Unione Europea
Il Parlamento europeo si è occupato recentemente di videogiochi, adottando all’unanimità la relazione sulla “protezione dei consumatori, in particolare dei minori, per quanto riguarda l’utilizzo dei videogiochi” presentata dal deputato olandese Toine Manders.
Il mercato dei videogiochi rappresenta un segmento economico molto importante in Europa: nel 2008 le entrate complessive del settore si sono attestate a 7,3 miliardi di euro, pari alla metà di quelli dell’intero mercato europeo della musica e superiori a quelli del mercato delle sale cinematografiche, a conferma del grande successo di questi giochi e non solo fra i più giovani. L’età media del video-giocatore europeo è infatti di 33 anni.
Gli europarlamentari hanno più volte affrontato il tema della potenziale pericolosità di questo passatempo dei giorni nostri, senza però voler generalizzare e hanno sottolineato come – contro ogni aspettativa – i videogiochi possano essere considerati uno strumento educativo capace di “contribuire allo sviluppo di capacità quali il pensiero strategico, la creatività, la cooperazione e il pensiero innovativo, qualità fondamentali nella società moderna”.
Affermazioni condivise anche a livello medico: sembra infatti che l’uso di videogiochi abbia effetti postivi sulle persone autistiche, affette da lesioni cerebrali o colpite da ictus.
Ma, bisogna anche – naturalmente – considerare il risvolto della medaglia: innanzitutto non tutti i videogiochi sono adatti a tutti, poi un uso eccessivo di questi strumenti ludici può avere conseguenze negative sullo sviluppo psichico dei bambini.
Il timore è che i videogiochi possano causare comportamenti aggressivi, e l’allarme è reso ancora più acuto da casi di sparatorie a scuola, come quella di Helsinki (Finlandia, novembre 2007), che ha indotto varie autorità nazionali a vietare o bloccare i videogiochi come “Manhunt 2“.
Ecco quindi che nel caso specifico, diventa essenziale l’apporto dei genitori, che invece di delegare l’intrattenimento dei figli a questa o quella console, dovrebbero supervisionare la loro passione per i videogiochi, stando attenti a non lasciare i pargoli alle prese con giochi violenti o inadatti alla loro età.
Per venire incontro alla necessità di garantire comunque una forma di tutela dei minori, gli europarlamentari hanno sottolineato l’importanza di sostenere il PEGI (Pan European Games Information), un sistema di classificazione in base all’età messo a punto dal settore, con l’appoggio della Ue, dal 2003.
Le etichette PEGI, oltre a fornire una classificazione in base all’età, contengono avvertimenti riguardanti, ad esempio, la violenza o il turpiloquio, dando così modo sia ai genitori di decidere quale gioco sia adatto ai loro figli, che agli adulti di scegliere meglio i giochi da acquistare per il proprio uso.
Il sistema è applicato attualmente da 20 Stati membri, ma si ritiene debba ancora essere migliorato e rafforzato, così da farne uno strumento paneuropeo – e internazionale – veramente efficace.
Il problema maggiore, per un’effettiva tutela dei minori, sono infatti i giochi online che possono essere scaricati via internet e cellulare e difficilmente possono essere monitorati a livello parentale.
Si calcola che questi sistemi rappresenteranno il 33% degli introiti totali realizzati dai videogiochi entro il 2010.
Il PEGI, dunque, pur rappresentando un ottimo esempio di autoregolamentazione, unico in questo settore, deve essere migliorato, attraverso una maggiore sensibilizzazione del pubblico, la sua estensione nel resto del mondo e dando piena attuazione a PEGI Online – lanciato nel 2007, cofinanziato dal programma per l’uso sicuro di Internet della Commissione – di modo che il sistema di classificazione si applichi anche ai giochi scaricabili.
In attesa che ciò avvenga, l’eurodeputato Manders ha suggerito l’installazione sulle console di un bottone rosso per consentire ai genitori di bloccare un gioco e di controllarne l’acceso a certe ore o ad alcune parti.
La relazione Manders , che sarà sottoposta al voto del Parlamento europeo il prossimo marzo, invita gli Stati membri a evitare lo sviluppo di sistemi di classificazione nazionale – che andrebbero a indebolire il PEGI e a frammentare ulteriormente il mercato – e ad allinearsi nel più breve tempo possibile al sistema di classificazione paneuropeo.