Europa
L’industria delle telecomunicazioni potrebbe diventare “il principale motore della ripresa economica”, purché “pubblico e privato lavorino insieme e facciano azioni urgenti uniti da un nuovo spirito di cooperazione per incentivare gli investimenti e l’innovazione”.
È il presidente di Telefonica, Cesar Alierta a sottolineare, dalla vetrina del Mobile World Congress, che il mondo non può permettersi il lusso di non puntare sulle tlc per tentare di risollevarsi dalla crisi.
Ma attenzione, avverte Alierta, le società tlc non chiedono fondi pubblici, ma più semplicemente spingono affinché vengano applicate le misure necessarie “per stabilire un adeguato, prevedibile e stabile ambiente regolatorio che assicuri sicurezza e generi fiducia”.
In particolare, Alierta chiede ai governi di non sottostimare il settore e di adeguare le politiche fiscali in modo che tengano conto “dei benefici che derivano dall’investire nella società dell’informazione”.
Come aveva ribadito ieri nel corso del consiglio dei ministri Ue delle tlc a Praga anche il Commissario ai media e alla società dell’informazione Viviane Reding, anche Alierta sostiene che gli investimenti diretti nel settore possano contribuire in maniera sostanziale al mantenimento di posti di lavoro e alla creazione di nuova occupazione specializzata, contribuendo alla crescita di competitività dell’economia.
“Il settore ha un effetto moltiplicatore sull’economia ed è uno di quelli che maggiormente contribuiscono al prodotto interno lordo e alla creazione di lavoro”, ha spiegato l’ad di telefonica, aggiungendo che il settore è storicamente “deflazionarlo” e possiede, quindi, le caratteristiche giuste per contribuire alla ripresa dell’economia.
In questo particolare momento di grave incertezza economica, il Salone di Barcellona rappresenta un importante palco per far valere le ragioni dell’industria ICT, che negli ultimi 10 anni ha contribuito a una crescita del Pil del 25% e alla metà degli aumenti di produttività in Europa.
Sempre dal Mobile World Congress, l’amministratore delegato di Alcatel-Lucent Italia, Stefano Lorenzi, ha sottolineato quali potrebbero essere le ricadute sul sistema socio-economico italiano di un maggiore focus sulle reti a banda larga di nuova generazione: gli investimenti nella banda larga, ha sottolineato, “possono essere un’importante leva per il rilancio dell’economia italiana: perchè creano lavoro e perché consentono l’introduzione di tecnologie e servizi capaci di far crescere la competitività del sistema-Italia”
Lorenzi sostiene però che per superare il digital divide – che interessa il 15% della popolazione italiana – non occorre necessariamente spendere i 10 miliardi previsti per la realizzazione delle NGN.
Si potrebbero infatti ottenere già notevoli risparmi sfruttando in maniera sinergica le reti di nuova generazione già attive nel nostro Paese.
Spiega infatti Lorenzi che “il coordinamento può consentire un risparmio addirittura di quattro volte facendo scendere, in certe situazioni, il costo di un allaccio remoto da 2.000 a 500 euro”.
Sul mercato europeo delle tlc – già appesantito da diverse situazioni nazionali a forte deficit di concorrenza – grava inoltre un’incertezza normativa che rischia di trasformarsi in un boomerang per i consumatori e in un volano per ristabilire vecchi monopoli.
È il timore espresso ai ministri Ue delle tlc dai ‘Mobile Challengers’, associazione che riunisce nove operatori di telefonia mobile – per l’Italia 3 e Wind – operanti in 13 Paesi con 80 milioni di utenti.
Gli operatori, sottolineando i troppi ostacoli alla concorrenza sul mercato mobile, hanno stigmatizzato l’intenzione di alcuni ex monopolisti di “varare un aumento dei prezzi in risposta alla proposta di abbassamento delle tariffe di terminazione” e hanno chiesto alla Commissione di intervenire affinché queste intenzioni non diventino realtà.
La crisi economica – secondo il gruppo – non deve insomma trasformarsi in un pretesto per “riportare indietro il processo di liberalizzazione” o per ristabilire vecchi privilegi per i grandi gruppi tlc, che “fanno di tutto per mantenere la propria posizione dominante sui mercati nazionali di quasi tutti gli Stati membri, ma fanno poco o nulla per sviluppare prodotti transfrontalieri nonostante il loro orientamento, come dimostra l’enorme resistenza opposta alla direttiva sul roaming, sia paneuropeo”.
Nonostante la necessità, espressa anche dal commissario Reding, di “un”azione coordinata, finalizzata alla creazione di un mercato unico pro-concorrenziale senza frontiere di regolamentazione, aperto alle imprese e ai consumatori”, insomma, il gruppo degli operatori alternativi sente di non poter sfruttare a pieno le enormi potenzialità del grande mercato europeo per il sussistere di gravi “problemi strutturali a livello nazionale e comunitario”.
Problemi, certo, accentuati dalla crisi economica ma esacerbati anche da quella che sembra trasformarsi via via nell’ennesima guerra fra caste.
Anche in Italia si assiste infatti al braccio di ferro tra Telecom, operatori alternativi e Agcom sul tema dei costi di unbundling: in una lettera inviata all’Authority da Colt, Fastweb, Opitel, Tiscali, Vodafone, Welcome Italia e Wind – anticipata da Il Sole 24 Ore – i competitor sottolineano “il grave rischio derivante da un eventuale aumento dei prezzi per i servizi di unbundling, con evidenti impatti negativi in termini di riduzione dei margini per i concorrenti e possibile aumento dei prezzi per i consumatori finali, alla luce delle criticità ampiamente evidenziate dagli operatori nell’ambito della consultazione pubblica, che dimostrano l’infondatezza degli aumenti proposti”.
Telecom Italia aveva chiesto un aumento dei costi di unbundling di 1,75 euro, ma l’Agcom lo ha ridotto a 91 centesimi, portandolo così a 8,55 euro al mese.
Gli operatori alternativi sostengono invece che il “valore del canone mensile per l’ultimo miglio dovrebbe attestarsi nel 2009 in un range compreso tra i 6,5 e i 7 euro al mese, quindi con una riduzione del 13-16% rispetto al 2008″ .