discorso sui costi. Se si spendono 0.50 dollari per spettatore a ora, significa che le piattaforme devono generare 500 dollari l’ora ogni 1.000 spettatori. Di solito i videositi chiedono un CPM di 20 dollari a spot (leggi: ogni 1.000 views si pagano 20 dollari). È vero che un lifecasting dura ore e non pochi secondi come una clip user-generata virale, ma è altrettanto vero che a 20 dollari a spot bisogna piazzarne davvero tanti dentro il life-stream per rientrarci. Almeno 50 all’ora. Cifre da TV generalista in prime time. Per giunta con la ritrosia proverbiale degli inserzionisti a spendere in pubblicità fuori dal seminato; hanno paura di associare i propri brand agli user-generati, figurarsi a dirette senza filtro né controllo di Mister Nessuno e Miss Nessuna.
Se però accettiamo le dichiarazioni di Ustream, in base alle quali il costo è di soli 0.02 dollari l’ora per ogni spettatore, allora il break-even si raggiunge a 20 dollari l’ora di incasso pubblicitario. Basterebbe in pratica un solo spot all’ora. Tuttavia la grande maggioranza delle views su Ustream è concentrata sui 15-20 life-show più seguiti. Inoltre la piattaforma divide al 50% ogni introito con il lifecaster. Aggiungete tasse e ammenicoli vari, e possiamo ipotizzare un punto di pareggio tra i 50 e i 100 dollari l’ora. Equivarebbe a 5 spot per ogni diretta, se tutti i lifecasting avessero uguale popolarità. In realtà significa: tonnellate di spot nei lifecast di livello top per compensare la montagna di lifecast seguiti da 10-15 persone.
Come vedete, la chiave di volta è esplodere il numero di canali di qualità professionale, con un grado elevato di attrattiva per il navigatore e tematiche di potenziale interesse per le aziende (non so perché, ma mi viene in mente un lifecaster meccanico che fa product placement nel suo streaming dall’officina “aperto” 5 giorni su 7, dalle 9 alle 19).
C’è chi segue questa logica alla lettera, come BlogTV. Invece di corteggiare lifecaster di qualunque sorta – salvo poi enfatizzare quelli legati a eventi di rilevanza mediatica (la politica su Ustream) o gli appassionati di sport (Justin.tv e i suoi casini con la Premier League inglese) – i canali di BlogTV sono tutti dedicati alla vita delle nuove stelle di YouTube [vedi NewTV 1.04 per un pezzo monografico sull’argomento]. Israeliani, quelli di BlogTV nascono proponendo caratteristiche analoghe alla competition; la svolta risale a Maggio 2008, quando si specializzano nel fornire hosting a una rete di beniamini della NewTV. Una cospicua rete: quasi tutti i gestori dei canali Top 100 di YouTube che non siano parte delle major. Il miele che li attira? Soldi sull’unghia, pochini invero, uniti a un generoso revenue sharing degli introiti pubblicitari. Non sono tesori favolosi, ma se unite la manciata di migliaia di dollari che paga YouTube per le clip pre-montate con un’altra manciata di migliaia di dollari da BlogTV per le dirette streaming di spezzoni della tua vita, beh, alcuni profeti della NewTV iniziano a campare discretamente. In palinsesto c’è Michael Buckley di WhatTheBuck, di cui abbiamo già parlato, che va in onda due volte la settimana. C ‘è HappySlip, quella dell’e-commerce su Justin.tv. Ma l’indiscussa star è CharlieIsSoCoolLike, un diciottenne inglese, i cui videoblog su YouTube hanno all’attivo oltre 2.5 milioni di views. Nel giorno del suo diciottesimo compleanno Charlie si è rasato la testa in diretta su BlogTV; tra scherzi e risate è durata 7 ore. L’ha fatto per aiutare la ricerca sul cancro, e ha raccolto 5000 sterline in quelle 7 ore.
BlogTV spende circa 150.000 dollari al mese. Non è una start-up di quelle che dissanguano, ma incassa assai di meno di quanto spende. Speriamo di poter riesaminare i suoi conti fra un paio d’anni senza che gli venga staccata la spina dagli investitori. Perché se i calcoli che abbiamo fatto sopra hanno un fondo di logica, BlogTV è ben posizionata per essere tra i primi a guadagnare dal lifecasting.
Poi magari le sorprese arriveranno dalle varianti minori, chi lo sa? Quelli di Stickam ad esempio hanno lanciato il Pay-Per-Live. Funziona come la pay-per-view dei film, solo che invece dell’ultima pellicola di Tom Cruise acquisti via web il “biglietto” per un live stream ospitato da Stickam. In cosa consistono questi stream dal vivo? Spesso in incontri di wrestling amatoriale organizzati nel giardino di casa. La prima idea che verrebbe è: cool, se l’incontro lo evolviamo in lotta nel fango di due bonazze seminude mentre un rozzo contadino texano innaffia l’arena, beh… potremmo avere un business! Tuttavia, le condizioni di servizio di Stickam sembrerebbero escludere qualsiasi tipo di live sex show.
Ma qui mi fermo, perché il vecchio adagio del sesso motore di Internet è fuori moda, e invece noi ci sentiamo trendy e all’avanguardia, sebbene squattrinati come i nostri amici lifecaster.
Coming up next: mistero! No, perdonatemi, niente di bizzarro o particolarmente originale in vista. È che ancora non è stabilito il tema del prossimo NewTV. Con ogni probabilità, però, si parlerà di newscasting, i TG in diretta streaming.
NewTV. Non è più troppo presto, non è ancora troppo tardi.
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