Italia
È attesa per i prossimi giorni la presentazione del dossier realizzato da Francesco Caio sul mercato italiano della banda larga, commissionato dal governo con l’obiettivo di delineare il futuro modello di sviluppo delle tecnologie broadband di prossima generazione.
Il super-consulente aveva già effettuato la stessa analisi anche sul mercato britannico, sempre su mandato del governo: l’indagine, durata sei mesi, giungeva a conclusione che il governo non dovrebbe accollarsi il finanziamento delle nuove reti a banda larga. Il compito dovrebbe infatti essere lasciato all’industria e alla concorrenza tra le diverse tecnologie, mentre il governo dovrebbe ‘limitarsi’ a stimolare l’upgrade delle infrastrutture d’accesso accelerando la distribuzione di nuove risorse di spettro per favorire lo sviluppo di nuovi servizi a banda larga wireless e imponendo la trasparenza sulle policy di gestione del traffico e l’introduzione di specifiche condivise nella costruzione di nuovi edifici.
In Italia, tuttavia, la situazione è molto diversa che oltremanica, dove esiste già una serrata concorrenza fra le infrastrutture. Nel nostro Paese lo scenario è ben diverso: mancano sì le infrastrutture alternative a quelle dell’ex monopolista, ma langue anche la domanda di banda larga, che si attesta ai minimi europei.
Secondo i dati della Commissione europea, l’Italia è sotto la media Ue sia per percentuale di nuclei familiari dotati di almeno un Pc (49% in Italia, 57% nella Ue) che per penetrazione di internet (41% Vs 49%). Significativo il fatto che tra i maggiori ostacoli all’adozione dei servizi broadband, le famiglie citino più spesso l’inutilità dei servizi e l’assenza di copertura.
E per il futuro, uno studio condotto da Gartner indica quindi una strada tutta in salita: secondo la società di ricerca, nel 2012, arriverà a 17 il numero di paesi che supereranno la soglia del 60% in termini di penetrazione nelle abitazioni, e l’Italia non sarà fra questi.
Allo scarso livello di informatizzazione vanno inoltre aggiunti i ritardi della PA che fatica ad adottare i sistemi digitali nei rapporti coi cittadini.
La scorsa settimana, il manager italiano – che vanta una vasta esperienza nel settore della finanza e delle telecomunicazioni – ha incontrato il direttore generale di Mediobanca (azionista Telco) Renato Magliaro, l’amministratore delegato di Fastweb Stefano Parisi e il consigliere di Telco Clemente Rebecchini per sondare la volontà del mondo finanziario e dell’industria di investire nelle nuove infrastrutture di accesso a banda larga.
Dopo la presentazione dei risultati della review, a Caio spetterà il compito di formare una task force e di effettuare un’analisi sul ruolo che pubblico e privato dovranno giocare nel piano di sviluppo della nuova rete, nonché di individuare quelle zone del Paese che andranno coperte con la fibra ottica e quelle invece in cui sarà il wireless a svolgere un ruolo da protagonista.
Obiettivo primario è quello di eliminare ogni forma di possibile spreco e di massimizzare le enormi potenzialità delle nuove reti NGN sia a livello economico che sociale.
“Mi preoccupano gli sprechi – ha dichiarato Caio – perché c’è il rischio concreto di bruciare tante risorse pubbliche”.
Il governo, da canto suo, ha messo a disposizione 1 miliardo di euro per la realizzazione della rete NGN in Italia. Un investimento equivalente all’incirca al 10% della spesa complessiva necessaria per realizzare l’infrastruttura, inserito in un progetto che punterà anche a stimolare la domanda, che risulta essere ancora molto debole.
“E’ una gran fortuna avere un Governo che decide di mettere risorse su questo terreno – ha spiegato Caio – Ma non deve diventare un’arma a doppio taglio per abbassare il livello di sfida che abbiamo davanti, sul genere abbiamo i soldi in qualche modo li spenderemo”.
I costi previsti per la realizzazione delle NGN nel nostro Paese sono stimati intorno ai 10-15 miliardi di euro, ma il tema centrale non riguarda solo l’importanza della rete, ma anche chi, come e con quali risultati debba realizzarla.
Le possibilità sono due: un intervento pubblico, come in Giappone (dove il governo ha finanziato completamente le reti di nuova generazione con un’operazione da 50 miliardi di dollari) o un intervento privato attraverso la realizzazione di una società separata anche se non proprietariamente diversa da Telecom, che preveda la partecipazione di altri soggetti quali società pubbliche, società private, fondi, provider, imprese di telecomunicazioni.
Come ha sottolineato anche il presidente della IX Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, Mario Valducci, infatti, “in una fase critica da un punto di vista finanziario ed economico come l’attuale, l’Europa ha la possibilità di agire attraverso interventi economici anticiclici quali l’investimento in reti NGN a banda larga che consentono eccellenti ritorni in termini di PIL e il coinvolgimento di una grande fetta dell’industria manifatturiera ad alta tecnologia”.
Per quanto riguarda la ricaduta sul sistema sociale basti ricordare che le nuove reti di comunicazione possono produrre effetti sul pluralismo dell’informazione, sulla salute dei cittadini, sul consumo energetico (e quindi sull’inquinamento atmosferico).
Una diffusione ubìqua – non solo in senso geografico – di queste infrastrutture potrebbe dunque rappresentare un’occasione di rilancio per l’intero sistema economico italiano che, in questi anni, ha sofferto di una cronica carenza di produttività.
In Gran Bretagna, Caio ha impiegato circa sei mesi per portare a termine la review sulle NGN e ha fornito al termine del suo lavoro un’accurata analisi dei diversi e complessi aspetti della questione, dalla tecnologia ai modelli di accesso.
Ma la conclusione strategica della review sul mercato italiano potrebbe essere molto diversa e avallare la soluzione proposta anche dal presidente Valducci, secondo cui per realizzare una rete ‘performante e concorrenziale’, bisognerebbe creare una “società delle reti” sotto il controllo di Telecom Italia o sotto il controllo pubblico, sul modello di Terna (la società responsabile in Italia della trasmissione dell’energia elettrica e il cui azionista di maggioranza è la Cassa Depositi e Prestiti, che detiene il 29,99% del pacchetto azionario), “che possa spingere – ha aggiunto – verso una modernizzazione dell’infrastruttura stessa”.
La Società che andrebbe a gestire la rete fissa, secondo le ipotesi illustrate da Valducci, potrebbe essere controllata al 51% da Telecom Italia e per il resto dal mercato, oppure col gruppo telefonico in una posizione di minoranza, affiancato dal pubblico sempre in quota minoritaria e con “un 70-80% ai privati”.
Telecom Italia, da canto suo, sostiene sia necessario uno sforzo congiunto di tutti i soggetti interessati per lo sviluppo delle reti di nuova generazione.
L’ad del gruppo si è detto possibilista su un intervento della Cassa Depositi e Prestiti volto a favorire lo sviluppo di una concorrenza che non poggi solo sull’infrastruttura di Telecom, ma anche su altre reti.