Europa
La condivisione delle reti tra gli operatori mobili sta diventando un argomento molto discusso, alla luce della maturità dei mercati europei, del declino dei profitti legati alla voce e, ora, anche del rallentamento economico.
Lo ha sottolineato la società di analisi Ovum, secondo cui a questo punto sarebbe necessario un quadro regolatorio e commerciale armonizzato a livello europeo, in modo che questa scelta – già praticata da alcuni operatori – diventi la regola e non l’eccezione.
Per l’analista Ovum Martin Garner, la condivisione delle reti – che può concretizzarsi attraverso un accordo di roaming all’ingrosso, la condivisione delle infrastrutture passive o con l’unione di reti di accesso radio separate – “ha il potenziale di cambiare il modello economico degli operatori e di trasformare la banda larga mobile in realtà in maniera migliore, più veloce e più economica”.
Secondo i dati Ovum, il numero di utenti 3G potrebbe aumentare del 240% entro il 2011 se i servizi fossero davvero accessibili ovunque e la qualità fosse migliore.
Oltre al bisogno di raggiungere una copertura nazionale, la condivisione delle infrastrutture di rete potrebbe rappresentare una soluzione valida per controllare le spese in conto capitale e le spese operative.
Finora, la scelta di condividere le reti è stata fatta da pochi operatori: sul mercato italiano lo hanno fatto Vodafone e Tim per le infrastrutture passive (l’accordo è stato rinnovato per sei anni a novembre del 2007), su quello britannico T-Mobile e 3 UK ma anche Vodafone e Orange. Vodafone ha siglato un accordo per la condivisione delle infrastrutture anche in Spagna con Yoigo e in India con Bharti Airtel e Idea. Nell’ambito di quest’ultimo accordo, le infrastrutture di rete sono state raggruppate in una joint venture – battezzata Indus Tower – che potrebbe essere in futuro quotata in Borsa.
T-Mobile e 3 hanno calcolato che l’accordo di condivisione può generare benefici in termini di riduzione dei costi infrastrutturali di gestione della rete per 2 miliardi di sterline in 10 anni. L’accordo tra Vodafone e Orange, che sta per essere rinnovato, produrrà risparmi per il gruppo britannico pari a 1 miliardo di sterline.
La diminuzione del numero di siti richiesti per la copertura del territorio ha infatti un notevole impatto sul business: si riducono le spese d’impianto e d’esercizio – e quindi in teoria i prezzi praticati agli utenti finali – e si possono effettuare più investimenti in prodotti e servizi innovativi, con la possibilità anche di ridurre l’impatto ambientale degli impianti.
Con la maggior parte dei mercati europei giunta ormai a una penetrazione 2G del 100% e a una penetrazione 3G in rapida espansione, gli operatori mobili potrebbero risparmiare una buona parte dei costi legati alla gestione di siti poco usati, ma anche delle spese per gestire siti a grande traffico, come quelli delle grandi metropoli, dove la condivisione delle infrastrutture potrebbe avere ricadute positive anche sull’impatto ambientale degli impianti.
La legislazione europea permette e incoraggia la condivisione delle infrastrutture passive, ma la situazione, per la condivisione della rete di accesso radio (RAN) è meno chiara.
In passato, la Ue poteva imporre questo tipo di condivisione, ma a partire da novembre 2007, con l’eliminazione del mercato 15 dalla regolamentazione ex ante, manca – spiega Ovum – un chiaro meccanismo legislativo e le richieste di condivisione vengono trattate caso per caso.
C’è dunque bisogno, secondo la società, di una direttiva coerente, la quale chiarisca che sull’intero territorio europeo valgono le medesime condizioni in materia di condivisione delle infrastrutture.
Questo servirebbe a incoraggiare il network sharing quale “strategia evolutiva” e non quale “cambiamento radicale”.
La condivisione delle reti, conclude quindi Ovum, potrebbe formare parte delle misure sul risparmio dei costi di molti operatori e rappresentare anche una valida soluzione alla questione ambientale.
“Ogni futura licenza – ha spiegato l’analista Emeka Obiodu – dovrebbe incoraggiare il network sharing dal principio e, forse, enfatizzare meno la competizione fra infrastrutture”.