Telecom: la partita della Rete in attesa del dossier Caio. Per Bernabè ‘Illegittimo intervento dirigistico’, mentre Romani invita alla ‘cautela’

di Alessandra Talarico |

Italia


Telecom Italia

“Qualsiasi intervento di tipo dirigistico sarebbe illegittimo e inappropriato in quanto andrebbe a ledere i diritti di un soggetto privato proprietario, fino a prova contraria, delle proprie infrastrutture di rete”.

Così l’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè, ha bocciato l’idea di imporre alla società lo scorporo della rete e la successiva acquisizione dell’infrastruttura da parte di una nuova società che potrebbe vedere coinvolte F2I e la Cassa depositi e prestiti, con successivo aumento di capitale da 10 miliardi di euro.

L’ipotesi è stata avanzata stamani dal coordinatore nazionale del Dipartimento attività produttive di Forza Italia Pierluigi Borghini nel  corso del convegno “Un paese moderno, reti di telecomunicazioni di nuova generazione”.

 

Borghini ha sottolineato che non si tratterebbe di un ‘esproprio’, ma di uno ‘scorporo’ inevitabile alla luce dei forti ritardi accumulati dal nostro paese nel campo delle reti di comunicazione a larghissima banda, aggiungendo che molte grandi aziende del settore – tra cui Siemens, Ericsson, ZTE e Alcatel-Lucent – sarebbero disposte a immettere nella nuova società un miliardo di euro ciascuno.

 

L’amministratore delegato di F2I, Vito Gamberale, da canto suo si è detto disposto “a investire sugli asset di rete esistenti”, insistendo però sul fatto che non sia opportuno in questo momento “disturbare il guidatore” di quella che, “dal punto di vista gestionale è la più efficiente società di telecomunicazioni in Europa”.

Gli equilibri, si capisce sono molto delicati in questa fase, dal momento che bisogna anche aspettare i risultati della review effettuata dal consulente del governo per lo sviluppo delle reti a banda larga, Francesco Caio.

Il rapporto, che dovrebbe essere presentato entro il mese prossimo, darà modo al governo di stabilire le modalità di azione per lo sviluppo della nuova infrastruttura che, secondo i calcoli di Borghini, partendo dal presupposto che ogni allaccio valga 500 euro e che le utenze siano 23 milioni, “dovrebbe arrivare a costare 11 miliardi e mezzo di euro”.

 

L’invito ad aspettare i risultati della ricognizione di Caio è arrivato anche dal sottosegretario alle Comunicazioni Paolo Romani che ha giudicato “prematura” la proposta di Borghini, anche alla luce dell’attuale crisi economica, i cui effetti sull’occupazione e sul sistema-Paese saranno evidenti nei prossimi mesi e andranno gestiti con la massima attenzione.

Il problema del futuro assetto gestionale delle infrastrutture in capo a Telecom, tuttavia, resta e gli investimenti “sono fondamentali ma non danno risposte immediate”, ha sottolineato ancora Romani.

Bisogna quindi agire perseguendo una “politica dei piccoli passi”, per una soluzione che, comunque, “non potrà prescindere da Telecom”.

 

Riguardo l’assetto della nuova società che dovrebbe farsi carico dell’amministrazione dell’infrastruttura, Borghini ventilava l’ipotesi di una maggioranza detenuta sempre da Telecom, affiancata per una quota prevedibilmente intorno al 40% da nuovi azionisti.

Per quanto concerne invece l’entità dell’investimento pubblico, Borghini preventivava che l’apporto pubblico potrebbe attestarsi al 10% del capitale necessario, “per arrivare fino al 30% o anche al 40% negli anni a venire”.

 

Ma anche in questo caso è arrivato l’invito alla prudenza del sottosegretario Romani, secondo cui bisogna innanzitutto capire quali tecnologie – fibra, rete mobile, wireless – andranno sfruttate per coprire al meglio il territorio.

E anche in questo caso bisognerà aspettare le valutazioni di Caio.

 

“La linea di demarcazione – ha detto Romani – è capire quanto dobbiamo investire in fibra, quanto in mobile e quanto in tecnologia di supporto”.

Solo sulla base del lavoro del super-consulente, insomma, si potrà capire quanto investire e su quali tecnologie puntare.

 

“A quel punto, con le risorse stanziate, sarà attivata una task force che comprenderà tutti i soggetti”, ha detto ancora Romani, sottolineando che bisognerà puntare su “un unico progetto, un’unica rete, una strada da condividere e fra 2-3 mesi forse saremo in grado di proporre al Paese un progetto serio con la garanzia di una soluzione che non vada contro nessuno”.

 

La società guidata da Bernabè, da canto suo, nel prossimo triennio investirà “6,7 miliardi di euro nelle piattaforme di rete, il 45% per la rete di accesso e il 32% destinato alla piattaforma servizi”.

La società, ha ricordato l’ad, investe nelle infrastrutture di rete “il 15% dei ricavi a fronte del 9% di Telefonica, France Telecom e Deutsche Telecom”.

L’attuale rete è sufficiente a soddisfare la domanda di servizi a banda larga ed è, ha aggiunto “adeguatamente attrezzata per il futuro, con un’ampia capacità di crescita”. Il problema, piuttosto, è che in Italia la domanda risulta molto debole rispetto agli altri Paesi della Ue.

E il problema non è tanto dei consumatori, resi più oculati dalla crisi,  ma soprattutto della pubblica amministrazione, che fatica – nonostante gli sforzi del ministro Brunetta – ad accostarsi alle nuove tecnologie digitali nel rapporto con i cittadini.

Il Governo, aveva detto nel corso del convegno il parlamentare azzurro, dovrebbe stanziare 3 miliardi di euro proprio  per stimolare la domanda di banda larga all’interno della  pubblica amministrazione: “gli uffici della PA, delle regioni, dei comuni e delle province saranno così connessi in larga banda: da una parte gli investitori saranno facilitati perché la loro offerta troverà una domanda parallela sul mercato, dall’altra i cittadini italiani si potranno ‘interfacciare’ con la pubblica amministrazione in modo del tutto amministrativo”.

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