Italia
La presentazione dell’ultima edizione, l’undicesima, del Rapporto IEM sull’Industria della Comunicazione in Italia cade in coincidenza di una delle maggiori crisi finanziarie della storia economica. Lo stretto legame tra finanza e comunicazione, nonché la forte influenza che hanno gli investimenti pubblicitari delle aziende su questo mercato – investimenti la cui funzione anticiclica sarà messa alla prova dei fatti nel periodo di recessione che ci attende – fanno della comunicazione uno dei settori industriali più esposti alla crisi.
Allo stesso tempo, i prossimi anni ci dimostreranno se la comunicazione, i media, e quello che in senso lato viene definito “intrattenimento”, rappresenteranno per le famiglie dei beni e servizi “voluttuari”, in cima alla lista dei tagli al budget familiare, oppure una sorta di “rifugio” psicologico per lenire le insicurezze e il clima di sfiducia. E questo in un contesto, quello italiano, in cui questa tipologia di spesa è strutturalmente bassa: in un articolo pubblicato da Key4biz (leggi) di presentazione del precedente rapporto, documentammo come, per quel che riguarda il nostro Paese, la percentuale della spesa delle famiglie dedicata a comunicazione e tempo libero fosse decisamente inferiore rispetto ad altri grandi Paesi europei, e soprattutto in tendenza decrescente.
E queste saranno sicuramente alcune delle questioni centrali ad essere dibattute nel corso della presentazione del rapporto, durante il Sesto Summit sull’Industria della Comunicazione in Italia, che si terrà a Roma il prossimo 18 dicembre, al Tempio di Adriano in Piazza di Pietra.
L’occasione della pubblicazione di questo rapporto, inoltre, ha spinto l’Istituto (parte della Fondazione Rosselli, che ha celebrato quest’anno il suo ventennale) a un’analisi sull’andamento del mercato italiano della comunicazione e dei media lungo tutto un ventennio (1987-2006), ad un’interpretazione dei cambiamenti che l’hanno attraversato (affidata a coloro che hanno creato e “cresciuto” il rapporto: Pilati, Pucci, Richeri) e a visioni di eminenti studiosi (sociologi, economisti, giornalisti, analisti) su questa evoluzione e sulle sue prospettive.
Nelle ultime edizioni, l’analisi dei principali segmenti del mercato della comunicazione è andata arricchendosi di elementi di raffronto con i mercati internazionali, al fine di tratteggiare meglio le peculiarità del caso italiano. E’ vero che, in molti frangenti, questo raffronto è penalizzante e lascia emergere più criticità che punti di forza, ma non è sempre così. E’ possibile fornire, in questa sede, alcune anticipazioni. Per quanto riguarda alcuni settori storici dell’audiovisivo, come il cinema e l’home video, ad esempio, alcuni dati sono confortanti. Al boxoffice cinematografico, il prodotto domestico ha riguadagnato quote di mercato (che saranno probabilmente mantenute a consuntivo 2008) fino a quasi un terzo degli incassi, una quota che non è lontana da quella del Paese leader dell’Europa occidentale, che è la Francia. Ciò avviene all’interno di un mercato che ha trovato una forte espansione nel 2007 (oltre l’11% di crescita) e una stabilizzazione, o una lieve decrescita, nel 2008, pur in presenza di una frequenza media per spettatore che rimane molto bassa nel contesto europeo. Per il cinema come per altri settori (i quotidiani, i libri), l’allargamento della domanda rimane un punto nodale e problematico, ma almeno quote crescenti del mercato vanno a favore della produzione nazionale.
Il prodotto cinematografico è anche l’elemento principe di un altro mercato audiovisivo, che è l’home video. Pur in rallentamento da diversi anni, il mercato italiano del video decresce a tassi inferiori rispetto agli altri (peraltro più ampi) mercati europei, ed anche nonostante l’ancora forte incidenza del noleggio, che è il segmento di offerta più esposto all’evoluzione tecnologica. L’home video sta diventando un canale di sbocco sempre più importante per altre tipologie di prodotto, come la fiction televisiva: negli ultimi 4 anni, il prodotto televisivo è passato dal 6 al 10% del mercato, con prospettive di crescita che si prevedono interessanti per i prossimi anni (in Francia questa quota è al 21, in Germania al 23). In questo caso, la criticità è data dal fatto che questo incremento è stato e sarà – secondo le stime disponibili – appannaggio principalmente del prodotto d’importazione: saranno probabilmente le serie tv americane a guadagnare quote di mercato (in Francia, nello stesso periodo, l’incidenza della fiction nazionale è andata scendendo sotto il 10% del totale della fiction commercializzata in Dvd), anche in virtù del fatto che la quasi totalità della fiction di produzione originale in Italia è destinata al pubblico anziano delle ammiraglie generaliste – non il target privilegiato dell’home video.
La presentazione del rapporto, nel corso del Summit, contestualizzerà queste dinamiche all’interno del più ampio perimetro dell’evoluzione dei mezzi a contenuto editoriale, nel 2007 e nei 20 anni precedenti.