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‘La Rete di Obama’: media digitali e proposta politica innovativa per il presidente Usa. L’Italia ha ancora molto da imparare

Italia


Nei giorni scorsi, a Roma, ISIMM e Università Roma Tre hanno promosso una giornata di lavoro per analizzare la comunicazione elettorale di Barack Obama nel suo rapporto con la rete e, più in generale, con i media digitali.

 

Non vi è dubbio che uno dei fattori del successo di Obama è stato il suo rapporto privilegiato con la Rete, la sua cultura e le sue tecnologie sociali. Anche per questo tramite il giovane senatore afroamericano dell’Illinois, grazie alla sua immedesimazione nell’immaginario delle Reti e in virtù della sua capacità di stabilire con esse un rapporto diretto e attivo, è stato in grado di costituire e mobilitare network e comunità in modo orizzontale, partecipativo e

spontaneo, e di animare intorno alla sua figura un’effervescenza e un virtuoso intreccio di comunicazioni e di relazioni che lo hanno trasformato da outsider in vincente.

 

Attorno a questo tema hanno discusso con il presidente di ISIMM, Enrico Manca, dirigenti di imprese di comunicazione (Lorenzo Pupillo di Telecom Italia, David Bogi di Mediaset, Paolo Tacconi di Microsoft, insieme agli studenti e a un nutrito gruppo di studiosi e docenti: Alberto Abruzzese, Sebastiano Bagnara, Sara Bentivegna, Francesco Cardarelli, Gian Piero Jacobelli, Paolo Mancini, Vincenzo Susca. A fare gli onori di casa, per Roma Tre, Gianpiero Gamaleri, Edoardo Novelli, Vincenzo Zeno-Zencovich… Il calendario dei lavori della Camera ha decimato i politici che avevano preannunciato la loro partecipazione (fra cui Antonio Palmieri di Forza Italia, promotore di un analogo momento di riflessione), salvo il senatore Luigi Vimercati del PD.

 

Non tutte le opinioni coincidevano ma l’impressione di tutti i presenti è stata quella, piuttosto piacevole, di avere tematizzato in maniera efficace le novità di Obama, andando oltre i primi commenti a caldo.

 

Non c’è dubbio intanto che l’uso intelligente e consapevole delle Reti, degli “sms di massa” e delle varie forme di espressione del Web 2.0. e costituisce una forte innovazione nell’organizzazione della politica e del consenso, ma che tuttavia non sarebbe stato sufficiente senza una proposta politica innovativa che ha trovato nella crisi economica americana e nei timori molto diffusi nella popolazione un momento di coagulo. La vecchia massima, per cui la pubblicità non funziona se il prodotto non risponde a standard di qualità largamente accettati, mantiene qui tutta la sua validità.

 

Il prodotto che è stato “venduto” con successo è un candidato alle elezioni, non un mandato presidenziale. Nonostante molti precedenti parziali, Obama è sicuramente il primo candidato vincente che è espressione delle culture digitali, un candidate.com; ma è presto per dire se sarà anche un president.com. Le reti che egli ha attivato, in un intreccio peculiare tra contatti faccia a faccia tra i suoi attivisti ed elettori e le forme di mobilitazione a distanza, hanno diffuso le issues e le policies della sua campagna. Altra cosa, che non è mai stata tentata, è svolgere il mandato presidenziale mantenendo un costante flusso interattivo con un ampio strato di sostenitori attivi, prevalentemente amministrato attraverso reti digitali. Vedremo se Obama vorrà farlo, e se sarà possibile curvare su questi nuovi obiettivi la novità di queste reti intanto stabilite.

 

Di reti si è parlato sempre al plurale. Non c’è solo Internet, c’è un uso straordinario degli SMS, c’è Facebook, c’è l’idea che all’attivista va fornito un kit di strumenti di intervento con cui potranno organizzarsi riunioni fra vicini, negli immensi suburbi delle città americane, rivitalizzando strumenti della comunicazione politica novecentesca e anche le catene di Sant’Antonio, e riuscendo a raccogliere una quantità immensa di denaro non con i soliti pranzi elettorali a pagamento per Vip ma attraverso versamenti minuscoli di milioni di persone, in gran parte effettuati in rete. E poi c’è quello che Obama è riuscito a evitare: la comunicazione farraginosa di Hillary Clinton, o i tristi comizi virtuali in Second Life durante le presidenziali francesi di appena un anno fa.

 

Ha dunque qualche senso affermare (quante volte l’abbiamo letto sui giornali) che Franklin Delano Roosevelt è stato il presidente della radio, John Kennedy della televisione e Obama di Internet, ma molti distinguo sono necessari. Kennedy si rivolgeva per televisione alla grande platea dei cittadini, invitandoli a votare per lui anche grazie al fascino personale. Obama usa le reti in modo interattivo, a due vie, e per giunta si fonda sulle loro grandi capacità di replicazione, per produrre attivismo elettorale. E’ stato notato che in qualche misura Obama ha ripercorso in linguaggio digitale vecchie forme di militanza politica (proselitismo, sottoscrizione ecc.) che la televisione, e la politica-spettacolo, sembravano aver mandato in soffitta. Forse in un futuro i cinquant’anni della tv (il duello Nixon-Kennedy era del 1960) ci appariranno un periodo in cui una politica “spettatoriale” aveva preso il posto di quella agita attraverso la partecipazione diretta. Un periodo definitivamente chiuso da nuove forme di mobilitazione mediate dalle reti. Almeno negli Stati Uniti. Qui, in Italia, sembra presto per farlo e può essere un buon alibi dare la colpa al digital divide, all’insufficienza delle reti a larga banda, ad un certo analfabetismo digitale che permane. Ma è solo un alibi; in realtà abbiamo tutti molto da imparare.

 

 

 

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