Italia
Dall’8 Gennaio 2009, Crunchyroll.com netcasta in contemporanea mondiale le più popolari serie animate giapponesi (anime per gli intenditori), a un manciata di minuti di distanza dalla loro messa in onda in patria su TV Tokyo. Streaming con sottotitoli in inglese, deselezionabili a piacere, e il classico range di alternative “guarda in HD o qualità DVD”. Per il servizio si paga un abbonamento mensile di 7 dollari; ma basta aspettare una settimana e tutte le anteprime diventano disponibili gratis in un flusso definito low quality, che poi significa all’incirca una risoluzione tipo vecchia TV analogica.
Tra gli anime in diretta mondiale il celeberrimo Naruto, erede incontrastato di Dragonball, tanto hot che i suoi free streaming finiscono anche su Hulu e Joost, e titoli targetizzati ad adolescenti maschi/femmine (in gergo shounen o shoujo) come Gintama, arti marziali e cazzotti magici, o Skip Beat!, il mio preferito, una ragazzina fuori di melone decide di diventare attrice da copertina per vendicarsi dell’ex-fidanzato. Accanto alle premiere un catalogo di centinaia di episodi di library anime on-demand in veloce espansione, da Capitan Harlock ai cortometraggi dei cineasti indipe arthouse giapponesi.
Crunchyroll è un portale di video-sharing californiano senza troppi fronzoli, startuppato nel 2007 con un investimento di 15.000 dollari da un gruppo di studenti. Per un anno si sono finanziati i server (circa 100, funzionali a sostenere una richiesta di diversi gigabits al secondo di banda negli orari di punta pre-serali) con il loro ineludibile costo di 50.000 dollari e spiccioli al mese, affidandosi alle donazioni degli internauti; a questi ultimi offrivano inizialmente la chance di uploadare sulla piattaforma – e conseguentemente condividere – ogni tipo di anime, fregandosene altamente di diritti d’autore e takedown notice da DMCA stile YouTube. Un modello di business spericolato che gli guadagna 4 milioni di visitatori unici al giorno, e nel 2008 un consistente afflusso di fondi da venture capital.
A quel punto decidono di darsi una ripulita, cancellare dai server gli upload non autorizzati, e mettersi d’accordo con i giapponesi per spremere un po’ di succo verde insieme dalle hit del momento.
Quanto sopra, va chiarito, non è successo dal giorno alla notte. Ma quasi. C’è stata una progressione temporale di esattamente 9 mesi. Una gravidanza. Amico mio lettore e broadcaster analogico, decidi tu se bastano a farti tirare un sospiro di sollievo….
Il primo evento nella timeline porta data Aprile 2008, quando Gonzo, uno studio nipponico noto per la sua attenzione verso i mercati esteri (di norma i produttori di anime sono riluttanti a calcolare l’utenza gaijin nei propri business plan), offre su Crunchyroll e YouTube i simulcast con le dirette TV in Giappone delle loro novità primaverili, il fantasy Druaga e il fantascientifico Blassreiter. L’ho già scritto, ma a scanso equivoci ripeto: in lingua originale con sottotitoli in inglese. Due prodotti mediocri, e tuttavia l’esperimento desta clamore nell’ambiente e Crunchyroll lo sfrutta come proof-of-concept per ampliare le partnership. In estate si passa dal test all’attivazione su CR di tutti i titoli A-list Gonzo e varie decine di altre serie pescate nei cataloghi di un paio di distributori americani a corto di contanti. In autunno si mettono d’accordo con il gigante TV Tokyo e la major locale (lo Studio Pierrot). Il resto è Storia degli Streaming Media.
A monte, c’era il desiderio latente dei giapponesi di crearsi un’alternativa monetizzabile alle versioni sottotitolate amatorialmente dei loro anime, che circolano nei torrenti del cyberoceano. Gratuiti ed endogeni al fandom (nel senso che sono realizzati “dai fan per i fan”), gli anime net-sottotitolati vengono prodotti “rippando” con l’apposito hardware domestico i transport stream dai canali satellitari della regione del Kanto e dintorni, con l’appoggio diretto o indiretto di amici sul posto, e sovraimprimendo al video – nel frattempo encodato in Xvid o h264 per mantenersi entro i 300MB – un adattamento a orecchio in inglese dei dialoghi originali. Dai “master” in inglese, o in cinese, derivano poi infinite localizzazioni europee e non. Hanno release a volta irregolari e aperiodiche, ma altrettanto spesso fattura pregevole nelle traduzioni e invenzioni tecniche di rilievo, come il karaoke dei testi delle canzoni durante le sigle.
Perché lo fanno questi ragazzi, perlopiù liceali e universitari? Di sicuro non per guadagno, è solo tempo rubato allo studio o al sesso. Lo fanno perché è divertente, perché li fa sentire parte di una community e non geek solitari abbandonati al loro Quad Core con monitor da
Nel caso di Naruto, la loro diffusione era scientifica e precisa come il famoso orologio svizzero. Curati da un gruppo di anon [sta per anonimi, usiamo i loro codici, please] collettivamente chiamati Dattebayo, gli episodi di Naruto venivano rilanciati abusivamente sul web a poche ore dalla loro trasmissione televisiva in patria. Chi voleva attendere l’edizione ufficiale USA sui media tradizionali doveva attendere invece un annetto. Stando ai tipi di Dattebayo ogni puntata di Naruto Shippuden cumulava oltre mezzo milione di download nei primi 4-5 giorni, solo dal loro sito (in realtà la distribuzione di questi video amatoriali è del tutto atomizzata e decentralizzata, quindi moltiplicate per chissà quanto quel mezzo milione).
Numeri, numeri, perché alla fine sono i numeri che contano. La maggioranza di questi anime con i sottotitoli viene fruita da poche migliaia, o addirittura poche centinaia, di aficionados worldwide. Nicchia della nicchia, per serie che non sarebbero mai state licensed per DVD o passaggio TV negli Stati Uniti [figurarsi in Italia] e quindi con danno reale economico per i produttori giapponesi pari a zero. Il danno è semmai ideologico, si può contestare, di ferita al concetto stesso di copyright come sviluppato nel Ventesimo Secolo; non siamo però su un magazine giuridico, qui analizziamo il business, quindi tanti saluti ai diritti d’autore e torniamo alle royalties sonanti.
Dicevamo, se dei destini occidentali di un esoterico Boukyaku No Senritsu non frega niente a nessuno, ogni tanto escono però fuori dal cilindro del Sol Levante i Naruto, i Bleach, i Death Note, e quelli fa gola sfruttarli anche sui mercati di lingua inglese [benchè la loro primaria mission sia generare revenues sul mercato interno attraverso il merchandising]. Morale della favola: i nostri amici samurai tagliano l’arcaica window del licensing a TV e distributori home video stranieri, e “trasmettono” in simulcast mondiale con l’appoggio di un intermediario americano, monetizzando da subscription fees e online ads. Numeri, numeri: c’è voluto un decennio per far arrivare AT-X, il canale satellitare tematico anime #1 in Giappone, di proprietà di TV Tokyo, a 10.000 abbonati. È bastata una settimana per far arrivare Crunchyroll a 10.000 abbonati con i contenuti di TV Tokyo. E i free streaming di Naruto sfiorano i 200.000 viewers, sempre su CR.
Parole dell’autorevole Keisuke Iwata, boss di AT-X tivvù, in un keynote speech di fine Gennaio all’Università per i Contenuti Digitali di Tokyo. Altre parole le ha pronunciate negli stessi giorni la direzione marketing del gigante Kadokawa, annunciando KadoTV, ovvero un Crunchyroll fatto in casa (streaming, sottotitoli, tutto free, la solita solfa) con gli anime dell’immensa library Kadokawa. L’operazione è stata in realtà spinta non dalle mosse del concorrente TV Tokyo, bensì dalle fatture del Kadokawa Anime Channel su YouTube. A fine 2008, infatti, si sono resi conto che da lì arrivano 110,00 dollari al mese gentilmente versati dalle banche di Google. E incredibilmente il grosso del traffico non deriva dagli episodi completi, ma dai loro veloci rimontaggi in stile videoclip che i fan vengono incoraggiati a realizzare per dimostrare amore e devozione ai protagonisti delle varie saghe.
Giapponeserie? Forse. Fascino esotico e moda dell’istante? Può darsi. Ma il fenomeno dei sottotitoli, mutatis mutandis, sta esplodendo con iperbolica furia anche nel settore dei seriali TV USA e in genere per ogni contenuto, killer o cult che sia, on-demand (ovvio, la diretta crea ancora dei problemucci per i nostri eroici fan adattatori amatoriali). Sto cercando di immaginarmi cosa impedisce alle TV Tokyo americane di seguire l’esempio in Europa. Ma non trovo troppe risposte…
Coming up next: i metrics, ovvero come azz me la calcolo la videostreaming audience?