Connectivity Scorecard: l’Italia scivola al 19° posto. Ci salva il 3G, ma penalizzati da scarsa preparazione e mancanza di infrastrutture

di Alessandra Talarico |

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ICT

Puntuali anche quest’anno, la London Business School e Nokia siemens Networks hanno presentato l’edizione 2009 dello studio Connectivity Scorecard, condotto dal professor Leonard Waverman con l’obiettivo di analizzare non solo le infrastrutture ICT nazionali, ma anche l’efficacia del loro utilizzo.

 

L’Italia è scivolata dal 12° posto dello scorso anno al 19° a causa sia dell’insufficiente copertura delle reti a banda larga che dello scarso utilizzo delle tecnologie da parte della popolazione, della pubblica amministrazione e delle aziende. Peggio di noi, tra i paesi più industrializzati hanno fatto solo Spagna Portogallo e Grecia.

 

La Connectivity Scorecard valuta in quale misura i governi, le aziende e i consumatori utilizzano le tecnologie di connessione – doppino in rame, fibra ottica, telefonini e Pc – per migliorare la prosperità economica e sociale.

Per questo, può capitare che Paesi generalmente considerati all’avanguardia nell’adozione delle tecnologie ICT, come l’Italia, abbiano raggiunto un punteggio modesto.

 

La classifica anche quest’anno è dominata dagli Stati Uniti (con 7,71 punti rispetto a 6,97 punti su 10 dello scorso anno) seguiti da Svezia (7,47), Danimarca (7,18), Olanda (6,75) e Regno Unito (6,51).

Il Giappone è passato dal terzo posto dello scorso anno al decimo posto, con 5,87 punti, mentre l’Italia è scivolata di 7 posizioni e ha registrato un punteggio di 3,99.

 

L’Italia, secondo la classifica stilata da Waverman, ha realizzato un punteggio ‘debole’ in quasi tutte le categorie analizzate dallo studio – adozione da parte dei cittadini, dei governi e delle aziende di un Paese – e si è dunque piazzata dietro tutte le altre potenze del G7, e non solo.

Nel nostro Paese si registra infatti un buon livello di adozione delle tecnologie mobili 3G, ma la penetrazione della banda larga è ancora molto bassa e l’utilizzo da parte dei consumatori si può definire ‘moderato’.

Allo stesso modo, il punteggio legato all’utilizzo da parte della pubblica amministrazione, si legge nell’analisi, “non è a un livello che possa considerarsi competitivo con gli altri Paesi europei”.

A contribuire a questa situazione diversi fattori che si ritrovano anche in Francia e in Germania (rispettivamente al 15° e al 13° posto in classifica), ma che da noi sono più marcati.

Tra questi, il Prof Waverman cita  l’elevata età media della popolazione (il 19% degli italiani supera i 65 anni) e un “atteggiamento conservativo rispetto all’adozione delle tecnologie”. A pesare è anche la scarsa conoscenza dell’inglese rispetto ai Paesi nordici.

 

Ma è soprattutto il livello di connettività aziendale ad essere definito senza mezzi termini “deludente”. Si nota uno scarso livello di penetrazione sia di server sicuri che di Pc, fattori che indicano una mancanza di sviluppo dell’e-commerce.

Le aziende mostrano anche una scarsa propensione a fare acquisti o a vendere su internet.

“I punteggi legati all’uso dei servizi dati da parte delle aziende e alle spese di queste ultime per risorse IT sono migliorati, ma non ancora a livelli comparabili a quelli registrati da altri Paesi”, si legge nell’analisi.

 

Secondo lo studio, anche i Paesi ‘meglio connessi’ del mondo non riescono a sfruttare al massimo il potenziale delle tecnologie di comunicazione e molto spesso, le politiche e le attività regolatorie destinate a promuovere la connettività non hanno l’impatto sperato.

 

In generale, spiega ancora Waverman, la performance dell’Italia è molto simile a quella evidenziata dalla scorsa edizione dello Scoreboard, ma si è anche notato un declino nei settori relativi all’uso delle tecnologie da parte del governo e della preparazione tecnologica della popolazione.

L’Italia registra infatti un livello più basso di investimenti in ICT rispetto agli altri Paesi dell’Ocse, ma anche uno dei punteggi più scarsi riguardo gli “investimenti in conoscenza”: pochissimi, rispetto alle altre grandi economie, i dottorati in materie scientifiche e ingegneristiche.

 

In più, spiega lo studioso, “il recente rallentamento dell’economia e la mancanza di trasparenza istituzionale hanno contribuito ad allontanare gli investitori stranieri dal settore ICT italiano”.

 

A differenza di Francia e Germania, l’Italia conta un minor numero di grandi gruppi locali che siano produttori di ICT o anche solo ‘forti utilizzatori’ (ad esempio, società finanziarie).

“Si potrebbe dunque ragionevolmente affermare che ci sia bisogno, in Italia e non solo, di politiche nel settore delle telecomunicazioni in grado di favorire la partecipazione straniera nel settore ICT”, ha aggiunto Waverman.

 

“Tuttavia – conclude l’analisi di Waverman – la mera disponibilità di infrastrutture non servirà da sola a curare i mali dell’innovazione italiana. Il governo dovrebbe infatti guardare con maggiore attenzione anche allo sviluppo di competenze complementari nella forza lavoro”.

 

“Lo studio – ha sottolineato Ilkka Lakaniemi di Nokia Siemens Networks – è una chiamata alle armi per i governi e le aziende. In un periodo di rande incertezza economica, un uso adeguato delle infrastrutture di comunicazione potrebbe portare enormi vantaggi”.

 

Dal momento che entro il 2015 si prevede che oltre 5 miliardi di persone saranno connesse, politici e manager – suggerisce lo Scorecard – dovrebbero incoraggiare lo sviluppo di infrastrutture e investire in asset complementari, cioè il capitale umano, che permetteranno di sfruttare il pieno potenziale di queste infrastrutture.

Il miglioramento delle infrastrutture e un uso più intenso e intelligente delle tecnologie ICT permetterà insomma di raggiungere benefici economici e sociali di rilievo, legati a una maggiore collaborazione e condivisione del sapere, innovazione, produttività e qualità della vita e del lavoro.

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